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borsellino fratelli c ernesto ruscio Getty Images Europedi Miriam Cuccu
Al Borsellino quater insieme al fratello Manfredi: ''Indignata dei tanti non ricordo''

L'ultima udienza del processo Borsellino quater (prima della requisitoria fissata per il 20 settembre) è dedicata a Lucia e Manfredi Borsellino, figli del giudice ucciso nella strage di via d'Amelio di cui il processo si occupa (dopo altri tre dibattimenti chiusi) a seguito della collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, che smentì i falsi collaboratori inizialmente ritenuti credibili. I quali poi accusarono i componenti del primissimo gruppo investigativo di essere stati “manovrati” per depistare le indagini.
Alla domanda se la figlia del giudice avesse mai sentito, dal poliziotto Bartolo Iuppa (suo fidanzato fino al '95) o da Gioacchino Genchi (ex funzionario informatico del gruppo Falcone e Borsellino e amico di Iuppa) se il falso pentito Vincenzo Scarantino fosse “farlocco” e “imbeccato” secondo la testimonianza data dallo stesso Iuppa al processo, Lucia Borsellino replica: “Se avessi ricordato questo termine l'avrei riferito alla corte. Vorrei ricordare che il 19 luglio '92 avevo 22 anni, mio fratello 20 e mia sorella 19. A volte faccio fatica a ricordare come potessi vivere normalmente in quel periodo. Oggi mi sento costernata e mortificata nel dovere anche io fare fatica, a distanza di 24 anni, a mettere insieme aspetti della mia vita personale che ho fisiologicamente cercato di rimuovere. Sentivo il dovere di andare avanti per mio padre, per raggiungere quei traguardi che lui avrebbe voluto”. Ma soprattutto, sottolinea la Borsellino: “Mi indigna che i 'non ricordo' possano oggi essere portati qui da persone che invece potevano avere la lucidità per ricordare determinati fatti. Considerata la fiducia che mio padre aveva nelle istituzioni - riflette - mi sembrava impensabile che uomini delle istituzioni potessero manipolare o gestire in maniera non ortodossa l'attività. Rifiutavo mentalmente l'idea che ciò potesse accadere, e se certe evidenze che emergono anche da questo processo dovessero essere confermate - conclude - mio padre sarebbe ucciso due volte”.
Il nocciolo della questione posta ai due Borsellino è se i due avessero mai sentito da Genchi e Iuppa considerazioni su lamentele di poliziotti del gruppo investigativo sulla strage di via d'Amelio in merito a una cattiva gestione di Scarantino da parte del capo, Arnaldo La Barbera. Circostanza riferita in un recentissimo verbale dal procuratore aggiunto di Palermo Nico Gozzo, che dichiara di averlo appreso da Genchi (il quale ne sarebbe stato messo a conoscenza da Iuppa). “Si parlava più che altro del rapporto che La Barbera aveva con loro. Discorso che nacque con l'uscita di Genchi, che frequentava il mio fidanzato di allora, dal gruppo investigativo perchè non ne condivideva le modalità. E lo diceva con orgoglio” precisa Lucia Borsellino. Manfredi spiega di non aver saputo da Iuppa della falsa collaborazione di Scarantino, almeno “in tempi non sospetti”, prima che l'ombra del depistaggio rimbalzasse sugli organi di stampa. E nemmeno di lamentele su disposizioni di La Barbera per la gestione del falso pentito. Anche se, precisa il teste, giravano “voci di dissidenti, persone che avevano fatto parte di quel gruppo e che poi, come Genchi, per qualche motivo se ne andarono dissociandosi dall'indirizzo investigativo”, che “si sono salvati intuendo che c'era qualcosa che non andava”. Lapidario poi su La Barbera: “Conoscendo mio padre, le persone di cui non parlava erano quelle che più di altre disistimava. E credo che La Barbera fosse da lui totalmente ignorato, anche dal punto di vista operativo. Non ricordo che abbia mai concluso, e forse nemmeno avviato in quell'anno trascorso a Palermo da procuratore aggiunto, una qualsiasi attività con La Barbera”.
“La mia frequentazione con il dottor Genchi era sempre mediata da Bartolo Iuppa - racconta poi Lucia Borsellino - che non nutriva particolare stima per La Barbera per il modo in cui conduceva la sua attività professionale. Ma in quel momento storico lo considerai un giudizio personale non riferito ad elementi concreti, giudizi che esprimeva anche verso il suo capo e altre persone che ricoprivano alte cariche dello Stato. Ascoltavo distrattamente quei commenti che a me e ai miei familiari inquietavano”. Anche su considerazioni in merito alla gestione di Scarantino “appresi all'epoca da colloqui tra Genchi e Iuppa” la Borsellino afferma che “sin da subito lo consideravano un personaggio dallo spessore poco rilevante, sostenevano non potesse avere quel ruolo nell'organizzazione”.
I due testi descrivono anche di quando l'allora moglie di Scarantino si presentò sotto l'abitazione dei Borsellino, nel febbraio '94, per parlare con la vedova del giudice, Agnese. In quella circostanza fu proprio Iuppa, che si trovava in casa, a scendere per parlare con la donna. “Ne venni a conoscenza molti anni dopo - risponde Manfredi - quando Scarantino inviò una lettera a mia madre e insieme scrivemmo la risposta. In quell'occasione accennò all'episodio”. “Con le prime notizie sulla gestione di Scarantino anche mia madre rivalorizzò l'episodio dandogli un significato diverso. - ricorda la Borsellino - Ma allora nessuno se lo sarebbe mai immaginato. Io assistevo da spettatrice all'evolversi delle vicende, e con molta sfiducia”.

In foto da sinistra: Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino (© Ernesto Ruscio/Getty Images Europe)

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