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capaci web4di Aaron Pettinari
In aula il teste Carrara nega di aver mai saputo da Aiello che fosse dei Servizi

“Un amico da spiaggia, un povero pescatore che a Montauro (in provincia di Catanzaro, ndr) conoscono tutti. E' lì che l'ho conosciuto ad Aiello. Lo conosco da 7-8 anni. Mi portava a pescare, mi ha anche insegnato. Eravamo quasi amici. Poi mi raccontava delle cose. Io ero un ascoltatore passivo. Raccontare gli piaceva molto. E' anche bravo”.
Così Giovanni Carrara, originario di Bergamo, chiamato a testimoniare innanzi alla Corte d'assise di Caltanissetta al processo Capaci bis, descrive il suo rapporto con Giovanni Aiello, ex poliziotto in pensione che per anni ha lavorato con Bruno Contrada (ex numero 3 del Sisde ed ex capo della Squadra mobile a Palermo), indagato da quattro procure e considerato come personaggio chiave di tanti misteri che hanno fatto la storia della Sicilia e non solo con l'alias “Faccia da mostro”.
Tra i dialoghi con Aiello non c'era solo la pesca. Ma anche il suo passato ed in particolare il modo in cui si era sfregiato il viso: “Me lo disse senza particolari dettagli, ed io non facevo domande. Mi disse parlava della Sardegna, di un conflitto a fuoco. Mi disse che lo avevano persino dato per morto e che solo dopo un po' si resero conto che era vivo. Ha avuto tanti casini. Mi disse che era stato un poliziotto. Che era stato a Padova, anche a Palermo”. Ma non erano questi gli unici dettagli, perché con l'ex poliziotto parlava anche di politica: “Si accennava a Berlusconi, alle sue vicissitudini. Ci prendevamo anche in giro io ero di sinistra, lui più di destra. Mi disse di quella volta che da Padova se ne partirono con le camionette per andare a Milano per menare gli operai o gli studenti e la racconta come cosa.. di destra ecco..Ma non parlammo dei Servizi”.
Quella odierna è stata un'audizione durata poche ore (alle 12 era previsto l'insediamento di Sergio Lari come Procuratore generale dopo sette anni vissuti alla guida della Procura, ndr) fatta di continui richiami da parte della Corte e dei pm, con più di un invito a “dire tutta la verità” dopo le diverse contraddizioni tra quanto riferito in aula e quanto dichiarato nel febbraio 2011 alla Dia.
In particolare la testimonianza verteva sulla telefonata intercettata nel maggio 2010, nell'aprile 2014 fatta ascoltare persino durante una puntata di Servizio Pubblico, in cui Aiello dice all'amico di andare a comprare il settimanale “L'Espresso” in quanto c'era un articolo che lo riguardava.
“Era stata una telefonata breve – ha ricordato in aula – Lui mi dice se ho letto L'Espresso e di andarlo a comprare perché avrei trovato qualcosa di interessante. Ricordo che commentai anche con mia moglie. Che facemmo fatica a trovare questo articolo. Ci sentivamo presi in giro. Poi trovammo un articolo dove si parlava di Capaci, stragi. Ma non ricordo che si parlava di un poliziotto, né di faccia da mostro”. A quel punto i pm hanno chiesto se su quei fatti avesse più parlato con Aiello. Ed il teste lo ha escluso anche se alla Dia, nel verbale d'interrogatorio del 28 febbraio 2011 aveva detto “di aver comprato il giornale e che ce ne era uno sul periodo della tensione e delle stragi di Palermo, dove si parlava di una persona sfregiata al volto appartenente ai servizi segreti che veniva chiamato il mostro. E uno o due giorni dopo noi ci siamo visti casualmente al suo capanno”.
Nonostante la contestazione Carrara, ha ribadito di non aver chiesto nulla, in quell'occasione, ad Aiello sull'articolo in quanto “per me non era niente di serio”.
Ed è a questo punto che il pm, Dodero ha dato lettura testuale di parte del verbale della Dia aveva riferito di averne parlato e che nel corso della discussione aveva capito che “c'erano stati sviluppi nella vicenda riportata nell'articolo e che gli inquirenti credevano che il mostro fosse lui”. “Io non ho mai parlato con Aiello – ha replicato il teste – Non ricordo queste parole. Non ho mai detto che lui è il mostro. Gli ho parlato dopo l'interrogatorio della Dia e lui mi ha detto che non c'entrava niente con queste cose”.
E quando il pm gli ha fatto notare che nel verbale c'è scritto ben altro il teste ha risposto: “E a questo punto a me viene il dubbio che quello sia un verbale di qualcun altro... O avrò ricordato male”.
Eppure non sono solo questi gli elementi di discrasia presenti nella versione del teste. Basta rileggere l'intercettazione andata in onda su Servizio Pubblico:

Un amico: Pronto?
Aiello: Ehi sono io. Hai letto L'Espresso di questa settimana?
Amico: No perché
Aiello: Allora se ti capita compralo e dagli un'occhiata. Parla di Palermo, di Borsellino e di cose varie.
Amico: Quello che è in edicola adesso?
Aiello: Leggi! Così leggi qualcosa anche di... personale, insomma! Parliamo delle stragi.

Riferimenti certi, forniti all'amico che lasciano pochi dubbi sull'articolo da guardare. Possibile che né prima né dopo la telefonata, in tanti anni di conoscenza, non avrebbero mai commentato certi fatti? “Per me era tutta una sbruffonata – ha ribadito – Ne abbiamo parlato solo dopo la convocazione della Dia e dopo la convocazione vostra in luglio. Anche in quell'occasione mi disse che lui non c'entrava nulla”. Peccato che la “sbruffonata” “di poco conto” altro non sia che la strage di Capaci, uno degli attentati più violenti della storia del nostro martoriato Paese, dove persero la vit Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

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