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«Ci sono Ministri in carica coinvolti»
Calogero Pulci, su appalti e stragi, sarà presto ritenuto pienamente attendibile


di Anna Petrozzi

E’ sicuramente uno dei collaboratori più controversi. Ma c’era da aspettarselo viste le dichiarazioni che Calogero Pulci ha rilasciato ai magistrati che lo stanno interrogando nell’ambito di diversi procedimenti, dagli appalti alle stragi.
Pulci, oltre ad essere uomo d’onore, era anche assessore al comune di Sommatino, dove esercitava ovviamente, anche gli affari di Cosa Nostra.
Affiliato nel 1984 in via «riservata», in quanto il padre aveva fatto prendere e condannare i suoi attentatori qualche anno prima, infrazione inaccettabile delle regole, diviene uomo d’onore «ufficiale» nel 1989 ed entra a far parte della famiglia di Giuseppe «Piddu» Madonia, capo della provincia di Caltanissetta, che gli fa addirittura da padrino.
«Il rappresentante della famiglia di Sommatino, che aveva ordinato l’omicidio di mio padre, era stato messo fuori famiglia. C’era un altro rappresentante che non ... che era stato nominato con l’influenza di Madonia. Era cambiato anche, come si dice? era cambiato l’ambiente di Cosa Nostra locale», spiega il collaboratore ai giudici al processo dell’imprenditore Giacinto Scianna, condannato lo scorso anno.
Il suo principale incarico consisteva nell’assistere «in tutto e per tutto» la latitanza del boss Madonia, compresi gli spostamenti e sarebbe lui in persona, secondo Pulci, la fonte principale da cui ha tratto le rivelazioni ai magistrati.
Egli infatti lo avrebbe accompagnato a diverse riunioni, alcune delle quali relative alla strategia stragista cui avrebbe preso parte anche Totò Riina. Pulci sostiene inoltre di aver svolto anche da portavoce al servizio di Madonia, soprattutto in vista di problemi interni alla gestione del mandamento di Caltanissetta
Relativamente alla «guerra di mafia» scoppiata a Gela alla fine dell’ ‘89, ad esempio, Pulci spiega che «era stata voluta da Madonia per una serie di circostanze e Madonia aveva avuto un accordo con i... diciamo, con alcuni chiamati stiddari per non toccare alcune persone, tra i quali i familiari di Madonia che abitano a Gela, che lavoravano a Gela, e su duecento morti fatti a Gela uno dei Madonia non è stato neanche... no ferito, neanche provare a farci l’attentato, perché l’accordo ha retto. E allora poiché c’era questo accordo sotto banco, trattandosi di ammazzare qualcuno, perché si cambiava modalità? Per far cadere il sospetto su un gruppo o su un altro, per non rompere l’accordo che avevamo con gli stiddari di alto livello».
Non solo di tragedie però è a conoscenza Pulci. Nel corso della collaborazione ha riferito agli inquirenti di movimenti finanziari di grossa entità effettuati dai Madonia in Italia, come all’estero. In particolare, egli stesso imprenditore, ha ammesso di essersi occupato personalmente di «compravendita di alloggi, un’industria qua in Sicilia, un complesso residenziale a Malta»... ed è così che ha preso il via la sua iniziazione mafiosa.
«Io quel lavoro che ho fatto a Palermo miliardario ero io da prestanome; praticamente da quel lavoro si traeva la tangente per pagare Cosa Nostra .  ... E da lì cominciai a frequentare il Madonia fino al punto che mi fece uomo d’onore».
Una fiducia e una confidenza tali da permettergli di recarsi dal Madonia, rifugiatosi a Bagheria, «una zona franca» per i latitanti, senza alcun preavviso.
Ed è proprio in una di queste visite a sorpresa che si imbatté in una riunione al vertice di Cosa Nostra.
Interrogato dal Presidente del tribunale Francesco Caruso nell’ambito del procedimento per la strage di Via D’Amelio, il collaboratore ha raccontato:
«Oltre a Madonia c’era di sicuro Totò Reina, perché me lo disse Madonia. Mi disse: ’Vattinni ca cca nun è ca ci su... vatinni ca c’è traficu, c’è genti...’».
Pulci spiega che con questa affermazione il Madonia intendeva fargli capire che c’era in corso una riunione importante e che il suo arrivo inaspettato poteva mettere in imbarazzo qualcuno.
«Tenga presente (si rivolge al Presidente ndr.) che se c’era, per esempio, in quella riunione «il ragioniere», «il ragioniere» ha un... è un tipo che ha un carattere tutto suo, particolare; io lo conosco bene perché l’ho anche trasportato e lo conosco bene. Ed è un tipo che meno caciara c’è e meglio è; è anche per questo che è difficile prenderlo, perché non usa... usa troppo prudenza». (Il ragioniere è Bernardo Provenzano ndr.)
Riferisce poi che ad un tratto Pietro Aglieri raggiunse il luogo dell’appuntamento, ma si trattenne solo per pochi minuti per poi andarsene assieme al suo autista Gaetano Murana. Erano poi presenti Giacinto di Salvo, il padrone di casa, e Totò Biondino, autista personale di Riina, arrestato con lui a Palermo il 15 gennaio 1993.
Fu poi il Madonia, sempre secondo la ricostruzione di Pulci, a precisare che nel corso di quella riunione si era affidato a Pietro Aglieri il compito di organizzare l’eliminazione del dottor Paolo Borsellino.
Sulle stragi Pulci apre un capitolo estremamente delicato. Ed è qui che cominciano i suoi problemi. Sentito dalle Procure di Palermo e Caltanissetta ha rivelato particolari ritenuti importantissimi sui moventi e sui possibili mandanti esterni degli eccidi Falcone e Borsellino. Il suo dito punta dritto ai piani alti: «ci sono Ministri della Repubblica Italiana coinvolti... e ministri in carica».
«Perché Totò Reina da solo, Signor Presidente, non poteva... non aveva il potere di potere ordinare e organizzare quelle stragi, da solo non lo poteva fare, altrimenti se lo faceva ini... si metteva in guerra con tutte le provincie siciliane. Già c’erano discordanze per altri fatti».
Secondo Pulci, Riina ebbe l’appoggio degli altri capi commissione perché disse di essere garantito istituzionalmente.
«Tutti da... alla fine furono tutti concordi, però erano... erano del parere di farli fuori. Ma poiché Totò Reina garantì che a livello istituzionale eravamo coperti, che questi... queste stragi sarebbero passate come se niente fosse successo, si adeguarono tutti».
In particolare il fatto che la strage Falcone si dovesse eseguire a Roma, aveva tranquillizzato tutti.
«... erano tutti felici e contenti, perché, fatto a Roma non si poteva mai parlare di mafia, si poteva parlare di servizi segreti deviati, si poteva anche parlare della banda della Magliana, ma non di Cosa Nostra».
Pulci ricompone poi gli eventi preparatori all’attentato.
«Dopo queste... queste, diciamo, riunioni preliminari, ci fu un incontro a Roma. Io accompagnai Madonia, Madonia incontrò un alto funzionario del Ministero degli Interni, che era accompagnato con un’altra persona. Si incontrarono; stiedero, che Le posso dire, venti minuti - quaranta minuti insieme in un appartamento che io ho indicato. Dopo di ciò io, Antonino Gioè, un certo La Barbera che potrei riconoscere, ma comunque non è La Barbera quello che collabora, Totò Di Gangi, Enzo Ambla, tutti e due della provincia di Agrigento, due della provincia di Palermo, io della provincia di Caltanissetta e due della provincia di Catania, Enzo Aiello e Umberto di Fazio, ci recammo in Belgio a parlare con un certo Alì che era di origine turca. Perché Madonia mandò me? Perché io in Belgio c’ho parenti, per poter affittare un appartamento per abitarci, per non farci i documenti, per... cioè per non fare spuntare che noi eravamo là; un domani l’Autorità Giudiziaria poteva riscontrare che noi eravamo là. Allora, io telefono ai miei parenti, gli faccio affittare un residence, pagandolo con la carta di credito di mio cugino; che oggi (2001 ndr) l’Autorità Giudiziaria, cioè la Procura sta riscontrando, perché io c’ho dato i tabulati, tabulati telefonici, tabulati delle carte di credito. Cioè, oltre alle dichiarazioni, ci sto dando materiale di riscontro.
(... ) Siamo andati là per fare un certo accordo ... con questo signore turco che si chiamava Alì di San Gios (come da pronuncia) ... San Gios è un paesino dell’hinterland di Bruxelles. L’accordo era che ci doveva dare una fornitura di armi, che ci ha dato, trecento rivoltelle abbiamo preso e per questo traffico di armi già ci sono state delle persone condannate, tranne io; a me non mi hanno mai indagato e sono stato, come si suol dire, io l’artefice di organizzare il viaggio. Comunque ho avuto la fortuna allora di non essere indagato oggi mi sono autoaccusato. Oltre alle armi, ci doveva... avevamo fatto un accordo che ci dovevano fornire una persona che doveva ammazzare il giudice Falcone o dentro un cinema a Roma, che lui era solito frequentare con la moglie senza la scorta o nel ristorante...
... Con il funzionario del Ministero degli Interni c’era l’accordo di ammazzarlo a Roma.
Poi per depistare noi volevamo usare il turco, anche per garantire quel fantomatico funzionario. ... Il turco, da quello che avevo capito io, o si doveva far prendere o doveva fare il kamikaze, uccidendo il dottor Falcone...
... Rientriamo e prepariamo la strage a Roma; già c’erano le persone a Roma. Ad un tratto viene sospersa la strage, non si fa più, rientriamo. E rientriamo tutti; nessuno può chiedere spiegazioni».
Dopo l’omicidio Lima, che precedette quello di Falcone di soli tre mesi, Pulci riferisce di un’altra riunione, alla quale accompagnò il Madonia per poi andarsene, tra i vari capi mandamento la cui presenza è solo presunta dal Pulci che non ebbe modo di vedere alcuno. Sarebbe in questa circostanza che si decise di compiere la strage in Sicilia.
«Nella seconda (riunione ndr) si era deciso di farlo in Sicilia e c’erano alcuni che non erano di parere favorevole, tipo anche Madonia, dici: ‘Ma poi se succe... qua ci fanno il tappo’. Reina invece aveva detto che era garantito istituzionalmente e che non avrebbero preso provvedimenti, che tutto passava liscio, cioè erano coperti».
Le prime reazioni dopo la morte di Falcone apparirono soddisfacenti per gli uomini di Cosa Nostra.
«Ma erano tutti contenti, tutti felici, cioè che tutto era andata bene. E onestamente le debbo dire che anche a livello legislativo il Governo non aveva preso nessuna iniziativa, c’erano i soliti commenti politici - io conosco il linguaggio politico - le solite chiacchiere: ‘La mafia, non la mafia...’ chiacchiere inutili. I provvedimenti poi li hanno preso dopo, con la strage del dottore Borsellino, perché veramente erano arrivati a... al ridicolo. Cioè coprirne uno è un fatto, ma coprire anche il secondo la cosa era... Tenga presente che il dottore Falcone era malvisto anche da molta parte della Magistratura e dal Consiglio Superiore della Magistratura, che noi c’avevamo un componente laico che ci forniva notizie».
E in merito al possibile movente Pulci non risparmia inquietanti deduzioni tratte dalla sua esperienza di mafioso-politico-imprenditore.
«Allora, Falcone doveva essere ammazzato per una serie di fatti, che poi lui li ha aggravati quando ha rivestito il ruolo di Direttore Generale degli Affari Penali al Ministero di Grazia e Giustizia.  Poiché lui, diciamo irritualmente, sfruttando le amicizie che lui aveva personali, stava indagando su alcuni uomini politici, facendosi arrivare con... estratti conto corrente dalla Svizzera; lo hanno scoperto e lo hanno fatto ammazzare. Questo per quanto riguarda Falcone. Borsellino, siccome si è confidato con un uomo o due delle Istituzioni, lì lo hanno ammazzato.
... Tenga presente che nel febbraio già era scoppiata tangentopoli, quando arrestarono a Mario Chiesa. Quando Madonia per scherzo disse agli agenti che lo trasportavano: «Dite a Di Pietro che non va in Sicilia, perché lo ammazzano e poi danno la responsabilità alla mafia. Cosa voleva dire Madonia? Perché non era solo... noi quando parliamo di mafia la mafia è una parola in generale, qua noi stiamo parlando di Cosa Nostra; la mafia è un’altra cosa Signor Presidente. La mafia è un’altra cosa e uomini della mafia in carcere ce ne sono andati a finire poco e niente (...) e quelli che ci sono andati a fine sono stati scarcerati e poi, magari, assolti... con 530 comma II».
Allo stesso modo anche dietro all’assassinio del giudice Paolo Borsellino secondo la testimonianza di Pulci ci sarebbe la lunga e tenebrosa mano delle Istituzioni più o meno deviate, se non devianti.
«Le spiego: le due stragi furono decise contemporaneamente, ma si dovevano fare in date separate. Solo che quella del dottor Borsellino fu accelerata per un’imprudenza del dottor Borsellino, in quanto dopo la strage di Capaci, si confidò con un uomo delle Istituzioni a Roma, con l’uomo io direi sbagliato, che quello ci avvertì e accelerammo la...
(...) Fummo avvisati per fare la strage, perché la strage è diventata dopo, si doveva ammazzare il dottore Borsellino, come si doveva ammazzare il dottore Falcone, perché collegati sono».
In proposito il collaboratore ha un ricordo preciso.
«Eravamo a Enna e con precisione a Villarosa, dopo l’attentatone, (Capaci ndr) stavamo pranzando o cenando, non ricordo se eravamo a mezzogiorno o cena, e se non mi sbaglio sul TG3, guardavamo noi tutti i telegiornali, ci fu una conferenza stampa congiunta fatta dall’allora Ministro degli Interni Vincenzo Scotti e Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, dove dissero testualmente che era opportuno che il Consiglio Superiore della Magistratura riaprisse i termini per potere dare l’opportunità al dottor Paolo Borsellino di potere fare domanda per partecipare al concorso di Procuratore Nazionale Antimafia. E lì Madonia esclamò dicendo: ‘E murì Borsellino’».
Dichiarazioni esplosive ritenute credibili da parte degli inquirenti che forniscono importanti quanto agghiaccianti elementi di raccordo tra le varie parti del puzzle a cui stanno lavorando da anni gli investigatori alla ricerca dei mandanti esterni delle stragi. Inutile dire che sul personaggio Calogero Pulci sono infuriate accese polemiche e anche una querela da parte di Bruno Contrada che lo vede imputato assieme ad un altro pentito, tale Giuseppe Giuga, ritenuto un falso dagli inquirenti, il quale avrebbe cercato di screditarlo anche in merito alle dichiarazioni da lui rese sull’omicidio di Filippo Cianci. In questa circostanza il Pulci, al fine di scagionare il padre, sarebbe stato reticente, tuttavia alla morte dello stesso la sua collaborazione si è, per così dire, sbloccata, tanto che, secondo il suo avvocato, Enzo Guarnera, sarebbe in procinto di ottenere l’art. 8 ed entrare nel servizio di protezione a tutti gli effetti.
Indizi ancora altri indizi che fanno riecheggiare ogni volta sempre di più quella immediata certezza: non fu solo Cosa Nostra.


ANTIMAFIADuemila n°26

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