di Aaron Pettinari - 18 settembre 2014
In aula si comincia dalle "piste alternative"
Un sacchetto di carta, una torcia elettrica, un tubetto di mastice marca Arexons e dei guanti di lattice. Per lungo tempo si è ritenuto che questi oggetti, rinvenuti a 63 metri dal “gran botto” di Capaci, potessero essere stati portati nel luogo della strage da mani esterne di Cosa nostra. Grazie ai rilevamenti compiuti ad oltre vent'anni di distanza sugli stessi è stata rinvenuta un'impronta (l'indice della mano destra) di Salvatore Biondo - uno dei boss già condannati per la strage - sulla pila inserita all'interno della torcia. Una prova ritenuta dalla Procura come decisiva per ricostruire l'esecuzione di un massacro. Inizia così, affrontando in qualche modo il tema delle “piste alternative”, il dibattimento “Capaci bis” che si sta svolgendo a Caltanissetta innanzi alla corte d'Assise, presieduta da Antonio Balsamo. Imputati i boss Salvino Madonia, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello. A salire sul banco dei testimoni questa mattina sono stati Vito Genova, Alessandro Ricerca e Vincenzo Mannino. Il primo, assieme a Giulio Musso ed Antonino Cilluffo, fu parte di quel gruppo di amici che, giunti sul luogo della strage, per primi trovarono proprio quegli oggetti ad appena sessantatré metri dal luogo dell’esplosione verso la strada provinciale per Capaci.
Rispondendo alle domande dei pm Stefano Luciani, Lia Sava ed Onelio Dodero Vito Genova, che tenne in mano la torcia, ha ricostruito le varie fasi del ritrovamento. “Musso conosceva Mannino che era in Polizia. Lui era di servizio quel giorno della strage. Ricordo che andammo in macchina sulla statale ed una volta posteggiata l'autovettura scendendo a piedi da una traversina verso l'autostrada cominciammo a guardarci attorno così come facevano tutti i presenti. Eravamo nel lato monte. Eravamo distanti diversi metri dal cratere e vediamo questa torcia. Così ci recammo da Mannino che si trovava più avanti e poco dopo arrivò anche un ufficiale di polizia giudiziaria”.
Questi altri non era che il Commissario Alessandro Ricerca che al dibattimento ha ricostruito tutte le fasi d'indagine che lo hanno visto coinvolto sin dal momento in cui si è recato sul luogo dell'attentato sia nell'identificazione di alcuni residenti dei villini nei pressi del luogo della strage, che nel sequestro della torcia, del mastice e dei guanti. “Quando la torcia mi fu consegnata – ha ricordato – la tenni dal lato del cordino. Mi accorsi che era nuova e che all'interno vi erano delle pile. Lo percepì dal peso. Dissi anche in una relazione di fare attenzione alle pile. Successivamente ci recammo nel luogo del ritrovamento, ovvero a sessantatré metri dal cratere, e lì vi erano anche il sacchetto con il mastice ed i guanti di lattice. Nei giorni successivi effettuammo delle ricerche per capire quantomeno la provenienza”. Infine è stato ascoltato Mannino, per la prima volta ascoltato in merito a queste vicende da una Corte, che ha confermato quanto raccontato dei testi precedenti.
Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 23 settembre, quando verranno sentiti gli agenti della scientifica che hanno compiuto i primi rilevamenti nel maggio 1992 mentre dal primo al quattro ottobre il “Capaci bis” andrà in trasferta a Milano per permettere le audizioni dei pentiti Giuffré, Brusca, Spatuzza, Ferrante, La Barbera e Tranchina.