di Aaron Pettinari - 4 ottobre 2014
“Per la strage di Capaci usammo due tipologie di esplosivo. Uno venne portato dagli uomini di Altofonte, l'altro da Giuseppe Graviano. Si trattava di due sacchi di tela”. A dirlo è stato il collaboratore di giustizia, Giovanbattista Ferrante, ex uomo d’onore di San Lorenzo, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta, in trasferta a Milano, nel corso del processo Capaci bis, sull’attentato che costò la vita a Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta. Rispondendo alle domande del pm Dodero il pentito ha ricostruito le fasi preparative della strage. Prima venne effettuato un sopralluogo poi, insieme a Biondo, Rampulla, Brusca e Biondino, Ferrante collocò l’esplosivo lungo l’autostrada.
Ferrante ha raccontato che a uccidere il magistrato la mafia ci aveva già pensato negli anni ‘80, ma non fu possibile in quanto la casa del magistrato, a Mondello, era vicina a quella di parenti dello stesso Ferrante e, quindi, si voleva evitare un loro coinvolgimento. Sul motivo che possa aver convinto Cosa nostra nell'effettuare un attentato così eclatante come quello di Capaci Ferrante ha dichiarato: “Non ne ho la più pallida idea – ha detto in aula – Chiesi a Salvatore Biondino il perché era necessario fare tutto quello che avevano deciso. Avevamo i fucili di precisione in grado di colpire a due km di distanza una moneta ma lui mi disse che si doveva fare in quel modo lì”. Nella sua deposizione Ferrante ha anche parlato dell'omicidio Lima. “Salvatore Biondino ci disse che ci dovevamo pulire tutti i piedi – ha detto Ferrante -, nel senso che c’erano persone che avrebbero dovuto aiutare Cosa nostra e non l’avevano fatto, come l’onorevole Salvo Lima, e dovevano essere eliminate”. Prima dell'ex boss di San Lorenzo si era svolto il controesame di Gaspare Spatuzza durante il quale il pentito è tornato a chiedere ai mafiosi di “liberarsi”. “Quello che ho fatto è allucinante - ha detto -. Purtroppo i miei fratelli vivono nel sonno e non hanno capito quello che abbiamo fatto. Mi auguro che questi miei fratelli si possano convertire, ritornare nella ragione ma soprattutto liberarsi”. Ha poi chiesto perdono per tutte le vittime che la mafia ha causato. L'udienza di ieri ha anche visto l'intervento in videoconferenza dell'imputato Cosimo Lo Nigro, che ha rilasciato dichiarazioni spontanee accusando Spatuzza di “fare grande confisione”. Lo Nigro, indicato con il cugino Cosimo D’Amato tra coloro che, a bordo di un peschereccio a Porticello (Palermo), reperirono in mare parte dell’esplosivo, ha ribadito detto di essere estraneo alle accuse che gli sono mosse dal collaboratore di giustizia di Brancaccio. E ha voluto precisare che, contrariamente a quanto dichiara Spatuzza, lui e la sua famiglia non esercitano la pesca di frodo, ma quella a strascico. “Io lavoro al mercato ittico - ha detto - e per questo ho avuto rapporti con la polizia e la Guardia di finanza. Il 23 maggio del ‘92 (giorno dell’attentato, ndr) io sono stato fermato dalla Guardia di finanza a Trapani, sul mio peschereccio e ho preso anche una multa. Per fare il carcere con educazione ci vuole dignità, mentre altri corrono a chiedere del magistrato di Sorveglianza. Io non c’entro nulla con le cose che dice il signor Spatuzza”. L'udienza è stata quindi aggiornata al prossimo 5 novembre.