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di Aaron Pettinari e Francesca Mondin
L'ex moglie del falso pentito sentita al Borsellino quater

“A Pianosa gli hanno fatto i peggiori dispetti per indurlo a collaborare. Mi ha raccontato che l'hanno anche minacciato di morte. Mi disse che erano stati dei poliziotti come Arnaldo La Barbera e altri che stavano vicino a lui. Gli facevano pressioni fisiche e psicologiche. Gli dicevano che l'avrebbero impiccato e che avrebbe fatto la fine di Gioè”. Ha parlato di vere e proprie torture psicologiche e fisiche e di pressioni finalizzate a suggerire una verità inesistente Rosalia Basile, ex moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino, che oggi ha deposto al quarto processo per la strage di via d’Amelio. Davanti alla corte d'assise di Caltanissetta sono imputati per calunnia i falsi pentiti Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci e per strage i boss Salvino Madonia e Vittorio Tutino.
La signora Basile ha quindi ribadito le pressioni psicologiche subite dall'ex marito: “Arnaldo La Barbera, che coordinava l'indagine sulla strage, non lo lasciava in pace e voleva farlo parlare. Lui mi ha sempre detto che con la strage non c'entrava e che aveva rimorsi per aver tirato dentro gente innocente”. La testimone, durante l’esame, ha anche indicato altri poliziotti che avrebbero fatto pressioni sull'ex marito. Tra questi vi sarebbe stato anche Mario Bo, già indagato ed archiviato assieme au funzionari Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera per il depistaggio delle indagini.

“Ricordo – ha detto – che c'era Bo era tra quelli che andavano assieme ad Arnaldo La Barbera. Un altro che mi è rimasto in testa è Giuseppe Ganci. Questi soggetti lo seguivano sempre anche durante gli arresti ultracarcerari. Comunque presentai un esposto e oggi confermo tutto quello che è scritto lì. Poliziotti a Pianosa per sostenerlo? Non mi ricordo”.
Rispondendo alle domande del pm Stefano Luciani ha anche riferito di avere assistito a una vera e propria aggressione subita dall'ex marito che aveva deciso di ritrattare le accuse, in un'intervista tv a Studio Aperto, e si rifiutava di rendere interrogatorio con l'allora pm Carmelo Petralia. “Il mio ex marito aveva dichiarato che lui non c'entrava nulla – ha detto la donna – poi arrivarono i poliziotti. Lo volevano portare da Petralia. Quindi rimango sola con Bo che mi chiede perché avesse chiamato il giornalista, in quel momento Scarantino, con la scusa di andare in bagno, torna indietro e dice a Bo che io non sapevo nulla e che dovevano lasciarmi stare. Così loro lo hanno spinto contro il muro puntandogli una pistola, poi lo hanno menato di fronte a me ed ai miei bambini. Chi c'era? Ricordo quelli che ho citato prima. Quelli che facevano la vigilanza erano rimasti fuori”.
Secondo il racconto della Basile, che ha anche descritto la presenza in casa di un telefono fisso “con cui parlava con i magistrati Palma e Petralia”, al falso pentito sarebbero stati consegnati documenti da studiare prima della deposizione al primo processo
 per la strage Borsellino. "Gli facevano ripassare un copione, tipo film. - ha raccontato riferendosi a poliziotti del gruppo di La Barbera - Ricordo, ad esempio, uno che si chiamava Fabrizio. Le carte, mi disse il mio ex, gliele aveva fatte avere Petralia”. Nonostante la ritrattazione in tv Scarantino venne
poi interrogato dal pm. “Mi raccontò che il verbale l'aveva scritto Petralia e poi lui si era limitato a firmarlo”.
La Basile ha anche raccontato che dopo la smentita televisiva voleva tornare a Palermo e lasciare Scarantino, ma che subì pressioni anche da parte dei pm che avrebbero cercato di toglierle i bambini.
Ad ulteriori domande del pm Luciani l'ex moglie di Scarantino ha poi aggiunto di aver detto al pm Palma che “il giorno della strage di via d'Amelio mio marito era stato sempre a casa, lei provò a obiettare che magari era uscito mentre dormivo, ma le spiegai che era impossibile perché non si alzava se non lo svegliavo. Le riferii anche che Scarantino mi aveva confessato che con l'attentato non c'entrava, ma mi rispose che per loro era coinvolto”. La teste, nel raccontare delle diverse visite dei pm Palma e Carmelo Petralia, allora in servizio a Caltanissetta, dopo la ritrattazione che il pentito fece nel corso dell'intervista tv, ha aggiunto: “Loro sapevano che il mio ex non c'entrava nulla, perché non era credibile. Se questa cosa è stata costruita penso che loro sapessero tutto”.
Durante l'udienza odierna sono stati poi sentiti la grafologa, Rosaria Calvauna, la quale ha confermato che su alcuni documenti oridinali vi “è sicuramente la scrittura di Fabrizio Mattei mentre è da escludere quella di Michele Ribaudo”. Questi ha anche detto che “solo in una parola non si può essere sicura in quanto l'ho esaminata solo in fotocopia. Su tutti quei documenti in originale confermo che sono riferibili al Mattei per il modo di gestire il tracciato grafico. Le scritture sono spontanee, non mascherate”.
Inoltre è stato ascoltato uno degli investigatori che ha compiuto gli accertamenti sul citofono della famiglia Borsellino in via d'Amelio. L'obiettivo era verificare se potesse essere verosimile o meno l'ipotesi riportata dal boss corleonese Salvatore Riina. Il “Capo dei capi”, intercettato durante l'ora d'aria nel carcere “Opera” di Milano, aveva detto che Paolo Borsellino “Si futtiu sulu” (si è fregato da solo) facendo intendere che il giudice avrebbe direttamente innescato l’autobomba pigiando il campanello di casa di sua madre. Secondo il perito “il giudizio di sintesi è che il fatto è tecnicamente possibile ma non vi è evidenza fotografica di corpi estranei nella pulsantiera. Nella mia esperienza non ho mai incontrato dispositivi elettronici organizzati in questa maniera”.

In foto: Vincenzo Scarantino in uno scatto d'archivio

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