di Anna Petrozzi, Miriam Cuccu e Francesca Mondin - 14 giugno 2013
Roma. Oggi è toccato a Antonino Giuffré, l’ultimo dei collaboratori di giustizia sentiti dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, trasferita all’Aula bunker di Rebibbia a Roma, che presiede l’ultimo troncone del processo Borsellino, il quater. Dietro il paravento il pentito che più di tutti ha vissuto vicino a Bernardo Provenzano, ha ripercorso la sua carriera criminale e ha ricostruito il contesto nel quale maturò la stagione stragista annunciata da Riina nella riunione di Natale del 1991. “Ricordo perfettamente il clima gelido”, ha riferito Giuffré con una voce piuttosto affaticata, che venne a crearsi quando il capo di Cosa Nostra annunciò che era venuta “la resa dei conti”.
Riina era furente perché “ci aveva rimesso la faccia”. Aveva infatti garantito ai suoi capi mandamento “che il maxi processo sarebbe stato un fuoco di paglia” e invece alla vigilia della sentenza definitiva era ormai chiaro a tutti che Falcone e Borsellino avevano vinto. Era quindi giunto il tempo della vendetta: il tempo in cui “ognuno doveva prendersi la sua responsabilità”. Alla domanda del pubblico ministero su quale fosse stato il consenso degli altri boss alla chiamata alle armi contro tutto e tutti, Giuffré ha chiosato sarcastico: “Riina ha avuto il consenso del silenzio!”.
La black list alternava tra i primi nomi un traditore e un nemico. Lima venne assassinato a Mondello il 12 marzo 1992 gettando nel panico un’intera classe politica e minando l’equilibrio già precario del nostro Paese. Falcone disse subito: “Adesso può succedere di tutto”. E accadde il finimondo a Capaci solo due mesi dopo. L’obiettivo successivo sarebbe dovuto essere Calogero Mannino e invece fu assassinato Borsellino. Il perché del cambio di programma è materia anche dell’altro processo in corso a Palermo, quello sulla cosiddetta trattativa, ma inevitabilmente intrecciato con questo sugli esecutori materiali sulle cui responsabilità si è consumato uno dei tanti clamorosi depistaggi degli ultimi 20 anni.
Giuffré ha ribadito sostanzialmente quanto aveva già detto nei tanti processi ai quali ha testimoniato confermando le esclusive confidenze che riceveva da Provenzano.
Come il particolare rapporto tra il padrino e il sindaco mafioso Vito Ciancimino. Indicato dai giornali come un confidente e additato subito dentro Cosa Nostra come uno “sbirro”, veniva invece difeso dal boss che con esperta sintesi gli aveva spiegato: “E’ in missione per conto di Cosa Nostra”.
Ed è un altro importante tassello per la ricostruzione della ormai accertata trattativa che si stava svolgendo in quei terribili mesi tra l’ex sindaco e i carabinieri, raccontata nei dettagli dal figlio Massimo Ciancimino.
Ma non è tutto oro quello che luccica per il più piccolo dei figli di don Vito. I magistrati nisseni hanno infatti sottoposto al collaboratore sei fotocopie di pizzini prodotti da Massimo come provenienti da Provenzano.
Giuffré, in qualità di maggior esperto dello “stile provenzaniano” dei pizzini per averli ricevuti sin da “quando li scriveva con la matita, quella dei geometri con la mina”, li ha esaminati davanti agli occhi della Corte e ha espresso molti dubbi.
Alcune parti corrisponderebbero al modo di scrivere del boss, comprese alcune terminologie specifiche, ma altre proprio no. E’ il caso delle abbreviazioni criptiche dei nomi di destinatari e dei soggetti della corrispondenza, delle consuete benedizioni a chiusura a volte mancanti e di alcuni errori ortografici ricorrenti che invece non corrispondono.
Certo Giuffré non è un esperto calligrafico e nemmeno è detto che i pizzini tra i boss fossero dello stesso tono o registro di quelli indirizzati a Ciancimino, chiamato in queste carte “l’ingegnere”, ma la “perizia” del pentito è un dato di cui anche la procura di Palermo, che si è battuta per distinguere con puntualità quanto è stato riscontrabile della travagliata collaborazione di Massimo Ciancimino, dovrà tenere conto.
La prossima udienza è stata fissata per il 27 giugno presso l’Aula Bunker di Caltanissetta, i pm renderanno presto noti i nomi dei prossimi teste dell’accusa.
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