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di Claudio Fava



Ormai s’è detto tutto sullo striscione incriminato allo stadio di Palermo (“uniti contro il 41 bis...”): è Cosa Nostra che torna ad alzare la testa, è la resipiscenza del consenso mafioso, il segno di una rottura che si sta consumando tra i boss in galera e quelli a spasso... Osservazioni sacrosante, ci mancherebbe. Nessuno però ha avuto il coraggio di spostare lo sguardo e lo sdegno sulla seconda riga dello striscione, che è il messaggio più grave e più ambiguo “Berlusconi dimentica la Sicilia”. Certo, potrebbe trattarsi solo d’una provocazione, una goliardata da curva sud. Se non fosse che chi esponeva quello striscione sapeva di rischiare la galera. E dunque avrà deciso di pesare ogni parola e ogni allusione, senza lasciare nulla al caso. Ma allora, che vuol dire quel richiamo ai patti? Di quale Sicilia si sarebbe dimenticato Berlusconi? E cosa può permettere l’accostamento tra il carcere duro per i capi della mafia con un presunto obbligo di memoria e di riconoscenza da parte del capo del governo?
Una sola persona avrebbe potuto spazzare via ogni dubbio, dichiarandosi, come tutti noi, offeso da quello striscione e da quell’allusione. Quella persona è Silvio Berlusconi: e non lo ha fatto.
Avrebbe potuto dire, semplicemente: non siete voi, voi mafiosi, la Sicilia di cui mi devo ricordare. Non saranno i capi di Cosa Nostra a condizionare l’azione del governo. Né i proclami sdegnati e ammiccanti dalla galera, il richiamo ai patti, alle intese elettorali, alle promesse del centrodestra... Questo avrebbe potuto spiegare il cavaliere, senza dover alzare la voce. Invece ha taciuto, lasciando che fosse il suo ministro dell’Interno a spostare l’attenzione, com’è più utile in queste circostanze, sulla caccia all’uomo, l’identificazione dei responsabili, gli interrogatori...
Ora, scoprire che il figlio, la donna o il fratello di un capomafia non sono affatto d’accordo con il regime del carcere duro previsto dal 41 bis mi sembra elementare come l’acqua calda. Non è quel sentimento che mi preoccupa. E’ il messaggio che si accompagna a quel sentimento, quel voler tirare dentro il capo del Governo, rinfacciargli la scarsa memoria, farlo nel luogo più esposto agli sguardi e al giudizio: la tribuna d’uno stadio, domenica pomeriggio. Certo, potremmo pensare che si tratti davvero d’un modo per aumentare l’audience, e che il riferimento a Berlusconi sia servito solo a conquistarsi le prime pagine. Ma abbiamo il diritto, in nome di un sereno e smemorato Natale, di dimenticare ciò che ci hanno appena raccontato i verbali di interrogatorio di Nino Giuffré? Forza Italia come collettore di voti mafiosi. E il partito di Berlusconi scelto da Cosa Nostra per rilanciare la trattativa con lo Stato su quattro punti precisi: ergastolo, 41 bis, revisione dei processi e legge La Torre.
Balle? Fantasie? Provocazioni? Ce lo auguriamo.
Ma di fronte ad un governo che sta lentamente smantellando tutti gli strumenti normativi e giudiziari della lotta alla mafia (fatta eccezione, fino ad ora, proprio per il 41 bis), l’unico modo per fugare questi sospetti sarebbe stato il coraggio di dire, senza reticenze, da che parte sta il partito del Premier. E di restituire al mittente, senza perdere un solo istante, il dubbio che quel messaggio palermitano insinuava. Se vent’anni fa gli amici dei mafiosi avessero srotolato uno striscione come quello della Favorita, magari scrivendo che il presidente Andreotti s’era dimenticato della Sicilia mafiosa, una risposta - netta, ferma - da palazzo Chigi sarebbe arrivata comunque. Da Silvio Berlusconi è arrivato invece solo un tiepido silenzio. Verso i mafiosi e verso gli onesti. Ne prendiamo atto.
(Tratto da L’Unità, 27 dicembre 2002, per gentile concessione dell’autore).


ANTIMAFIADuemila N°28
 

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