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galatolo-vito-gico-2Il neo pentito sull'ex questore: “Era a libro paga dei Madonia”
di Aaron Pettinari - 19 febbraio 2015
“Lo scorso novembre ho chiesto di parlare con il pubblico ministero Nino Di Matteo perché non volevo che si verificasse una catastrofe. Non appena ho saputo che Vincenzo Graziano era stato scarcerato, ho deciso di parlare con i magistrati e avvisarli perché sapevo che Graziano era in possesso di una gran quantità di esplosivo che avevamo comprato”. E' così che l'ex boss dell'Acquasanta, Vito Galatolo, pur senza entrare troppo nei particolari in quanto ci sono delle indagini in corso, ha spiegato il motivo per cui ha deciso di collaborare con la giustizia. “Ho deciso di collaborare con la giustizia - ha detto ancora - per dare un futuro ai miei figli. Ne ho uno di 18 mesi. La mia famiglia ha acconsentito alla mia collaborazione, in particolare mia moglie e i miei figli che sono la mia forza. Ho anche deciso di collaborare con i magistrati per evitare tutto ciò che stava per succedere”.

Prima volta
Nei giorni precedenti c'era grande attesa per quella che sarebbe stata la prima volta del neo pentito come teste in un processo. Alcuni dei pm che lo avevano fin qui ascoltato avevano parlato di “formidabili riscontri” forniti dalle sue dichiarazioni, mentre lo scorso gennaio il Tribunale del Riesame di Palermo, nell'ordinanza con cui veniva rigettata la richiesta di riesame di Vincenzo Graziano, ritenuto il reggente del mandamento dell'Acquasanta e detenuto nel carcere di Pagliarelli dal 16 dicembre scorso, si era spinto anche oltre mettendo nero su bianco che Vito Galatolo “appare soggettivamente credibile ed intrinsecamente attendibile”. Non sono pochi gli elementi rilevanti forniti durante l'odierno esame al Borsellino quater. Rispondendo alle domande del Presidente Antonio Balsamo, del pm Paci e degli avvocati di parte civile e delle difese il neo pentito ha chiarito alcuni aspetti che erano stati messi a verbale il 14 ed il 21 novembre 2014, date dei suoi primi interrogatori, in merito ai suoi incontri con Filippo Graviano e Vittorio Tutino.

“Siamo coperti”
“Filippo Graviano mi disse di dire a mio padre che se qualsiasi cosa lui veniva a sapere di stare tranquillo che eravamo coperti al mille per mille. Ho questo ricordo che era fine maggio, prima settimana di giugno del 1992. Posso dire che Salvo Madonia era arrestato e che Filippo Graviano mi pare si trovasse ai domiciliari o comunque era sotto qualche tutela. Mi disse che non poteva uscire”. “A quell’incontro - prosegue Galatolo - era presente anche Vittorio Tutino. Fu lui a dirmi che c’era ‘un amico nostro’ che mi doveva parlare. Andammo a Brancaccio e lì appresi che si trattava di Filippo Graviano. Quando mi vide mi chiese subito di mio padre e mi disse questa cosa da dirgli nell’orecchio, che c’era da stare tranquillo che siamo coperti”. A chi gli ha fatto notare che nei primi interrogatori aveva riportato la data di febbraio-marzo per quell'incontro Galatolo ha spiegato che mentre parlava con i pm “il mio punto fermo era l'arresto di Madonia. L'incontro con Graviano è successivo e per far capire che era nel 1992 dissi quei mesi ma poteva essere anche aprile. Poi mettendo a fuoco ho ricordato che questo è avvenuto dopo la strage di Falcone”.
In merito alla vendita del parcheggio abusivo nei pressi di via d'Amelio ha poi riferito: “Io ed i miei cugini gestivamo un posteggio in via Autonomia Siciliana, prima del ponte. Già Graviano a quell’incontro mi disse una cosa del tipo ma perché non vi lasciate questo parcheggio o una cosa del genere. Nel 1992 anche mio zio Pino, ci consigliava di lasciarlo ma noi non lo ascoltavamo perché questo parcheggio ci dava soldi. Poi dopo il discorso con Graviano anche Vittorio Tutino ci diceva di lasciare questo posteggio e che non ci dovevamo andare, ma noi continuavamo lo stesso anche dopo averlo ceduto. Quelli che avevano preso il circolo ed il posteggio, che avevano consegnato 50 milioni a mio cugino Angelo Galatolo (classe '60), si spaventavano di eventuali concorrenze e noi eravamo comunque a disposizione. Ci stavamo in un bar lì vicino e se c’era qualcosa si interveniva. Questo discorso con i graviamo è 4-5 mesi dopo Madonia”. Alla domanda del pm se poi avesse riferito al padre il messaggio di Graviano, l’ex boss dell’Acquasanta ha risposto affermativamente. “Gli disse di questa cosa ma da quel momento lui rispose che non dovevo più lasciare la nostra contrada. Lui voleva che me ne stavo fuori da Cosa nostra e che se qualcuno mi mandava a chiamare ancora non dovevo andare”. Una volta avvenuta la strage di via d'Amelio, l'ex boss dell'Acquasanta tornò nuovamente a trovare il padre in carcere: “Tra agosto-settembre 1992, mi recai all’Asinara, dove si trovava mio padre. Lui faceva bile per quello che era successo. Lui era contrario a fare questa situazione e non sapeva niente. Mi disse: ‘A chi ci dobbiamo ringraziare per questo regalo?’ e si spaventava perché lì c’erano telecamere, temeva microspie. Era contrariato perché nessuno lo aveva avvisato. E anche noi non avevamo certo capito quelle parole di Graviano e Tutino anche perché noi nella zona del parcheggio ci tornammo eccome”. Inoltre, immediatamente dopo l'attentato a Borsellino “Tutino venne dopo una decina di giorni da me ed i miei cugini al solito bar, e ci disse ‘visto cosa è successo? Te l’avevo detto di togliere il posteggio…ci parlava il cuore. Immagini che fosse capitato qualcosa a qualcuno di voi? Sarebbe stata una disgrazia’ e ci baciava a tutti quanti”.

La Barbera e i servizi come protezione
Rispondendo alle domande del pm Paci, Vito Galatolo ha escluso un coinvolgimento di soggetti esterni a Cosa nostra nelle stragi. “Che mi risulta direttamente a me no – ha detto – Tuttavia io so che c’erano persone con contatti con servizi segreti ma se partecipavano a stragi non lo so dire”. Galatolo non ha poi escluso che la sua famiglia, durante il periodo delle stragi possa avere avuto dei rapporti con i servizi segreti. “Al fondo Pipitone, dove abitavamo, si riuniva il gotha di Cosa nostra. A volte venivano anche altre persone. Per una famiglia mafiosa, mantenere contatti con uomini dei servizi segreti, significava ottenere una sorta di 'protezione'. Potevamo ottenere informazioni su eventuali indagini, blitz, arresti prima che venissero compiuti”. Inoltre il neo pentito ha anche detto di ricordare che nella zona della strage di via d'Amelio vedeva spesso Arnaldo La Barbera (l'ex questore deceduto da alcuni anni) per poi spiegare, in sede di controesame, che questi “era a libro paga dei Madonia, me lo disse mio zio Giuseppe Galatolo. Mio zio era ai domiciliari e parlavamo di chi erano le persone corrotte e non corrotte”. Rispondendo ad una domanda su Gaetano Scotto, boss dell’Arenella, Galatolo ha spiegato che anche questi era in contatto con i servizi segreti, che avevano un ufficio al Castello Utveggio, sul Monte Pellegrino che sovrasta il luogo della strage di via D'Amelio. L'esame si è quindi concluso (con il processo rinviato al prossimo 4 marzo) anche se, una volta che verranno resi disponibili alle parti i verbali illustrativi del pentito e trascorsi i 180 giorni previsti per la collaborazione con la giustizia, Vito Galatolo potrebbe essere convocato ulteriormente.

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