di Aaron Pettinari e Francesca Mondin
L'ex boss di Partanna-Mondello: “Quando Cosa nostra emette una sentenza di morte la porta a termine, prima o poi”
“Quando Cosa nostra emette una sentenza di morte prima o poi la porta a termine”. Dopo Vito Lo Forte è stata la volta del collaboratore di giustizia Francesco Onorato, ex reggente del mandamento Partanna - Mondello, ascoltato nel pomeriggio a Rebibbia nell'ambito del processo sulla strage di Capaci. Il pentito, dopo aver raccontato alcuni omicidi di cui è stato esecutore materiale, come quello di Salvo Lima ed Emanuele Piazza, ha parlato soprattutto del clima che si respirava dopo la sentenza del maxi processo: “Cosa nostra era fiduciosa sugli esiti della sentenza. Gli appoggi, sia politici che giudiziari non mancavano. In Cassazione avevamo l'appoggio di Carnevale, questo lo diceva Salvatore Biondino ed anche Lo Piccolo. Ma potevamo contare anche su Andreotti e Lima. Erano loro la nostra forza”. “Gli appoggi giudiziari - ha aggiunto Onorato - c'erano e ci sono sempre stati”. Così non è stato, tanto che poi arrivò la condanna per i mafiosi. “Riina - ha aggiunto il pentito - dopo quella sentenza andò fuori di testa.
C'era un aria molto delusa quindi Salvatore Biondino raccontava che Riina faceva il pazzo e voleva rompere le corna a tutti…Bisognava ammazzare i traditori, coloro che non avevano rispettato gli impegni assunti. Così mi danno una lista lunga delle persone da eliminare dove c'era Andreotti e il figlio, Salvo Lima e il figlio, Arnaldo La Barbera, Falcone e Borsellino. Dopo l'omicidio Lima, si doveva procedere con gli altri della lista ma Biondino mi ferma e mi dice 'lascia stare ci sono cose più urgenti' riferendosi a Falcone e Borsellino”. Riguardo all'allora dirigente della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera, fino a quel momento “ben voluto dai Madonia”, il collaboratore di giustizia ha riferito che aveva girato le spalle a Cosa nostra e che per questo “doveva essere ammazzato”. Riguardo al progetto di morte nei confronti di Falcone Onorato ha ricordato che “già dall'84 si parlava dell'eliminazione di Falcone. Il magistrato doveva essere ucciso a Mondello”. “Io - ha affermato il pentito - avevo il compito di seguire i suoi movimenti. Poi non se ne fece nulla perché venni arrestato”.
A quel tentativo di uccidere Falcone, seguì nell'89 il fallito attentato all'Addaura. Rispondendo alle domande del pm sul possibile intervento esterno a Cosa nostra nel fallito attentato all'Addaura, per il quale Onorato è stato condannato a 10 anni, il pentito ha detto: “se c'erano altre persone non lo so perchè se c'era motivo si conoscevano se no non si conoscevano …però è facile che ci fossero altri.
Biondino mi disse che l'esplosivo arrivò da Trapani. Poi, dopo il fallito attentato, Cosa nostra decise di screditare Falcone mettendo in giro la voce che era stato lo stesso magistrato ad organizzare l'attentato per fare carriera”. Questo perché, come detto nei verbali del 2013, “così volevano i politici che avevano nelle mani, i quali avrebbero veicolato la notizia”. Onorato ha anche spiegato che dentro Cosa nostra c'era una direttiva su stragi e attentati: “Se non c'era motivo non si doveva dire niente a nessuno e pure dire per depistare, che le bombe se le sono messi da soli, che sono stati i servizi segreti, queste cose qui”. Onorato ha anche spiegato di aver ricevuto l'ordine di uccidere Vito Lo Forte: “Sapeva troppe cose e quindi si cercava di ammazzarlo. Era anche uno dei primi pentiti e per questo c'era preoccupazione”.
Processo Capaci Bis, pentito Lo Forte: “Il bruciato ha preparato la bomba per via d'Amelio”
di Aaron Pettinari e Francesca Mondin
Secondo il pentito questi avrebbe partecipato anche all'omicidio Cassarà
Nella strage di via d'Amelio, dove morì Paolo Borsellino assieme agli uomini della scorta il 19 luglio 1992, "il bruciato (nome utilizzato da Lo Forte per indicare Aiello) ha preparato la bomba". Continua la deposizione del pentito Lo Forte al processo Capaci bis, per l'occasione in trasferta a Roma. Dopo la sollecitazione del pm Luciani a ricordare e riferire quanto in sua conoscenza sulla strage di Borsellino il collaboratore di giustizia, che inizialmente si era limitato ad un "non ricordo", ha detto: "Subito dopo strage via D'Amelio, io ero a Carini agli arresti domiciliari e mi è venuto a trovare Gaetano Vegna... si è parlato che era successa sta strage e mi disse che in questa strage hanno avuto un ruolo il bruciato e Gaetano Scotto” Rispondendo alle domande del pm ha specificato: “Il bruciato per quanto riguarda l'esplosivo, ha preparato l'autobomba diciamo perchè era esperto di esplosivi”. Versione ben diversa da quella data nel 2009, come ha fatto notare il magistrato Luciani contestando che solo nel 2013 aveva rettificato le vecchie dichiarazioni affermando che il ruolo del “bruciato” non era riferito al telecomando, come detto precedentemente ma nel confezionamento della bomba. Inoltre nel 2009 aveva indicato in Pietro Scotto l'uomo che era andato a trovarlo a Carini e che gli aveva detto del ruolo del 'bruciato' nella strage di via D'Amelio e non Gaetano Vegna come indicato quest'oggi. Contestazione a cui Lo Forte ha risposto: “ho avuto paura e sicuramente ho fatto confusione e invece di dire un nome ne ho fatto un altro. Di queste cose non ho voluto parlare subito per paura. E sinceramente anche oggi non avrei voluto parlare di questo perché mi sono successe tante cose in questi anni. Pedinamenti, intimidazioni e quant'altro. Se parlo è perché spero che qualcuno possa intervenire”. Lo Forte ha raccontato anche dell'omicidio Cassarà dove, secondo il pentito, anche in questo caso Aiello avrebbe avuto un ruolo: “Gli ha sparato da un appartamento al primo piano. Vegna mi disse che gli uomini di cosa nostra gliel'avevano svuotato. Io non so se altri mafiosi sapessero che anche lui era lì, ma immagino di sì”. Un particolare nuovo che secondo la pubblica accusa il pentito non avrebbe mai riferito nei precedenti verbali, ma che ha detta di Lo Forte aveva già parlato di questo in altre occasioni.
Processo Capaci bis, pentito Lo Forte: “Attentato all'Addaura fallito per presenza di due sub”
di Aaron Pettinari e Francesca Mondin
“Il telecomando mi hanno detto che lo portò faccia bruciata”
“L'attentato a Falcone all'Addaura fallì per la presenza di due sub che furono scambiati per poliziotti. Me lo disse Angelo Galatolo. Poi venni messo a conoscenza di chi fossero questi due. Agostino e Piazza”. A riferire dell'attentato all'Addaura è il pentito Vito Lo Forte, interrogato oggi al processo Capaci bis che si sta tenendo in trasferta a Roma presso l'aula bunker di Rebibbia. Seppur con continue imprecisioni, tanto che il pm Luciani ha proceduto ad effettuare numerose contestazioni per favorire il ricordo, il pentito ha raccontato in merito al fallito attentato del 1989: “Il motivo dell'attentato all'Addaura l'ho saputo quando esco ai domiciliari. Credo fosse Angelo Galatolo a parlarmene. Se sbaglio i nomi, posso sbagliare ma io queste cose le ho apprese. Mi disse che la bomba è stata messa per il riciclaggio di soldi dello stupefacente. C'era questo grosso traffico dei Galatolo e di Gaetano Scotto e loro portavano i soldi in Svizzera”. “Del motivo per cui fallì l'attentato mi parlò anche Gaetano Vegna. C'era uno che era poliziotto e anche uno che lavorava per servizi segreti e che cercava latitanti. Si trovavano lì per caso. Mi hanno detto che erano lì a fare pesca subacquea”. Alla domanda su come si sarebbe saputa questa cosa ha riferito che sarebbero stati “funzionari importanti”. Tra le altre cose che dice di aver saputo è che a fornire il telecomando per l'attentato sarebbe stato proprio faccia bruciata (indicato da Lo Forte in Giovanni Aiello, ndr) e che la partecipazione di quest'ultimo si sarebbe verificata “per un favore alla famiglia Madonia”.
Lo Forte ha poi parlato anche dell'omicidio Agostino di cui ha riferito solo a tratti in precedenti interrogatori. “Io avevo paura di parlare del bruciato. Ma c'era anche lui quel giorno. Mi sono riservato di dirlo in seguito per fare mente locale”.
Processo Capaci bis, pentito Lo Forte: “Scotto mi presentò uno con la faccia bruciata”
di Aaron Pettinari e Francesca Mondin
E' una testimonianza particolarmente confusa quella che il pentito Vito Lo Forte sta rilasciando a Roma, presso l'aula bunker di Rebibbia, sul processo Capaci bis. Dopo aver ricostruito la sua storia criminale dagli anni '80 raccontando di come iniziò ad occuparsi del trasporto di droga dalla Sicilia alla Lombardia per i fratelli Fidanzati ha parlato dei suoi rapporti con i fratelli Scotto. Rispondendo alle domande del pm Stefano Luciani sui rapporti tra Gaetano Scotto e figure istituzionali il collaboratore di giustizia ha raccontato di due incontri che si sarebbero svolti in un bar nel '91 tra Scotto e due persone, “uno giovane sui 35 anni e uno più anziano che aveva un difetto alla gamba e camminava con un bastone”. Persona che Scotto gli avrebbe detto essere “un alto funzionario dell'alto commissariato”. Ma dopo la contestazione del pm Lo Forte si è corretto, ricordandosi che ci sarebbe stata una terza persona: “uno con la faccia bruciata”. Numerose sono state le contestazioni del pm sulle dichiarazioni che in precedenza il collaboratore di giustizia aveva reso tra il 2009 ed il 2013 alla procura nissena. “Come mai lei non fa riferimento a questa persona nei primi verbali? Lei parlava già al Borsellino bis di intercettazioni telefoniche compiute da Scotto e dal fratello per una certa persona” ha chiesto Luciani. E Lo Forte ha risposto: “Al Borsellino bis accennai, ma avevo paura. E lo stesso per paura non aggiunsi particolari poi. Di tante cose non ho detto niente. Mi sono successe tante cose. Ora le ho dette per vedere se cambia qualcosa”.
Durante la deposizione Lo Forte, seppur con estrema difficoltà, ha provato a chiarire alcuni aspetti spiegando che Scotto gli presentò il soggetto con la faccia bruciata nel 1987: “La prima volta me lo presenta così. Tempo dopo lo incontrammo su una moto.. Mi disse 'guarda chi c'è, Giovannuzzo Aiello'. Mi disse che questo era un poliziotto e che aveva il viso così a causa di un'esplosione. La prima volta me lo presentò solo come un suo amico”. “Questo lo vedevo all'Arenella – ha detto oggi alla Corte – gli davo la droga. E anche in occasione di una mangiata dove c'erano Fidanzati, Bonanno a piazza tonnara”. Nei verbali del 2009 e del 2010 con le dichiarazioni rese ai pm di Caltanissetta Lo Forte non aveva mai parlato della persona con la faccia bruciata con nome e cognome, diversamente nel verbale del 2013. “Non volevo fare il nome perché avevo paura” ha insistito Lo Forte. Ma a quel punto Luciani ha ricordato come nel 2009 lo stesso pentito aveva effettuato un riconoscimento fotografico indicando proprio il soggetto con la faccia bruciata. Il pentito ha anche detto di non poter confermare alcune dichiarazioni su un altro soggetto visto con Aiello. “Si trattava di un commissario di polizia che dava informazioni a Scotto. Lo vidi per la prima volta nel 1986, poi anche nell'87. Poi non l'ho più visto”. Anche in questo caso Luciani ha effettuato una contestazione dicendo che in precedenti verbali aveva riferito di averlo visto anche nel 1991 ma che era cambiato fisicamente e che camminava con un bastone”. E Lo Forte ha risposto: “Allora dissi così ma oggi non ho il ricordo chiaro non lo posso confermare che è la stessa persona”. Anche in questo caso vi era stato un riconoscimento fotografico in due occasioni e per indicare sia l'uomo che camminava con un bastone che per il commissariato che passava le informazioni a Scotto avrebbe indicato lo stesso soggetto. “Ma oggi non ne posso essere sicuro – ha ribadito il pentito – non ho la certezza”.
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Processo Capaci bis, il pentito Onorato: “Per l'Addaura l'esplosivo arrivò da Trapani”
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