Non ha senso minacciare senza un potere ricattatorio
di Lorenzo Baldo



Dott. Tescaroli, come pensa si possa interpretare questo inquietante messaggio che Riina ha voluto lanciare nell’ambito del processo per il fallito attentato all’Olimpico?
Io credo che per cercare una interpretazione aderente alla realtà sia necessario collocare questo intervento nell’ambito di ciò che è accaduto negli ultimi mesi. In particolare è utile collegare l’iniziativa di Riina con altre: quella di Leoluca Bagarella, il quale, in pubblica udienza, ha lanciato un proclama sui mafiosi stanchi di essere usati come merce di scambio dalla politica. Ha fatto seguito il documento indirizzato agli avvocati palermitani che siedono in Parlamento da parte di 31 boss mafiosi, nel quale si afferma che dalla protesta “pacifica e civile” dello sciopero della fame, se non sarà abolito il regime carcerario duro di cui all’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, si passerà a forme più drastiche. Delusa l’aspettativa dell’eliminazione di tale rigoroso regime carcerario e dopo la presentazione di progetti di legge contenenti regolamentazioni idonee ad offrire tangibili vantaggi agli appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, la settimana precedente il Natale scorso è comparso uno striscione allo stadio di Palermo con la scritta “uniti contro il 41 bis, BERLUSCONI dimentica la Sicilia”. Striscione sbandierato da sconosciuti che sono fuggiti tra migliaia di tifosi e tolto dai poliziotti subito intervenuti. Risale solo a pochi giorni fa l’iniziativa di Salvatore RIINA, il quale, dopo un silenzio durato anni, in video conferenza dal carcere di Ascoli, si è chiesto chi lo avesse fatto catturare, ha affermato che qualcuno aveva trattato la sua cattura con lo Stato ed ha invitato ad approfondire la questione. Tali comportamenti inducono a ritenere che all’interno di Cosa Nostra si stiano verificando mutamenti significativi ed appaiono come sintomo rivelatore di una sua nuova strategia politica di Cosa Nostra basata sull’intimidazione progressiva, che si sta articolando attraverso messaggi trasversali.
E’ una considerazione di carattere logico perché non ha senso minacciare qualcuno se non si ha un potere ricattatorio.
Del resto la situazione che oggi viviamo è del tutto peculiare: i mafiosi reclamano la loro parte, i detenuti si sentono abbandonati a causa della definitività del carcere duro, e lanciando programmi minatori dagli istituti penitenziari sperano di poter beneficiare di nuove regolamentazioni contenute in progetti di legge all’attenzione del Parlamento.
Potremmo trovarci di fronte ad iniziative dirette ai propri referenti istituzionali per pretendere l’attuazione di pregressi accordi o per muoversi verso la ricerca di nuove intese con personaggi inseriti nelle maglie del potere, prospettando implicitamente la possibilità di indirizzare i propri sostegni elettorali in maniera difforme.
Solo se le aspettative nutrite naufragheranno definitivamente è plausibile ritenere che la nuova strategia possa sfociare in azioni omicidiarie, nel quadro di una rinnovata strategia terroristico eversiva.

Ritiene possano essere altri i destinatari di tali segnali e dell’intervento di Salvatore Riina in particolare? Bernardo Provenzano, attuale capo di Cosa Nostra, come potrebbe recepire questo “comunicato”?
Tale agire risulta diretto anche ai vertici dell’organizzazione in stato di libertà (fra i quali Bernardo Provenzano) per scuoterli e sollecitarli ad agire perché si trovi un qualche sbocco per risolvere i problemi dei detenuti. Il mafioso è molto attento a tutto ciò che può favorirlo nei delicati equilibri politici, non è abituato a sentirsi trascurato e a non godere dei benefici derivanti dal potere. Non tollera di morire sepolto vivo in carcere e pretende di entrare nella sfera che garantisce l’impunità, a modo suo, con la minaccia. Comprende che si può sfruttare il calo di tensione nella lotta alla mafia, la situazione di conflittualità istituzionale tra alcune classi politiche e la magistratura che sta portando ad una ristrutturazione del sistema penale e ad una nuova regolamentazione della giustizia.

Come si potrebbe ipotizzare la reazione di Provenzano?
Occorrerebbe avere una sfera di cristallo per prevedere ciò che potrebbe accadere.
Si possono formulare diverse ipotesi. Si può immaginare sia che le sollecitazioni non vengano raccolte, sia che Provenzano ed i suoi si determinino ad agire. In tal caso, si può immaginare un attivarsi presso i referenti istituzionali per richiedere un loro intervento in sede legislativa, anche attraverso l’intimidazione. Desidero rimarcare che viviamo in un periodo molto difficile per l’antimafia. La questione mafia è uscita dalle priorità governative.
La mafia è riuscita a farsi dimenticare, nonostante tutto ciò che è accaduto nell’ultimo decennio. È riuscita, contestualmente, a recuperare il proprio potere. Perciò, non possiamo sottovalutare e lasciare passare inosservati atteggiamenti ed iniziative come quella di Riina.
Deve far riflettere la circostanza che il suo intervento non abbia suscitato un enorme clamore nel Paese.
Stampa e telegiornali hanno dedicato poco spazio. Sembra vi sia una sorta di tacita accettazione dell’esistenza dell’organizzazione mafiosa, quasi che con la stessa si dovesse convivere, come qualcuno improvvidamente ha detto.

Effettivamente la stampa sia televisiva che cartacea è stata pressoché assente.
Sarebbe auspicabile una maggiore attenzione da parte di tutti, soprattutto della politica.

E’ possibile, secondo lei, fare un parallelo con il 1992, quando ci fu la famosa trattativa tra Riina e Ciancimino, Mori, De Donno, nella quale, secondo quanto riportato in varie motivazioni delle sentenze, furono avanzate le richieste del “papello”? Si profila la possibilità di nuove trattative?
Fu sul finire del 1991 – inizi del 1992 che si concepì e si attuò una strategia di attacco allo Stato, eliminando i tradizionali referenti politico istituzionali che non avevano garantito le aspettative dell’organizzazione sull’aggiustamento del primo maxi processo. Vennero uccisi Salvo LIMA ed Ignazio SALVO e si progettò l’eliminazione di alcuni politici. Con la sua azione violenta Cosa Nostra seppe incidere sugli assetti di potere esistenti e contribuì a creare le premesse per la formazione di nuovi aggregati politici correlativamente all’evolversi della vita del Paese, nel mentre venivano coltivati rapporti e relazioni tra i vertici di cosa nostra e referenti istituzionali. In quel contesto temporale, l’allora ministro dell’interno, il 7 settembre 1992, fece riferimento all’interesse dei “centri eversivi a destabilizzare gli assetti istituzionali” ed a segnalazioni di “diverse fonti, anche estere”, di ulteriori “iniziative terroristiche clamorose”. Sempre in quel periodo iniziò a maturare l’arresto di RIINA, si inserì l’azione di Vito CIANCIMINO quale intermediario di relazioni con appartenenti alle istituzioni e cosa nostra inoltrò una serie di richieste allo Stato affinché intervenisse sulla legislazione relativa al sequestro dei beni mafiosi, al regime carcerario del 41 bis e ai collaboratori di giustizia. RIINA fu arrestato, ma la strategia del terrore fu portata avanti proprio dai corleonesi guidati da Bernardo PROVENZANO con gli attentati al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione, raggiungendo il suo culmine con l’attentato non riuscito allo stadio Olimpico. L’ondata stragista cessò quando la classe politica dominante stava per essere disarcionata. I recenti segnali ricordati inducono a ritenere che, in forme diverse, la storia si possa ripetere. Oggi come allora i mafiosi si sentono in parte traditi. Negli anni ’90 per la definitività delle condanne, il riconoscimento e l’individuazione delle regole di funzionamento della loro organizzazione, oggi per l’inadeguatezza dei vantaggi ottenuti.

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