di Miriam Cuccu - 24 marzo 2015
Il giornalista Attilio Bolzoni al processo sulla strage di Falcone
"Tre settimane dopo Capaci riuscii a recuperare i sei identikit delle persone notate sul luogo della strage nei giorni pregressi. La notizia me la procurò una fonte. Credo di averla appresa dalla Squadra Mobile di Palermo, dal capo Arnaldo La Barbera, nessun altro avrebbe potuto fornirmi tali informazioni". A raccontarlo è Attilio Bolzoni, giornalista del quotidiano La Repubblica, al processo Capaci bis. "Uno dei profili - aggiunge Bolzoni - somigliava all'identikit redatto in occasione del fallito attentato all'Addaura contro Falcone". "Per quell'attentato - continua il giornalista davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta - avevamo la percezione che fosse accaduto qualcosa di anomalo, di non tipicamente mafioso. Falcone poche ore dopo ci parlò delle "menti raffinatissime", presenze estranee a Cosa nostra che all'Addaura avevano fatto i registi, noi giornalisti lo interpretammo così. Il fatto che quella frase uscisse dalla bocca di Falcone, che era sempre attentissimo a tutto ciò che diceva, ci fece vedere un quadro molto complesso della vicenda".
Sulla somiglianza tra i due identikit (quello di Capaci e dell'Addaura), specifica Bolzoni, "mi arrivò una soffiata da una fonte di certificata credibilità. Tanto che, quando la notizia fu smentita dallo stesso La Barbera, ho ritenuto di riportare la notizia ugualmente perché ritenevo questa fonte autorevole quanto o più del capo della Mobile". "Si tratta di una fonte istituzionale?" chiede il pm. "Sì - conferma Bolzoni - ma non mi metta in difficoltà… per un certo periodo mantenni il rapporto perché le notizie che mi forniva erano tutte riscontrate, però c'è stato un momento… capita ai giornalisti: si possono avere fonti serie anche in ambienti estranei al mondo istituzionale, ma anche fonti istituzionali non serie. Ad un certo punto mi sono accorto che confondeva troppo le carte su altre vicende, le riportava in maniera confusa. Perciò non mi sono più fidato. Non so se facesse parte dei servizi segreti, ma non mi stupirei".
Bolzoni racconta poi dell'episodio in cui ricevette un rapporto giudiziario in cui si attestava che Falcone fosse spiato: "Era il 4 giugno dell'89, venni avvicinato da persone che appartenevano ad ambienti istituzionali di rango molto elevato, mi raccontarono che i telefoni di Falcone erano sotto controllo e mi fornirono un rapporto di polizia giudiziaria appena consegnato al procuratore della Repubblica di Palermo. Mi portarono dentro il bunker di Falcone e vidi all'opera signori con tute bianche che controllavano le linee telefoniche. La notizia era una "bomba" giornalistica. Il giorno dopo, quando uscì il mio articolo, smentì il mondo intero ma il capo della polizia Parisi, al mio collega Giuseppe D'Avanzo, confermò la cosa. Tanti anni dopo, parlando con D'Avanzo, ci siamo resi conto che di alcune vicende non abbiamo raccontato la verità, o non le abbiamo descritte nella loro interezza. Secondo noi questa era una delle vicende in cui siamo stati oggetto di disinformazione, che pur essendo vero il rapporto giudiziario la notizia era costruita a tavolino. Qualcuno, dagli ambienti istituzionali, voleva mettere pressione a Falcone, o a sua insaputa voleva attirarlo dentro un intrigo complicato". Sullo scoop dei cellulari, continua il giornalista, "Le fonti erano due, una era La Barbera". "Parlo di opera di disinformazione - precisa ancora Bolzoni - perché la vicenda non ha avuto alcuna conseguenza giudiziaria, non è mai stato riscontrato che i telefoni di Falcone fossero effettivamente controllati. E allora perché ci hanno dato un rapporto giudiziario fatto sul niente? Perché la notizia non era vera".