di Aaron Pettinari - 24 ottobre 2013
E' Vincenzo Pipino il testimone ascoltato quest'oggi innanzi alla Corte d'assise di Caltanissetta nell'ambito del processo Borsellino quater. E' noto anche come “ladro gentiluomo” ed il motivo è presto detto se si legge il suo libro “Rubare ai ricchi non è peccato”, dove spiega che “I miei furti, o meglio, le mie sottrazioni, come preferisco definirle, sono peccati veniali: nessuno è rimasto rovinato dopo i miei interventi, anzi il più delle volte si è reso conto di ciò che veramente possedeva”. Ma Pipino è noto per essere stato detenuto, per circa una settimana, nel carcere di Venezia in cella con Vincenzo Scarantino, il falso pentito autoaccusatosi del furto della 126 con cui fu compiuta la strage di via d'Amelio. In quel luogo fu trasferito per iniziativa dell'allora capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, affinché raccogliesse le confidenze dal falso pentito. “La Barbera venne a trovarmi nel carcere di Roma – ha raccontato ai giudici – disse che solo io, che avevo dimestichezza nel parlare con i detenuti potevo riuscire a far aprire Scarantino. A me non mi andava di aiutare La Barbera. Se lo avessi aiutato, avrei messo in pericolo sia la mia vita che quella di Scarantino.
Quando sarei tornato fuori tutti avrebbero saputo che ero un confidente. Avevo appreso, fra l'altro, da malavitosi appartenenti alla mafia calabrese, che già dal 1986 faceva parte dei servizi segreti. Era un bravo poliziotto, ma non mi piaceva il suo stile di vita. Frequentava night club, andava a letto con la sorella della mia testimone di nozze e mi dissero che aveva un Rolex che gli era stato regalato da gente poco raccomandabile”. E quale fu il motivo per cui poi si convinse ad andare a Venezia? Il motivo è presto detto “All'inizio mi promise di aiutarmi per alcuni problemi giudiziari che avevo (era stato arrestato per questioni legate al traffico di stupefacenti ndr) e mi propose anche dei soldi, ma io non volevo averci nulla a che fare. Poi però mi disse che sapeva di una telefonata che avevo avuto con un tizio che poco dopo è stato ucciso. Mi fece capire che poteva usare quella telefonata contro di me in quanto era di oltre due minuti. Io a quel unto accettai”. In merito però Pipino non aggiunge altro in quanto, a suo stesso dire, le sue dichiarazioni sono oggetto di indagine nell'ambito dell'inchiesta condotta dal procuratore Donadio per conto della Dna.
Quindi il racconto di Pipino torna su quei giorni trascorsi in cella con Scarantino. “Proclamava in continuazione la sua innocenza. Piangeva, pregava e si disperava. Io non avevo nessuna intenzione di raggirare Scarantino. Quando arrivai in cella gli scrissi un biglietto per avvertirlo che la cella era microfonata. A dirmelo era stato La Barbera chiedendomi di parlare fuori dalla cella per capire cose che poi avrei dovuto riferire a lui. Quel biglietto però è stato inutile perché Scarantino non sapeva leggere, per cui glielo feci capire. A mio parere a suo carico aveva solo una denuncia per ricettazione, legata proprio al furto della 126. Continuava a ripetere che non c'entrava nulla e che era stato coinvolto nel furto della macchina, da un suo amico. Io gli dicevo di stare tranquillo che se era solo un furto comunque avrebbero fatto poco. Lo aiutai a scrivere anche la lettera alla moglie e come firma mise le sue mani nel foglio e io passai con la penna il contorno. Voleva dire che le sue mani erano pulite”.
“Dopo tre-quattro giorni che ero in quella cella – prosegue il “ladro gentiluomo” - decisi di staccare le microspie per dimostrare a tutti che non volevo essere coinvolto. Poi quando rivelai a La Barbera che Scarantino proclamava la sua innocenza lui non fece una piega, non mostrò nessuna emozione e mi disse che era una questione delicata e che di questa storia non avrei dovuto parlarne con nessuno”. Pipino ha poi sostenuto di aver ricevuto recentemente delle minacce, dopo che sulla stampa sono emerse notizie circa la sua testimonianza nel processo “Borsellino quater”: “Ho ricevuto -ha detto una lettera da Modena ed una dalla Sicilia. C'era scritta una frase in siciliano 'quando i pesci escono dall'acqua e' meglio che stanno muti'. Ho avuto anche diversi problemi con la Questura di Venezia che ha proposto per me la sorveglianza speciale”.
Il procedimento è stato quindi rinviato al prossimo 29 ottobre.