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di Aaron Pettinari - 2 ottobre 2014

Mentre al processo trattativa il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori depone al processo trattativa dichiarando che l'attentato a Roma a Falcone fu stoppato da Riina in quanto “aveva cose più grosse da fare” a Milano, Gaspare Spatuzza, il pentito che con le sue rivelazioni ha permesso di ricostruire una nuova verità sulle stragi, parla di quel progetto di morte deponendo al Capaci bis: “La mafia, sin dal '91, aveva portato a Roma delle armi per uccidere Giovanni Falcone. All'epoca vennero fatti già dei rilevamenti da parte del gruppo di fuoco anche su Costanzo. Rilevamenti che poi si dimostrarono errati quando venne fallito l'attentato in via Fauro due anni dopo. Io faccio questo collegamento. Le armi furono riportate in Sicilia da me quando tornai da Roma”. L'ex boss di Brancaccio ha parlato a lungo, sollecitato dalle domande del pm Stefano Luciani. In particolare ha raccontato tutte le varie fasi di preparazione dell'esplosivo utilizzato nelle stragi del 1992 e del 1993. “Ricordo – ha dichiarato Spatuzza - che Fifetto Cannella mi chiese, circa un mese prima di Capaci di trovare una macchina voluminosa”.

Il recupero dell'esplosivo a Porticello
Spatuzza prosegue: “Ci recammo a Porticello dove trovammo un uomo, un pescatore di nome Cosimo (D'Amato, imputato al processo, ndr) aveva circa la mia età dell'epoca. Tempo dopo capì che era in qualche modo parente con Cosimo Lo Nigro. Assieme a lui andammo su un peschereccio attraccato al molo da dove recuperammo dei cilindri dalle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi sulle paratie della barca. Successivamente constatai che al loro interno vi erano delle bombe”. “Recuperati i fusti – ha aggiunto il collaboratore di giustizia - li caricammo sulla autovettura per dirigerci verso la mia abitazione. Una volta arrivati a casa di mia madre, ubicata in un cortile, scaricammo i bidoni all'interno di una casa diroccata di mia zia che era a fianco di quella di mia madre e che noi usavamo come magazzino”. Ma non fu quella l'unica occasione in cui venne prelevato l'esplosivo. “Altri bidoni vennero recuperati alla Cala, legati ad un peschereccio. Una volta utilizzammo anche un gommone che fu venduto da Cosimo il pescatore al Lo Nigro”. Nella sua deposizione Spatuzza ha anche parlato del suo ruolo nella strage di via d'Amelio e nel fallito attentato all'Olimpico. Non sono mancati i riferimenti all'uomo misterioso intravisto nel garage in cui la Fiat 126 venne imbottita di esplosivo, né agli incontri con Giuseppe Graviano prima e dopo la strage che avrebbe dovuto portare alla morte di numerosi carabinieri nel gennaio 1994. “Quella fu l'unica volta in cui dovemmo aspettare il benestare di 'Madre natura' (Giuseppe Graviano, ndr) per fare l'attentato. E al bar Doney a Roma mi disse che anche se avevamo ottenuto quello che cercavamo grazie a persone che si impegnavano e che non erano come i 'quattro crasti dei socialisti' che ci avevano preso i voti e poi avevano fatto la guerra. E quando chiesi di più mi disse di Berlusconi, quello di canale 5, e del nostro compaesano Dell'Utri. Mi disse che c'eravamo messi il Paese nelle mani. Ma serviva un altro colpetto”. Poi il telecomando all'Olimpico non funzionò, i fratelli Graviano vennero arrestati e l'Italia non tremò più al suono delle bombe. L'udienza è stata quindi rinviata a domani mattina quando si terranno il controesame e la deposizione del pentito Ferrante.

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