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martello-giustizia-2di AMDuemila - 20 novembre 2014
Al processo con il rito abbreviato 30 anni per Cosimo D’Amato e 12 per Spatuzza
Due condanne all'ergastolo, una a trent'anni a riconoscimento della bontà dell'impianto accusatorio impostato dalla Procura. Dopo oltre vent’anni di processi ed indagini un altro piccolo traguardo giudiziario è stato raggiunto.
In base alla sentenza emessa dal Gip Davide Salvuzzi i boss Giuseppe Barranca e Cristoforo “Fifetto” Cannella dovranno scontare il carcere a vita. La prescrizione di uno dei reati che gli erano stati contestati ha evitato, invece, il fine pena mai al pescatore Cosimo D’Amato che dovrà scontare 30 anni. Per tutti l’accusa era di strage.

Dodici anni sono stati inflitti al collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, al quale è stata concessa l’attenuante speciale proprio per l’importante contributo dato all’inchiesta. Il procedimento si basa proprio sulle dichiarazioni dell'ex fedelissimo dei Graviano che, nell’estate 2008, ha contribuito a riscrivere il capitolo della strage di via d'Amelio, contribuendo a svelare depistaggi, misteri e false verità, aggiungendo anche nuove pagine sull'eccidio di Capaci. Finora per la strage, erano state già condannate, tra mandanti e esecutori, 37 persone. Ma grazie al pentito è emerso il coinvolgimento della cosca di Brancaccio nella preparazione della bomba che uccise il magistrato Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo assieme agli uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonino Montinaro. Spatuzza ha raccontato come l’ordigno esplosivo che sventrò l’autostrada che collega Palermo con l’aeroporto, non era imbottito soltanto del tritolo procurato da Giovanni Brusca, ma anche di un altro tipo di esplosivo, proveniente dalle bombe inesplose della seconda guerra mondiale. 
Gli ordigni bellici sarebbero stati recuperati dai fondali del golfo palermitano da Cosimo D’Amato, pescatore imparentato con Cannella, rimasto nell’ombra per vent’anni e finito al centro delle indagini della procura nissena soltanto nel 2011. 
Spatuzza, infatti racconta che un mese prima della strage di Capaci Fifetto Cannella lo chiamò dicendogli di procurarsi una macchina voluminosa per un lavoro da fare nel pomeriggio. “Con quell’automobile – ha spiegato il pentito – ci recammo a Porticello dove trovammo un certo Cosimo di circa trant’anni ed assieme a lui andammo su un peschereccio attraccato al molo da dove recuperammo dei cilindri dalle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi sulle paratie della barca... constatai che al loro interno vi erano delle bombe”. Successivamente, dopo aver estratto l’esplosivo le lamiere dei residuati bellici furono eliminati e il materiale estratto fu lavorato con la “macinatura” per poi esplodere sullo svincolo di Capaci  dando inizio alla fase  di Cosa nostra che il collaboratore di giustizia chiamerà “terroristico – mafiosa” e che segnerà e segna tutt’ora la storia del nostro Paese. Il processo che si è concluso ieri rappresenta solo una prima “tranche” dello stesso. Il “Capaci bis” infatti si sta svolgendo anche con il rito ordinario. Un procedimento che potrebbe portare a nuove verità. Sebbene lo stesso procuratore Lari, che rappresenta la pubblica accusa nel processo assieme ai pm Lia Sava e Stefano Luciani, abbia detto che “Nella strage di Capaci non ci furono mandati esterni - disse il procuratore di Palermo Sergio Lari dopo gli arresti - Nel senso che la mafia non prese ordini da alcuno” sullo sfondo resta più che mai aperto il capitolo delle “possibili alleanze con soggetti esterni”. “Mandanti esterni” che, tra l'altro, sono tornati esplicitamente alla ribalta dopo le rivelazioni del neo pentito Vito Galatolo soggetti che avrebbero ordinato a Cosa nostra di uccidere il pm di Palemro Nino Di Matteo. Soggetti che l'ex boss ha definito come “gli stessi di Borsellino”.

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