di Aaron Pettinari - 27 settembre 2013
A qualche giorno ormai è stato diffuso sul web. Ora il video del servizio in cui Vincenzo Scarantino, intervistato telefonicamente il 26 luglio 1995 dal giornalista Angelo Mangano, denunciò di essere un falso pentito e di essersi inventato tutto sulla strage Borsellino dopo le torture subite, è stato acquisito al processo Borsellino quater che si è celebrato innanzi alla Corte d'Assise nissena presso l'aula bunker. I giudici hanno disposto l'istruttoria per accertare se vi siano stati dispositivi di sequestro o soppressione della stessa sia negli studi di Milano che in quelli di Palermo. Al termine dell'istruttoria la Corte prenderà anche la decisione se ammettere o meno Angelo Mangano tra i teste del processo come richiesto sia dall'Accusa che dagli avvocati di Parte civile e della difesa.
Nella giornata odierna è stata approfondita in particolare la gestione della protezione dello stesso Scarantino in seguito alla “sua” decisione di collaborare con la giustizia. Per questo sono stati sentiti in udienza l'ispettore superiore della polizia di Stato di Palermo, Fabrizio Mattei, e l'allora agente scelto Michele Ribaudo. Entrambi, dopo le stragi, erano membri del Gruppo Falcone-Borsellino impegnato nelle indagini sulle stragi di Capaci e via D'Amelio (foto).
In particolare Mattei è stato chiamato a riferire in merito ad alcune annotazioni che lo stesso aveva eseguito su un verbale che, a suo dire, gli era stato consegnato dallo stesso Scarantino nel maggio 1995 (prima di un'udienza a Roma). “Scarantino aveva una capacità limitata sia nella lettura che nella scrittura – ha raccontato Mattei – Per capire bene il contenuto dello stesso mi chiedeva di leggergli i passaggi e quando ricordava alcune cose mi diceva di aggiungere un'annotazione. Questo lo facevo tramite alcuni bigliettini o post-it. Non ricordo se direttamente sul verbale”. Tuttavia, così come era accaduto in precedenti escussioni avvenuti in altri processi, Mattei non ha riconosciuto la propria scrittura in un documento in cui è scritto “Furto 126 sempre errore nelle dichiarazioni”. “La parte in cui è scritto 'Furto 126' la riconosco come la mia scrittura – ha detto – ma la successiva no”. E alla domanda su a quale titolo aveva preso una tale iniziativa ha risposto: “Non ci vedevo niente di male, mi chiedeva di leggergli quei verbali per capire meglio così come capitava per i quotidiani. Una volta iniziò a chiedermi cosa avrebbe dovuto dire o come doveva comportarsi in udienza. Io non gli dissi nulla se non che doveva parlarne con il suo avvocato. Chi sapeva delle annotazioni sul verbale? Ne parlai con qualcuno dei funzionari, credo il dottor Bo, in un secondo momento solo quando venni chiamato a testimoniare al processo. Prima di allora non ne vedevo l'utilità”. E sul compito che era stato agli addetti alla protezione è intervenuto Ribaudi: “Il nostro compito era quello di farlo sentire come fosse a casa sua. Ci turnavamo ogni 15 giorni e ci occupavamo della sua protezione e quando tornavamo in Sicilia si proseguiva con le indagini. Queste erano le disposizioni che ci giungevano dai superiori. Davamo ausilio alla territoriale h24 ma con lui si era entrati anche in confidenza”. E sui verbali d'interrogatorio in possesso a Scarantino (i quali erano stati depositati ufficialmente il 19 maggio 1995) ha detto: “A noi sembrava normale li avesse in quanto riguardavano sue dichiarazioni. Per questo non abbiamo approfondito o fatto relazioni. Il mio ricordo è di averli visti in un servizio prima dell'udienza di Roma (24-25 maggio 1995 ndr) e in quel momento non c'era la moglie”. E tra diversi non ricordo mentre Mattei ha escluso di aver mai avuto sentore di una possibile ritrattazione da parte di Scarantino, “Le sue erano lamentele inerenti allo stato del collaboratore di giustizia confinato ai domiciliari che aveva la famiglia con lui confinata”, Ribaudi ha detto di aver appreso di ciò soltanto in aula nel 1998, escludendo di aver mai saputo di un sequestro di documenti o di interviste rilasciate da Scarantino in tv.
Altro testimone sentito quest'oggi è stato il sovrintendente di polizia Giuseppe Di Gangi, pure lui ex addetto alla sorveglianza di Scarantino. In particolare a lui è stato chiesto come sia stato possibile al falso pentito telefonare da San Bartolomeo al Mare (Imperia), la località protetta dove viveva, per chiamare il giornalista di Studio Aperto Mangano. Infatti Scaratino non era in possesso di un'utenza telefonica e come sottolineato da più teste non aveva con sé neanche un cellulare. Nonostante questi impedimenti riuscì comunque a mettersi in contatto con il cronista. E in merito alla gestione della protezione ha aggiunto: "Non c’erano ordini scritti -ha affermato Di Gangi- gli ordini ci venivano impartiti da Arnaldo La Barbera”. Di Gangi ha raccontato anche un episodio che riguarda Mario Bo, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo.
Quando apprese dalla stampa che Scarantino era pronto a ritrattare, questi si sarebbe recato nella località protetta dov’era il falso pentito, per parlargli e fu accolto da una sfuriata. “Scarantino – ha riferito il teste – era sempre insicuro. Temeva di non essere creduto. Spesso diceva che voleva ritornare in carcere perché non era soddisfatto della sistemazione logistica che di volta in volta gli veniva offerto. Non si sentiva abbastanza protetto”.