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strage via damelio c reutersdi Miriam Cuccu
Al Borsellino quater il funzionario del gruppo Falcone e Borsellino: "Era un ufficio atipico"

Mario Bo, funzionario di Polizia e dirigente responsabile del gruppo investigativo "Falcone e Borsellino", non sapeva che suoi sottoposti partecipavano a colloqui investigativi con l'allora pentito (oggi smentito) Vincenzo Scarantino. O che con il picciotto della Guadagna (che sarebbe stato costretto a fare il "pupo vestito" per depistare le indagini) furono fatti dei sopralluoghi a ridosso degli interrogatori con i magistrati.
Sono molti gli episodi rimasti in parte insoluti, enigmi che partono dalla genesi del gruppo investigativo capitanato dall'allora capo della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002). Ieri Bo è tornato davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta al processo Borsellino quater, dopo essere stato archiviato il procedimento nei confronti del funzionario e di altri due poliziotti (Vincenzo Ricciardi, sentito il giorno precedente, e Salvatore La Barbera) indicati dai tre falsi pentiti Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura come gli autori di violenze e pressioni ai loro danni per ottenere dichiarazioni pilotate.
Il responsabile del gruppo B (alias "Borsellino", per il versante della strage di via d'Amelio) racconta Bo, "era l'ispettore Zerilli. Io ero aggregato specificamente a quelle attività ma anche il dottor Arnaldo La Barbera e il dottor Sanfilippo davano un contributo". Poi, con la costituzione del pool Falcone e Borsellino "sul decreto rimango solo io" in qualità di dirigente responsabile. A fare cosa, non è dato sapere. O meglio, il teste non è in grado di ricordare, o di spiegare il modus operandi adottato da un gruppo investigativo descritto come "atipico". Il "dominus" era sempre La Barbera, almeno fino a quando, a settembre '94, non fu promosso questore di Palermo. Dopodichè veniva informato "se c'era qualche novità, ma non più di tanto". Fu proprio nell'ufficio di La Barbera che Bo vide la borsa del giudice Paolo Borsellino, prelevata dall'auto del magistrato dopo l'esplosione in via d'Amelio: "La vidi nell'ufficio di La Barbera, sul divano. Si figuri - aggiunge - quando nell'89 fui assegnato alla sezione Catturandi trovai nel mio ufficio la borsa del commissario Beppe Montana (ucciso quattro anni prima, ndr). Era rimasta lì, purtroppo capita nella confusione".

Tradizione orale
"Io dicevo tutto ai magistrati, c'era un rapporto che andava oltre… dicevo proprio tutto" sostiene Bo. Sta di fatto che di questo continuo scambio di informazioni è rimasto poco o nulla di scritto. Relazioni, verbali, informative sui sopralluoghi, sui colloqui investigativi o su qualsiasi episodio degno di nota non sono stati mai ritrovati.
E' il caso delle minacce che Andriotta racconta a Bo, subite mentre si trovava in località protetta. "Mi contattò in ufficio per informarmi, gli dissi di rivolgersi ai referenti territoriali che avrebbero fatto delle attività. Se ho fatto una relazione? Se c'è dovrebbe esserci, altrimenti l'avrò riferito ai magistrati".
Sulla collaborazione di Scarantino, poi ufficializzata a giugno '94: "Nel dicembre '93 Scarantino chiese di parlare con l'autorità giudiziaria. Andai a Pianosa perchè la dottoressa Boccassini non poteva. Si lamentava della sua condizione carceraria e mi disse che non c'entrava nulla con la strage di via d'Amelia. Poi per dimostrarmi la sua 'buona volontà' mi dette indicazioni per catturare Giuseppe Calascibetta". Bo è sicuro di aver fatto una relazione che però, ancora una volta, non si trova. "Non sa quale magistrato l'ha letta, se è stato poi chiamato per approfondirne il contenuto?" chiede il pm Luciani. Ma la risposta è sempre negativa. Come quando afferma di non sapere che ci fossero stati una serie di interrogatori a Pianosa nella prima metà di luglio con il picciotto della Guadagna, alla presenza degli appartenenti al gruppo investigativo che Bo dirigeva in qualità di responsabile.

Mistero Candura
Il nome di Scarantino viene fatto per la prima volta da Salvatore Candura. Racconta Bo: "La prima volta che vidi Candura era il '97, '98 o '99, era in transito a Palermo per assistere a un processo". Secondo Candura, invece, il funzionario si trovava, seppure in borghese, negli uffici della Squadra Mobile il giorno del suo arresto, a settembre '92 (nonostante il poliziotto venne assegnato a Palermo solo nell'agosto '93).

Coordinamento inesistente
Casca dalle nuvole, poi, sui sopralluoghi effettuati da Scarantino a Palermo, che risultano effettuati sia prima che dopo l'interrogatorio con l'autorità giudiziaria: "Non ne sono a conoscenza, no" dice. "Ma lei nel decreto ministeriale è il dirigente responsabile del gruppo" obietta il pubblico ministero. "Il coordinamento era di La Barbera per decreto… l'ho saputo dopo, quando sono stati fatti. - replica Bo - No, non me ne lamentai. Non mi ricordo se seppi i risultati. E non so chi vi partecipava". "Nessuno le riferiva nulla?". "In quel momento - risponde - non so nemmeno dov'ero e cosa facevo, non ho ricordo. Qualcosa sarà successo…"
Quanto alla protezione del falso pentito, poi, i dubbi aumentano: "Scarantino fu affidato al gruppo Falcone e Borsellino con provvedimento del gip, fu una cosa concordata con la Procura di Caltanissetta, che assegnò la detenzione extra carceraria" vale a dire in località protetta, ai domiciliari. Il resto, però, rasenta l'assurdo, dato che il provvedimento aveva ragione di esistere solo fino a quando Scarantino non fosse entrato nel programma di protezione, cioè nel '94. L'anno dopo, però, uomini (e donne, per provvedere alle esigenze della moglie di Scarantino) del gruppo investigativo continuano a fare avanti e indietro, a gruppi di tre, da Palermo al luogo riservato, nonostante la contemporanea sorveglianza di casa Scarantino da parte della polizia territoriale. "Provvedevano ad accompagnare i figli a scuola e la moglie a fare la spesa" spiega Bo, ma a volte "poteva capitare che stessero dentro casa di Scarantino", che "doveva essere tranquillizzato" in quanto il suo umore era parecchio instabile, e "noi facevamo un sacrificio per la causa della giustizia".
"Perchè c'era anche la vostra vigilanza oltre a quella territoriale?". "Lei fa bene a chiederlo - risponde il teste al pm - ma non sono la persona deputata a rispondere, non l'ho deciso io. Era una cosa concordata tra il mio dirigente e la Procura di Caltanissetta". Non si è riusciti però ad andare oltre: "Non mi chieda nomi" aveva anticipato Bo a inizio udienza.

"Con Scarantino ho chiuso"
All'indomani delle ritrattazioni che Scarantino fa a "Studio aperto" dopo aver telefonato al giornalista Angelo Mangano (secondo il teste non risultava nemmeno che il pentito disponesse di un telefono) Bo viene informato dal magistrato Petralia "di andare a San Bartolomeo a Mare (in Liguria, dove in quel momento risiedeva Scarantino, ndr) per cercare di calmarlo e capirne o motivi, poi portarlo alla questura di Genova dove il magistrato lo attendeva per interrogarlo". Oltre a questo il funzionario aveva ricevuto disposizione di "acquisire la registrazione della trasmissione". Questa volta, il procedimento che si riferisce all'acquisizione c'è. Ed è negli archivi del gruppo Falcone e Borsellino alla Squadra mobile di Palermo, nonostante la Procura l'avesse cercato per mari e per monti. Qui il teste è andato a consultare la mole di carte due giorni fa "per rinfrescarmi la memoria".
Una volta arrivati sul posto, "mentre Scarantino e gli agenti si allontanano dall'abitazione - racconta il teste - chiedo alla signora (Rosaria Basile, all'epoca moglie di Scarantino, ndr) se fosse successo qualcosa. Non finisco nemmeno la frase che Scarantino rientra in casa, mi si stava scagliando addosso con irruenza. Per fortuna gli altri agenti riescono a bloccarlo, quindi lo ammanettiamo. Lui fece parecchia resistenza, era molto alterato, accecato dalla gelosia nei confronti della moglie. Dovemmo fronteggiarlo con una certa decisione". Un particolare, quello delle manette, che nessuno dei testimoni (nè Petralia, nè Scarantino con la moglie o l'addetto alla sicurezza Giuseppe Di Gangi) ricorda. Mentre sia il falso pentito che la signora Basile raccontano che in quell'occasione Scarantino era stato minacciato da una pistola puntata alla bocca: "Data la concitazione del momento non c'è stata nemmeno la possibilità si estrarla" smentisce Bo, che aggiunge: "Poi non assistetti all'interrogatorio. Prima di consegnare Scarantino entrai dal dottor Petralia e gli dissi 'da oggi con Scarantino ho chiuso'. Non mi occupai più della sua protezione ma solo delle indagini, la relazione si era incrinata". Ma anche di questa rinuncia alla protezione del falso collaboratore non vi è alcun provvedimento scritto a dimostrarlo. E nessuna informativa (se non quella "orale" riferita a Petralia) sull'episodio di colluttazione con il picciotto della Guadagna, sebbene si trattasse di reato contro un pubblico ufficiale e perciò da portare all'attenzione della polizia territoriale.
Al funzionario viene inoltre chiesto conto dei verbali, corredati da appunti manoscritti, che Scarantino aveva a disposizione: "Era un'attività di aiuto alla memoria di Scarantino, che aveva notevoli problemi di comprensione del testo" dice Bo, che la definisce "una cosa amichevole" presa "di loro iniziativa" (cioè da parte degli ispettori Mattei e Ribaudo, autori degli appunti) aggiungendo di esserne sempre stato all'oscuro. "Che io ricordi non ci fu nessuna delega per capire cosa fosse successo. No, non ne ho saputo niente".

Perplessità a metà
"Su Scarantino - continua Bo - mi nacquero perplessità all'indomani degli arresti del 18 luglio '94", fatti a seguito delle dichiarazioni del picciotto della Guadagna. "Ci fu una fuga di notizie sui circuiti nazionali, la notizia che stavamo procedendo agli arresti per la strage di Borsellino". E nonostante ciò "trovammo tutti gli imputati a casa. Ritenni che se uno sapeva di dover essere arrestato quantomeno avrebbe preso un po' d'aria, no? Sia io che Ricciardi rimanemmo un po' perplessi". Questi dubbi condivisi furono esternati solo in un momento in cui "Ricciardi ne parlò alla dottoressa Boccassini, anche se non ricordo se fossi presente". Fu una riflessione, specifica il teste, "che abbiamo fatto con tutto l'ufficio". Eppure nessuno ritenne, secondo Bo, di estendere queste considerazioni ai magistrati o a La Barbera, lasciando che le indagini sulla bomba del 19 luglio '92 prendessero una piega che avrebbe poi portato alle condanne di persone innocenti.
Le perplessità sul falso pentito riguardavano in particolare "la posizione di villa Calascibetta, indicata come il luogo della riunione deliberativa sulla strage di via d'Amelio. Certo non era un luogo congeniale per una riunione di così alto spessore, era privo di vie di fuga. Sono sicuro di averlo esternato a voce, ma non ricordo a chi". Il funzionario è stato sentito più volte in qualità di testimone: "Non ha mai riferito a una delle corti le sue perplessità?" chiede l'avvocato Repici in sede di controesame. La risposta, manco a dirlo, è negativa: "Non le potrei dire un motivo particolare".
Non tutto il filone investigativo generato da Scarantino, secondo Bo, era però oggetto di perplessità. "Ricordo che nella fase iniziale delle indagini - aggiunge il teste - i riscontri che facemmo sulle dichiarazioni di Andriotta su 'Anna Abbigliamento' furono ritenuti una prova fenomenale", raggiunte grazie a "intercettazioni fatte un anno prima a carico di Scarantino (riguardanti le donne appartenenti al suo nucleo familiare, ndr) che non furono comprese all'epoca e considerate non rilevanti. Abbiamo dovuto chiedere la riapertura delle bobine per fare il riascolto. Andriotta non avrebbe potuto saperlo se non per averlo appreso da Scarantino". Della trascrizione delle intercettazioni non ci sarebbe alcuna traccia. "Perchè non l'ha mai riferito all'autorità giudiziaria in dibattimento? - domanda l'avvocato Scozzola - Nelle sentenze di tutto si parla fuorchè di questo". "Non saprei dire - replica il teste - non mi è stato chiesto… poi riguardando le carte mi è venuto in mente".

Nuovi esami e confronti
I colloqui investigativi di Scarantino a Pianosa, i sopralluoghi a Palermo, la lite tra Bo e il falso pentito a San Bartolomeo a Mare… Sono solo alcuni dei punti-chiave che devono essere maggiormente chiariti a conclusione di testimonianze diametralmente opposte (dei poliziotti Bo e Ricciardi contro quelle dei falsi pentiti Andriotta e Scarantino e dell'ex moglie di quest'ultimo). Per questo il presidente Antonio Balsamo ha ammesso gli esami dell'ispettore Giovanni Guerrera, presente al momento dei colloqui di Scarantino a Pianosa, degli ispettori Maurizio Inzerilli, Salvatore Nobile e Angelo Tedesco (per i sopralluoghi svolti a Palermo) e di Salvatore Coltraro, presente durante la lite tra Bo e Scarantino, tutti previsti per la prossima udienza del 27 aprile. Ammessi poi il confronto tra Bo e Ricciardi da un lato e Andriotta dall'altro, e quello tra il magistrato Anna Maria Palma e Rosalia Basile: la prima aveva dichiarato che la seconda le disse: “Lei si deve avvalere della facoltà di non rispondere o addirittura mandiamo certificato medico falso”, mentre Il magistrato aveva replicato: “Non avrei mai fatto una cosa del genere, neppure se fosse stato un mio teste”. Si procederà inoltre al confronto tra Scarantino e Ricciardi sulla modalità dei colloqui investigativi, e tra Scarantino e la Basile da un lato e Bo e Di Gangi dall'altro (in relazione all'episodio della lite tra Bo e il falso pentito).

Foto © Reuters

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