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Continuano le rivelazioni del pentito Luigi Ilardo, ucciso da Cosa Nostra

di Michele Riccio

Proseguiamo, dai numeri precedenti, nella ricostruzione della vicenda di Luigi Ilardo, confidente del ROS, che, con il suo contributo, ha reso possibile la cattura di numerosi latitanti di grosso calibro facenti parte di Cosa Nostra. Sarà il colonnello dei carabinieri Michele Riccio stesso, che ha raccolto in prima persona le dichiarazioni di Ilardo, a condurci nello studio del caso, che cela, a nostro avviso, importantissime informazioni, non solo sulla vita occulta dell’organizzazione e del suo capo indiscusso, Bernardo Provenzano, ma anche sugli intrecci esterni che coprono da sempre Cosa Nostra.

La memoria trasmette i secoli, la memoria è tutto sia per un popolo sia per l’individuo. Sulla memoria si fondano la morale e la conoscenza, così sovente mi ripete un mio amico, la memoria è la continuità della morale e della conoscenza ed io aggiungo: è importante coltivare e difendere la memoria perché, se si dimentica, non si fa nulla per impedire che i delitti e gli errori possano ripetersi.
Avremmo perso il nostro tempo se non avessimo accumulato esperienze, vissuto da uomini e fatto qualcosa, allora custodire la memoria è non avere perso tempo.
Certamente dimenticare a volte può essere un bene, ma ricordare ed analizzare ciò che ci ha dato il tempo è anche parte della nostra responsabilità.
I mutamenti scientifici, politici, sociali o culturali ormai avvengono ad un ritmo sempre più incalzante e l’uomo deve imparare a vivere secondo questi ritmi. Affrontare il futuro solo quando si presenta può essere un tragico errore.
Piccole decisioni o non decisioni, nel tempo possono produrre grandi conseguenze, allora è necessario imparare ad anticipare gli eventi, quando questi sono ancora controllabili e pertanto è importante conoscere anche il passato, come base di cultura per un migliore futuro.
In quei giorni di Febbraio del 1996, tanto per non smettere di pensare all’ambiente che mi circondava, ad un Superiore silenzioso che accoglieva le notizie di Ilardo sul “controllo” che la famiglia di Agrigento esercitava sull’On. Calogero Mannino, riscontravo poi le confidenze di un mio collega del ROS.
L’assassinio, ad opera di un commando mafioso, del M.llo Guazzelli, amico e referente dell’onorevole, aveva creato non solo dolore e sgomento nel Superiore, ma anche timore, tanto da indurlo a far rientrare precipitosamente dalla Sicilia il Cap. De Donno.
Il mio cercare poi di approfondire con Ilardo questa vicenda non aveva successo. E, come già fatto in altre occasioni ben specifiche, interrompeva ogni mia domanda dicendo che ne avrebbe parlato in seguito davanti al Magistrato.  Poi, per continuare a farmi pensare, il suo unico commento ai miei tentativi di conoscere quali fossero state le cause della morte del maresciallo era una chiara e significativa smorfia della bocca.
Sempre in quei giorni ad un ROS sempre più distratto ed interessato da altri problemi fornivo le indicazioni di vari obiettivi sul territorio, luoghi d’incontro e di riunioni per molti affiliati di Cosa Nostra che Ilardo mi aveva segnalato, sicuro che indagini ben mirate, supportate da ascolti ambientali, sarebbero state paganti.
L’infiltrato mi riferiva ancora che ormai la figura di Riina era in costante declino all’interno dell’Organizzazione. Non era un segnale positivo perché, nonostante i costanti richiami di Provenzano nel diffondere proclami di pace e di unità, necessari ad ottenere un futuro migliore più tranquillo e ricco di affari, la situazione non lo convinceva affatto e per, molti aspetti, gli ricordava il periodo che si era creato dopo la cattura di Leggio.

Gli Avvocati
Aveva da poco incontrato in Catania il Quattroluni Lello e, nell’ambito dei loro soliti discorsi, questi gli aveva dato ulteriori certezze che l’omicidio della moglie di Santapaola era stato voluto dalla sua stessa famiglia perché stava tentando di convincere il marito a pentirsi per favorire la posizione giudiziaria dei suoi figli, anche loro detenuti.
Nello stesso contesto era collocabile, secondo il Quattroluni, anche l’omicidio dell’avvocato Famà e l’aver ripetuto e sottolineato con un significativo timbro della voce la frase con la quale aveva commentato il fatto “che gli avvocati facciano gli avvocati”, lo aveva indotto a ritenere che il penalista era stato ucciso perché, o stava tentando di aiutare la donna nel suo progetto, o stava seguendo una autonoma strategia e probabilmente nemmeno nei confronti del Santapaola.
Tanto per dare ulteriore verve ai miei rapporti con il Superiore e suscitare la solita apprensione quando riferivo notizie che interessavano una certa politica che ormai avevo imparato ad affrontare, raccontavo prima le novità con finto disinteresse e, subito dopo, lasciavo sul tavolo del collega la solita relazione di servizio.
Stessa strategia che usavo nei giorni successivi quando Ilardo pensava bene di riferirmi di aver incontrato in Catania l’avvocato Minniti di Ardore, un paese in provincia di Reggio Calabria.
Il legale, suo amico, lo aveva già assistito in più vicende anche di carattere familiare e conosceva bene anche suo cugino Piddu Madonia. Nell’occasione gli aveva chiesto aiuto e collaborazione per favorire l’imminente campagna elettorale di Forza Italia sia in Sicilia che in Calabria dove era a conoscenza delle sue notevoli entrature.
Il Minniti in Calabria era un autorevole e considerato rappresentante di Forza Italia ed in quella regione aveva già ricoperto ruoli ed incarichi importanti in ambito politico. Questa volta, nonostante fosse sicuro di un suo successo personale, aveva ritenuto opportuno non esporsi e non aveva avanzato alcuna candidatura ripromettendosi di farlo poi in seguito.
Con la promessa di dare il massimo impegno per collaborare alla affermazione politica di Forza Italia salutava poi il legale e concordava successivi incontri.

Le Donne di Cosa Nostra
Nei giorni successivi seguii con ansia gli sforzi di un Ilardo affannato e mortificato, in lotta per non perdere la proprietà della sua casa di Catania, strangolata dai mutui e messa all’asta, ma fu una battaglia inutile che alla fine perse.
Il suo pensiero più ricorrente era quello di voler assicurare un minimo di futuro alla sua famiglia che poteva fare affidamento solo sul suo aiuto. Egli, infatti, per non transigere alle scelte fatte di ripudiare il suo passato di uomo di Cosa Nostra, non aveva voluto approfittare del suo ruolo nell’Organizzazione ed aveva contato solo sulle sue forze così come aveva imparato a fare una volta entrato in carcere, quando le promesse dei tanti amici e parenti erano diventate ben presto solo un amaro ricordo.
In una di quelle sere che seguirono, perché almeno non volevo fargli mancare la mia presenza ed il mio conforto, mi raccontò che di recente aveva partecipato ad una riunione di esponenti mafiosi della sua Famiglia.
Si era tenuta nella abitazione di Catania di Santoro Giovanna, moglie del Piddu, che aveva sovrinteso ad ogni discussione. Nella storia sempre più quotidiana di Cosa Nostra le donne stavano  imparando a rilevare il ruolo dei mariti, dopo aver seguito, in posizione assolutamente defilata, la loro storia criminale. All’incontro, infatti, aveva partecipato, con un compito di primaria importanza, anche Maria Stella, la sorella del Piddu, che si era presentata con il marito Tusa Salvatore. Il crimine di livello stava diventando sempre più donna.
Il tema principale esaminato era stato l’omicidio del Monreale Maurizio, il rappresentante dei Rinzivillo su Gela. Ilardo, Barbieri Carmelo, D’Alessandro Salvatore ed Insinna Loreto, capo mandamento di Vallelunga (CL) e parente dei Madonia, avevano fatto presente che la morte del Monreale era scaturita esclusivamente da contrasti tra questi e gli Emmanuello che, in autonomia, avevano deciso la sua morte ponendo la Famiglia di Caltanissetta davanti al fatto compiuto.
Gli Emmanuello, con questo comportamento, avevano disatteso l’impegno, contratto il giorno della loro affiliazione a Cosa Nostra, così come era stata voluta dallo stesso Piddu Madonia, di non aprire belligeranze su Gela con il gruppo dei Rinzivillo, storici appartenenti alla Famiglia di Caltanissetta e legati da stretti vincoli di amicizia con i Madonia, che l’Anna Rinzivillo, proprio in quei giorni, aveva rammentato all’amica Giovanna Santoro in luogo del marito detenuto.
La riunione si era poi conclusa con l’accordo che la Santoro e la Maria Stella, non appena fossero state autorizzate ad avere un colloquio, in vista dell’imminente Pasqua, con il Piddu, in quei giorni e trasferito presso la casa circondariale di Cuneo, gli avrebbero rappresentato la situazione così come era stata esposta.
Al capo Famiglia avrebbero anche chiesto una precisa direttiva da riferire poi all’Ilardo su come ricomporre la situazione. I propositi di vendetta dei Rinzivillo già in piena organizzazione, infatti, potevano aprire una sanguinosa faida tra i due gruppi, gettando Gela in nuova guerra utile a nessuno.
Ilardo, come mi spiegava, aveva utilizzato il tema della riunione per porre l’accento sullo stato di difficoltà e d’imbarazzo che gli aveva creato la decisione degli Emmanuello di far uccidere il Monreale ed aveva indotto le due donne a far prospettare al Piddu l’opportunità e la necessità di un suo nuovo incontro con il Provenzano, ciò per meglio esaminare in tutto il suo complesso la vicenda di Gela.  

War games di Cosa Nostra
Consegnata la solita relazione dopo qualche sera ci ritrovammo. Ilardo era sempre mortificato e dispiaciuto per aver perso la casa di Catania dove però continuava ad abitare, ma era determinato più che mai questa volta nel riuscire a mantenere la proprietà della masseria di Lentini (CT) anche questa preda dei mutui e messa all’asta, sempre non infrangendo quel suo codice d’onore di non approfittarsi dei vantaggi nel rivestire ancora apparentemente un ruolo in Cosa Nostra.
I rapporti con la sua Organizzazione erano tranquilli. Quella era la palude dove era nato ed aveva imparato a nuotare “fin quando avrò a che fare con i miei simili, saprò come affrontare ogni situazione, anche la più difficile, il mio unico timore è di quel qualcuno, posto al di fuori di questo ambiente che ci possa tradire ed il suo, Colonnello, non ne è indenne, specie sopra di lei”, commentava spiegandomi che aveva appena ricevuto i saluti di Pietro Aglieri, gesto che gli aveva fatto piacere, perché ne aveva considerazione come uno dei pochi mafiosi intelligenti e capaci ancora in attività.    
Concludevamo quella serata andando con il suo fuori strada nelle campagne che circondavano Barrafranca, paesino in provincia di Enna e localizzavamo una masseria che giorni prima gli avevano indicato come luogo di riunioni di molti seguaci del gruppo di Brusca alle quali forse anche lo stesso boss di Cosa Nostra aveva partecipato. Giorni dopo indicavo quell’ennesimo obiettivo al ROS.
Nel corso del viaggio mi riferiva di aver appena incontrato il Mattiolo Giovanni di Enna in compagnia di suoi due uomini, tali Lello Chiocco e Giacomo Sollami di Villarosa (EN). Questi ormai aveva messo in posizione minoritaria La Placa Salvatore nella Famiglia ennese e aveva  attentamente rinforzato il suo gruppo con nuovi ingressi.
Il Mattiolo con il suo solito fare vischioso e subdolo, appena giunto al suo cospetto, aveva immediatamente ribadito con enfasi la sua lealtà ed amicizia ai Madonia e si era subito reso disponibile a fare il nome del presunto appartenente alla Famiglia di Caltanissetta che alimentava inopportunamente le voci calunniose di incombenti tragedie tra le due Famiglie. Ilardo, però, lo aveva seccamente bloccato, affermando che ora per quella vicenda era competente Palermo e a lui non interessava conoscere alcun nome.
Non mi fu difficile immaginare la sottile soddisfazione dell’Ilardo nel vedere di aver messo in difficoltà il Mattiolo (che aveva creduto per un attimo di essere più furbo del Madonia) con la sua stessa trama, e la durezza della sua voce mentre pronunciava Palermo. Lo sguardo che mi rivolgeva distogliendo per un attimo l’attenzione dalla strada, ne fu la conferma.
Anche quella vicenda in fondo concorreva a sostenere la necessità di un nuovo incontro con il Capo di Cosa Nostra, concluse Ilardo.
Giorni dopo ci rivedevamo e come sempre passava a prendermi con la sua auto dopo avermi dato un diverso luogo d’incontro. In quella occasione mi riferiva che i suoi rapporti con Lorenzo Vaccaro erano ritornati distesi in quanto i riscontri che aveva fatto nei suoi confronti erano stati positivi. Nonostante ciò preferiva non abbassare la guardia per cui lo aveva incontrato in compagnia del solito e fidato Di Carlo, di Campo Franco (CL).
Il viaggio in Campo Franco gli era servito anche per fare visita a Salvatore Termine, il capo mandamento del posto, che aveva sostituito il fratello del Lorenzo, Domenico Vaccaro.
Altro dato interessante non solo come acquisizione investigativa, ma anche come ulteriore conferma di quante e quali fossero le strade a disposizione della Mafia per infiltrarsi negli apparati dello Stato, era il venire a conoscenza che la ditta “Russello” di Gela, collegata a Cosa Nostra con commesse di lavoro anche in Bulgaria, gestiva in quel tempo una trentina circa di mense tra le quali  quella della casa circondariale di Genova Marassi.
Non era indenne a questo tipo di colleganza mafiosa anche la ditta gelese “Abrams” il cui titolare Abbate Salvatore, assieme al fratello, era considerato un “avvicinato”. Specializzata nella vendita e nella installazione di sistemi informativi aveva gestito l’informatizzazione del Palazzo di Giustizia della cittadina.

I Mestieranti
Anche il settore politico registrava le sue novità. Il Senatore Sudano Domenico di Catania del CCD non si sarebbe presentato nelle prossime elezioni perché sotto inchiesta per ragioni di carattere terriero, mentre il Senatore Grippaldi Roberto, ora defunto, di Alleanza Nazionale sarebbe stato sostenuto anche da loro nella provincia di Enna dove si era candidato.
In Sicilia la campagna elettorale dei vari candidati era gestita dagli imprenditori così da evitare che i mafiosi potessero comprometterli. In Gela si stava favorendo la candidatura di un esponente di Forza Italia per il Senato ed uno di Alleanza Nazionale per la Camera dei Deputati.
Il connubio imprenditoria, Mafia e Stato non era in fondo una sconvolgente verità, ma una ulteriore conferma di quanto già si era a conoscenza. L’imprenditore predicava il mercato, ma ne esorcizzava il fondamento, il rischio degli investimenti e pertanto aveva scommesso sulla corruzione dello Stato.
Non volendo e non riuscendo a fare prodotti competitivi chiesero aiuto allo Stato in un intreccio tra corruzione e autarchia e così molti degli imprenditori e grandi industriali si allearono con il governo occulto della corruzione di Stato e la Mafia.
Ci incontrammo poi a Genova nell’aprile del 1996. Stavo attraversando in quei giorni un momento difficile che avrebbe segnato indelebilmente la mia vita e quella della mia famiglia, anche se tutto questo aveva avuto probabilmente inizio già dal settembre 1993, quando avevo conosciuto Ilardo. Ma questa è un'altra storia.
Pochi giorni prima in Roma, presso il ROS, dopo aver ricevuto dal Superiore i soliti muti silenzi su Mezzoiuso ed aver visto che già da tempo lo specialista preposto a quel compito frequentava un corso a Civitavecchia, ricevevo la disposizione di prospettare all’Ilardo una sua collaborazione ufficiale con la Giustizia, se non vi fosse stata entro breve tempo la possibilità di un secondo incontro con il Provenzano.
In un rituale che ormai conoscevo a memoria per averlo praticato sin dai tempi del mio servizio nei Reparti Speciali di lotta al Terrorismo e Sez. Anticrimine e che avevo imparato a temere,  arrivarono le solite promesse e le solite rassicurazioni. Anche in questo caso mi presi l’impegno che non ci sarebbero stati problemi sul futuro e sulla sicurezza del collaboratore e della sua famiglia.
Promesse. Più uno promette tanto meno mantiene.
La cultura dei Mestieranti è quella dell’imbonimento. Solitamente si presentano aperti, volitivi, schiettamente democratici, ma il loro è solo un camuffamento, sono dongiovanni del successo, cercano l’applauso ed il consenso, non interessati a progettare il futuro a tempo lungo e non rispondono mai di quello che fanno.
Con Ilardo c’incontrammo nei pressi di un giardino pubblico che domina dall’alto il porto di Genova ed in quella mattina di Aprile il traffico delle navi containers, dei traghetti e delle navi da crociera si esaltava più che mai in quella bella giornata di primavera che sapeva già di estate.
Per un attimo ci lasciammo catturare da quello spettacolo dove enormi navi alte come castelli composti da containers dalle scritte multicolori procedevano lentamente sull’acqua, schiacciate dal loro peso, afferrate alle corde di più rimorchiatori che affannati le tiravano fuori dal porto.
Solo dopo aver sentito che aveva completato le visite mediche per ottenere il prosieguo della sospensione della pena per motivi di salute feci presente ad un Ilardo attento e silenzioso che ormai era giunto il tempo di prendere in considerazione la possibilità di collaborare ufficialmente con la Giustizia e di accedere al programma di protezione.
Quella eventualità non era un fatto nuovo per noi. Più volte l’avevamo affrontata nei nostri discorsi specie in previsione che i tempi di un secondo incontro con Provenzano si sarebbero notevolmente dilatati: il proseguire ancora nella sospensione della pena avrebbe sicuramente alimentato dei sospetti.
La scelta di collaborare ufficialmente l’avrebbe fatto uscire da una situazione di ambiguità e gli avrebbe permesso di spiegare pubblicamente i motivi del suo rifiuto di quella vita e di intraprenderne poi una nuova con la sua famiglia senza più sottrarre loro altro del suo tempo, scrupolo che lo aveva sempre accompagnato.
Anche se avevo imparato a conoscerlo riuscì a sorprendermi di nuovo quando con voce che non tradiva alcuna emozione ed lo sguardo fisso mi diede il suo impegno di voler collaborare ufficialmente con la giustizia e di segnalare ciò alla Autorità giudiziaria di Palermo di cui aveva assoluta fiducia e non solo a quella di Caltanissetta come mi aveva chiesto di prospettargli il Superiore. Una scelta che mi trovava perfettamente d’accordo. Il suo commento fu solo questo “Colonnello sa che questa decisione cambierà la mia vita le chiedo solo di starmi vicino, vedrà quante ce ne faranno passare”.
Prima di prendere l’aereo che l’avrebbe riportato a Catania aveva ancora il tempo e la voglia di riferirmi le ultime novità. Anche Brusca Giovanni, grazie all’opera di Francesco La Rocca, si era inserito nella gestione degli appalti di Sigonella. Provenzano si era fatto vivo e gli aveva chiesto alcuni favori per delle ditte che operavano nella zona di Agrigento e di Enna impegnate nei lavori del costruendo metanodotto.
In Enna poi gli era stato richiesto d’interessarsi dei problemi che assillavano il titolare di una ditta di trasporti la “Val Transport”, tale Calabrese, che era un prestanome del cugino Piddu, il quale faceva anche da collettore e punto di riferimento per le ditte che dal resto dell’Italia venivano a lavorare in Sicilia.
A Roma, al Superiore, facevo presente che l’Ilardo aveva dato la sua disponibilità a collaborare ufficialmente, ma preferiva che anche l’AG di Palermo fosse informata della sua decisione, anche io vedevo l’opportunità di questa scelta.
L’infiltrato, nei giorni successivi, avrebbe verificato se ancora esistevano concrete ed immediate possibilità per ottenere un nuovo incontro con il Capo di Cosa Nostra, altrimenti sarebbe stato pronto ad accedere subito al programma di protezione. Solo nell’imminenza ne avrebbe parlato con la moglie e le figlie più grandi.
In Sicilia con il Superiore rappresentammo al Dr. Caselli, allora Procuratore Capo presso il Tribunale di Palermo, la disponibilità data dall’Ilardo alla collaborazione, questi ne fu entusiasta, anche il Dr. Tinebra responsabile della Procura di Caltanissetta considerò altrettanto importante la scelta del confidente di cui era noto l’alto spessore e la lunga militanza in Cosa Nostra.
Nei giorni seguenti con un collega del ROS ritornai dal Procuratore di Caltanissetta che m’indirizzò poi alla Procura di Messina dai Procuratori Zumbo e Vaccarezza per far trasmettere al suo ufficio la pratica dell’Ilardo che stava giungendo da Genova.
Tanto per rendere sempre più semplice la mia vita e le mie scelte, il Superiore pensò bene di farmi presente che Ilardo avrebbe fatto bene a scegliere come suo unico interlocutore il Dr. Tinebra e l’incontro che poi ne seguiva presso la Procura di Caltanissetta, non lasciava spazio ad altre interpretazioni.
In quello stesso giorno, la sera, incontravo Ilardo e così le sere immediatamente successive.  Nonostante il Superiore mi raggiungesse telefonicamente, ricordandomi di fare in modo che Ilardo nel corso del primo incontro, già concordato con entrambi i Procuratori delle due province siciliane, scegliesse, apparentemente di sua volontà, quale suo unico interlocutore, quello di Caltanissetta consigliavo il collaboratore, presente per altro alla telefonata, di non escludere affatto il Dr. Caselli.
Era lo stesso Ilardo che chiudeva ogni mio discorso. “Colonnello, non stia più a dire niente, la scelta l’ho già fatta dal primo giorno che ho deciso di collaborare con lo Stato, io del Dr. Caselli, come le ho sempre detto, ho piena fiducia e sarà lui il mio referente ”.

“Vedrà ancora quante ne passeremo quando inizierà la mia collaborazione” e quasi a darmene una conferma, se mai ce ne fosse stato il bisogno, mi raccontava che in quei giorni aveva rivisto un parente di Domenico Farinella con il quale era in contatto e dai suoi discorsi comprendevo che era una delle sue fonti più fidate e di livello all’interno dell’Organizzazione per verificare costantemente la sua sicurezza.
Il Farinella era il terzo mandante mafioso degli attentati dinamitardi eseguiti a Milano, Firenze e Roma, questi, insieme all’imprenditore Michelangelo Alfano che operava direttamente su Roma ed era a lui strettamente legato, gestiva un altro canale di Cosa Nostra in contatto con gli ambienti deviati delle Istituzioni e della Politica. Anche la Massoneria aveva il suo ruolo.
Di quanto avevano concordato e stavano tuttora concordando, ne avrebbe poi diffusamente parlato in sede di collaborazione ufficiale, ma ora, come gli assicuravo, quel discorso non avrei dovuto nemmeno accennarlo ai miei Superiori perché ne avrebbe pregiudicato inevitabilmente la sua sicurezza personale.    


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Il colonnello dei carabinieri Michele Riccio

Il colonnello Michele Riccio inizia la sua carriera quando, dopo aver operato in Sardegna e sul confine Iugoslavo al comando della Tenenza CC. di Muggia (TS), nell’ottobre del 1975, viene trasferito al comando del Nucleo Investigativo CC. di Savona.
In seguito ad alcune fortunate operazioni di servizio che vedevano l’arresto di pericolosi latitanti affiliati alla ‘Ndrangheta, la liberazione di alcuni sequestrati e la risoluzione di alcuni efferati omicidi, veniva notato dall’allora Gen. Dalla Chiesa, comandante della brigata Carabinieri di Torino che gli affida numerose indagini molto delicate.
Questo rapporto continua anche dopo il suo incarico di Responsabile Nazionale del circuito carcerario; poi, alla conclusione della vicenda Moro, nel 1978, il generale Dalla Chiesa assume il comando del Nucleo Speciale Antiterrorismo e vuole il colonnello Riccio al comando della Sezione Anticrimine di Genova.
Il rapporto fra i due prosegue fino al giorno della tragica scomparsa del Generale e della moglie e non ebbe solo risvolti investigativi, ma anche personali e di affetto.
Alle sue dipendenze il colonnello Riccio gestisce i maggiori collaboratori, primo fra tutti, Peci, partecipando a numerose operazioni e missioni investigative anche al di fuori della Liguria. Nell’ambito di queste attività consegue anche la medaglia d’argento al valore militare.
Prosegue nel suo servizio dapprima sempre nei Reparti Speciali Anticrimine e poi al ROS, svolgendo operazioni nei confronti sia del Terrorismo Nazionale che Internazionale, vedi indagine Achille Lauro, cellula terroristica Hendawi, responsabile di numerosi attentati esplosivi, sia della Criminalità Organizzata di livello anche internazionale, contrastando, quindi, anche i traffici d’armi e di stupefacenti, non dimenticando sempre la liberazione di sequestrati, primo fra tutti la minore Patrizia Tacchella. E’ questa l’ occasione in cui Riccio conosce personalmente De Gennaro.
Tra le varie inchieste anche quelle sulla mafia siciliana, in particolare le connessioni relative all’appalto del Casinò di Sanremo negli anni ‘80 e quella contro gli affiliati della Famiglia di Bolognetta, i Fidanzati.
Dopo queste esperienze passa alla DIA dove riceve dal Dr. De Gennaro l’incarico di dare vita all’inchiesta che denomina «grande Oriente», dal nome in codice della fonte, «Oriente», aggiunge il termine «grande», con riferimento agli ambienti massonici che erano uno dei contesti principali dell’indagine e pericolosa continuità per il bene dell’Istituzione. Il resto è storia o cronaca.


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Ciro Vara interrogato

Palermo. Il collaboratore di giustizia Ciro Vara, uomo fiducia di “Piddu” Madonna e compagno di scuola di Nino Giuffrè, è stato interrogato dai procuratori di Caltanissetta e Palermo Francesco Messineo e Piero Grasso. Vara è stato indicato dai pentiti Leonardo Messina e Angelo Siino come un referente degli appalti pubblici. Il boss, oggi pentito, avrebbe partecipato a numerose riunioni della Commissione regionale, ad alcune in particolare, in cui si sarebbe parlato del tentativo di aggiustare il maxi processo in Cassazione.


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