Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

via-damelio-webLa testimonianza di Roberto Valenti, nipote della proprietarie della macchina usata nell'attentato.
di AMDuemila - 3 luglio 2013
Le sue dichiarazioni, in passato, avevano contribuito ad inscenare il grande depistaggio messo in atto per insabbiare la verità sulla strage di via D'Amelio. Ieri Roberto Valenti è stato sentito come teste in aula innanzi alla Corte d'Assise di Caltanissetta nell'ambito del processo "Borsellino quater". Valenti ha raccontato come l'allora capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, nel settembre del '92 avrebbe cercato di costringerlo a confessare il furto della Fiat 126 poi utilizzata successivamente come autobomba per l'attentato.
L'uomo, nipote di Pietrina Valenti, proprietaria della 126, il 5 settembre del '92 venne arrestato perché accusato di una rapina e di violenza sessuale, assieme allo zio Luciano Valenti e a Salvatore Candura. "Dopo le formalità di rito -ha spiegato- un agente mi accompagno' nell'ufficio di La Barbera che mi disse: 'Devi dire che sei stato tu a rubare la Fiat 126 assieme a tuo zio e a Candura'. Insisteva, con i piedi poggiati sul tavolo mentre guardava la televisione e fumava un sigaro, affinché io confessassi quel furto. Gli dissi che non ero stato io. Ebbe uno scatto d'ira e mi disse: 'Vabbé, vattene nel carcere di Termini Imerese'”.

Dopo una breve permanenza “nei canili dell’Ucciardone” dove era stato recluso anche l’altro balordo Salvatore Candura (“che è stato pure preso a botte e lo sentivo gridare ‘aiuto, aiuto’”), Luciano Valenti venne portato nel carcere di Belluno. “Durante il trasferimento – ha proseguito nel racconto - in un’area di servizio un’ispettrice di polizia mi mise la pistola in bocca dicendo ‘ora ci racconti tutto’, ma io con quel furto non c’entravo niente”. Anche Candura per convincerlo a confessare il furto gli disse che avrebbe “avuto una casa, un milione e duecentomila lire al mese e una vita nuova…Per convincermi a scrivere di mio pugno quella dichiarazione in cella arrivarono panini imbottiti e stecche di sigarette. E proprio a Bergamo mi vennero a trovare La Barbera e Ricciardi". Poi i due furono trasferiti a Mantova, dove Valenti dice di avere convinto Candura a rivelare la verità e a confessare di essere stato il vero autore del furto dell'utilitaria usata come autobomba. “Eravamo in una caserma -ha raccontato ancora Luciano Valenti- e pressai Candura a dire la verità sul furto della 126. Passò qualche giorno e Candura, piangendo, disse ai magistrati di essere stato lui l’autore del furto. Da allora Candura non smise più di essere interrogato dai magistrati. In albergo trascorreva il tempo sulla macchina da scrivere. Candura mi ha anche rivelato che fu Scarantino, all’epoca suo vicino di casa, ad ordinargli il furto della 126”.
Il teste ha anche detto che l'utilitaria era in ottime condizioni e che la denuncia di furto venne presentata dalla zia Pietrina, uno o due giorni dopo la sparizione dell'auto.
Nell'udienza di ieri ha anche deposto la stessa Pietrina Valenti che invece ricordato i difetti della vettura come quello all'acceleratore o alla frizione e lo specchietto lato guida che non si chiudeva bene. La donna ha puntualizzato che l'auto era intestata alla madre, Maria D'Aguanno, e che era parcheggiata in via Bartolomeo Sirillo.
Fatta denuncia ai carabinieri, Pietrina Valenti si rivolse a Salvatore Candura, amico di suo fratello Luciano, poiche' nutriva il sospetto che fosse stato proprio Candura ad impossessarsi della macchina. Quello che sarebbe poi diventato un falso pentito, assicurò alla signora che si sarebbe prodigato per ritrovare la macchina. La donna ha anche dichiarato che la carta di circolazione è ancora in suo possesso.
All'udienza è stato sentito anche Francesco Spatuzza, fratello del collaboratore di giustizia, il quale ha dichiarato la propria estraneità ai fatti, ammettendo soltanto di conoscere come artigiano Costa, il meccanico che aveva riparato la 126 rubata. Il processo è stato aggiornato a giovedì prossimo, 4 luglio.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos