di Miriam Cuccu - 28 novembre 2014
Parlano i pentiti calabresi. Iannò e Lombardo: ‘Ndrangheta fuori dalle stragi siciliane
Sul luogo della strage di Capaci non ci sarebbe stata solo Cosa nostra. Ma anche due agenti dei servizi segreti, un uomo e una donna, che avrebbero assunto un ruolo organizzativo nella preparazione dell’attentatuni al giudice Falcone, alla moglie e alla scorta. Nell’aula bunker di Rebibbia, al processo Capaci bis, è il pentito di ‘Ndrangheta Consolato Villani a raccontarlo. Picciotto, camorrista, poi santista e quindi vangelista della cosca Lo Giudice (cugino del capobastone Antonino, ndr) Villani nel 2002-2003, appena ricevuta la santa, è stato il depositario di alcune confidenze da parte del cugino: “Mi parlò di ex esponenti delle forze dell’ordine, appartenenti ai servizi segreti deviati, che un uomo deformato in volto, insieme a una donna avevano avuto un ruolo nelle stragi di Falcone e Borsellino. Per la strage di Capaci erano tutti e due sul posto, insieme a uomini di Cosa nostra. Avevano partecipato alla commissione della strage. L’uomo, mi disse Lo Giudice, era brutto, malvagio, un mercenario, ma la donna non era da meno. Mi disse che questi personaggi erano vicini alla cosca Laudani ed alla cosca catanese di Cosa nostra. L’uomo era coinvolto anche nell’omicidio di un poliziotto in Sicilia”.
Servizi deviati dietro Capaci e via D’Amelio
Il pentito sostiene poi di aver visto i due personaggi nel corso di un incontro, risalente al 2007-2008, al quale doveva partecipare Lo Giudice: “Non sapevo con chi mio cugino si incontrasse e decisi di andare a vedere. C’erano lui, il fratello Luciano Lo Giudice e un uomo e una donna. L’uomo era particolarmente brutto, sfregiato o deformato sul lato destro all’altezza della mandibola, come se avesse subito un intervento. Aveva i capelli neri brizzolati, più lunghi del normale, mentre la donna li aveva alle spalle, lisci. Quando sono entrato si sono fermati, c’è stato uno scambio di sguardi poi sono andato via. Nino non mi ha mai detto niente ma io ho dedotto che si trattasse degli stessi soggetti di cui mi parlava per la descrizione che mi fece dell’uomo”. Da lui, però, non seppe altro: “Non eravamo di pari grado” precisa Villani.
Sulla regia occulta della strage di Capaci, continua il collaborante, “Lo Giudice mi disse che la strage di Capaci era voluta dai servizi segreti deviati e da appartenenti allo Stato deviati. Che Cosa nostra è stata usata come manovalanza. L’obiettivo era dare un avvertimento allo Stato perchè al suo interno era contrapposta una corrente di personaggi legati a Cosa nostra, per non far uscire fuori fatti di corruzione e collusione di esponenti politici. Si è deciso di eliminare persone che stavano dando disturbo in quel momento per varie indagini. In accordo con questi personaggi romani è stato deciso di commettere le stragi. Lo Giudice aggiunse che dietro la strage di via D’Amelio c’era la stessa motivazione”.
L’esplosivo per fare un favore a Cosa nostra
Secondo quanto detto da Villani tutti nella ‘Ndrangheta sapevano che erano state le cosche calabresi a fornire l‘esplosivo per l’attentato a Falcone: “Tutti sapevano che proveniva da Saline Joniche, controllata dalla cosca Iamonte, molto vicina ai Santapaola. Era contenuto dalla Laura C, una nave affondata ai tempi della guerra. Lì c’erano diverse tonnellate di esplosivo, gli uomini delle cosche lo recuperavano sott’acqua. Potrebbero dirlo anche altri collaboratori come Paolo Iannò, Antonino Fiume, Giuseppe Lombardo. La ‘Ndrangheta – sempre stando alle confidenze ricevute da Lo Giudice – su determinate situazioni (come le stragi, ndr) non si voleva esporre dopo l’omicidio del giudice Scopelliti”. Anche nel recupero dell’esplosivo, sostiene Villani, i due soggetti menzionati da Lo Giudice avrebbero avuto un ruolo: “Avevano il duplice ruolo nell’organizzazione della strage e nel recupero dell’esplosivo, nel senso di interessarsi su dove trovarlo. Per questo hanno mediato”.
Bombe, stragi e servizi segreti, Iannò e Lombardo: la ‘Ndrangheta era fuori
L’esplosivo della Laura C per Capaci? Ho letto sui giornali la notizia del ritrovamento della nave. La ‘Ndrangheta aiutò Cosa nostra per omicidi? Non ricordo. Contatti con servizi segreti? Non la mia cosca, so che i De Stefano godevano di coperture. Ex capolocale della Cosca Gallico e molto vicino al capobastone Pasquale Condello “il Supremo”, Paolo Iannò racconta davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta i rapporti tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra: “Vicini a Cosa nostra erano i De Stefano e gli Iamonte, soprattutto con i Santapaola di Catania” ma i “saldi rapporti di amicizia” si limitavano a “fare traffici insieme”. Quando i siciliani chiesero aiuto ai calabresi per fare le stragi, “abbiamo dato parere negativo. Noi non attacchiamo lo Stato. Ce li facciamo amici, e quando non si può arrivare a un giudice lo infamiamo a mezzo stampa e lo facciamo trasferire”. Personalmente, spiega Iannò, “ho conosciuto parecchi siciliani. In carcere nel 2002 il mio gruppo era composto da Cosimo Lo Nigro (imputato in questo processo, ndr), poi Francesco Giuliano… con lo Nigro avevo un buon rapporto”.
Di seguito sul banco dei testimoni è salito il pentito Giuseppe Lombardo, ex braccio destro di Pasquale Condello con cui “avevo un rapporto di fratellanza”. “Dell’esplosivo nella Laura C – racconta – venni a sapere in carcere, se ne parlava con Diego e Bruno Rosmini. Ce lo disse Giacomo Lauro, uno un po’ facilone, ci servivamo di lui, ci dava gli appoggi per fare delitti. Ma i Rosmini già lo sapevano”. Sull’eventuale fornitura di esplosivo ai siciliani da parte delle cosche calabresi, Lombardo è sicuro: “Lo escludo categoricamente”. E sul sostegno prestato per attentati: “Seppi in carcere solo che era stato ammazzato un magistrato, Scopelliti, per favorire i siciliani” ma per quanto riguarda altri contatti con Cosa nostra “I Tegano e i De Stefano si appoggiavano molto, ma da parte nostra nessun rapporto”. Nemmeno con i servizi segreti? chiedono i pm. “Assolutamente no” risponde.
La trasferta a Roma per il Capaci bis termina domani con la conclusione dell’esame di Pietro Romeo, il controesame di Giovanbattista Ferrante e l’escussione del pentito di ‘Ndrangheta Antonino Fiume.
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