Ergastolo per i boss. Dieci anni per i falsi pentiti. Prescritta la calunnia di Scarantino
E il Pg Sava annuncia un possibile "Borsellino Quinquies"
Poche sorprese. La Corte d'Assise d'appello di Caltanissetta, confermando la sentenza di primo grado ed accogliendo le richieste della Procura generale, ha condannato all'ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i 5 uomini della scorta. Condannati a 10 anni i "falsi pentiti" Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Così come aveva fatto la Corte d'assise presieduta da Antonio Balsamo anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato a Vincenzo Scarantino. "Il dispositivo non ci ha colto di sorpresa perché eravamo consapevoli del fatto che sarebbe stata necessaria una grande dose di coraggio per assolvere Scarantino - ha commentato il suo legale, Calogero Montante -. Probabilmente i tempi non sono ancora sufficientemente maturi per dichiarare una simile verità. Prendiamo atto della sentenza, ovviamente non la condividiamo ma attendiamo di leggere le motivazioni per decidere sul da farsi".
Al "picciotto della Guadagna" è stata riconosciuta l'attenuante di essere stato "indotto a mentire", confermando così anche l'esistenza del depistaggio definito nelle motivazioni della sentenza di primo grado come "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana".
Sempre nelle motivazioni della sentenza i giudici parlano chiaramente di "suggeritori" esterni, soggetti che avrebbero cioè imbeccato il falso pentito inducendolo a mentire. "Soggetti, - scrivevano - i quali, a loro volta, avevano appreso informazioni da ulteriori fonti rimaste occulte". Su questi elementi, così come sulla possibile presenza di soggetti esterni che hanno potuto contribuire alle stragi, si concentra ora la Procura nissena, così come svelato proprio dal Procuratore generale Lia Sava, presente alla lettura del dispositivo di sentenza assieme ai sostituti Antonino Patti, Fabiola Furnari, Carlo Lenzi e Lucia Brescia, commentando la sentenza odierna. La Sava ha parlato dell'esistenza "ulteriori sviluppi delle indagini con la possibilità di arrivare a un Borsellino quinquies". Del resto già durante la requisitoria aveva ribadito che "secondo la procura generale lo sviluppo delle indagini sta via via delineando altre strade che, se doverosamente riscontrate, possono far individuare altri soggetti che hanno potuto contribuire alle stragi". E poi aggiungeva: "I magistrati devono continuare a raccogliere prove certe di responsabilità penali che consentano di addivenire a sentenze definitive di condanna per tutti coloro, anche in ipotesi, esterni a Cosa nostra, che possono avere concorso, a qualunque titolo, e per qualsivoglia scopo, alla realizzazione della strage di via D'Amelio e che, successivamente ai tragici eventi, possono avere mosso i fili, in maniera da determinare il colossale depistaggio delle relative indagini".
Oggi, dopo l'emissione della sentenza d'appello la Sava non ha nascosto la propria soddisfazione: "E' stata confermata l'impostazione della sentenza di primo grado, sono state accolte tutte le richieste costruttive della procura generale di Caltanissetta. La sentenza conferma l'impianto e la ricostruzione fatta sia dalla procura di Caltanissetta in primo grado, poi recepita e ampliata. Adesso leggeremo le motivazioni di questa sentenza di secondo grado. Ma tutto fa pensare che l'impianto solido della sentenza di primo grado sia stato in toto recepito".
Presente alla lettura della sentenza anche Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino ma anche legale di parte civile assieme al collega Vincenzo Greco proprio dei tre fratelli, Lucia, Manfredi e Fiammetta. Rispondendo ai giornalisti ha parlato di "soddisfazione, a nome della famiglia Borsellino, per la sentenza che ha confermato le condanne di primo grado e certifica, in maniera inconfutabile, che nell'ambito del processo Borsellino uno e bis si è realizzato uno, se non il, più grande errore giudiziario della storia italiana. Chiaramente ora attendiamo sviluppi. Questa è una pietra miliare perché si afferma che Scarantino è stato indotto a depistare le indagini. Abbiamo il processo Bo e altri, la conferma totale della sentenza di primo grado costituisce i presupposti fondamentali per l'altro processo e per le ulteriori indagini che ci saranno e che magari sfoceranno in un altro processo".
"Questa sentenza secondo noi rafforza il depistaggio che è stato perpetrato dopo la strage di via D'Amelio - ha commentato all'Adnkronos l'avvocato Roberto Avellone che rappresenta Antonino Vullo, l'unico agente sopravvissuto e i familiari degli altri agenti morti nella strage-. Sono molto soddisfatto per le parti civili che rappresento, cioè tutti i congiunti degli agenti di Polizia uccisi nella strage di via D'Amelio, tra cui l'unico superstite (Antonino Vullo ndr) e sono fiducioso che questa sentenza reggerà anche il terzo grado. Ed è una ulteriore conferma che il depistaggio è stato perpetrato da uomini dello Stato creando l'occultamento della verità".
Attualmente per il depistaggio sono sotto processo, in un giudizio ancora in primo grado, davanti al tribunale di Caltanissetta, tre poliziotti che facevano parte del pool investigativo che indagò sulla strage e che, secondo l'accusa, avrebbero imbeccato i finti pentiti. Per competenza a Messina è invece aperto il fascicolo nei confronti dei due magistrati che in quegli anni si occuparono dell'attentato, Carmelo Petralia e Annamaria Palma, rispettivamente procuratore aggiunto a Catania e avvocato generale a Palermo, entrambi indagati per calunnia aggravata.
In foto di copertina: la strage di via d'Amelio © original Shobha
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