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I contorni sono ancora oscuri




Tommaso Buscetta, prima di morire, aveva detto che, secondo lui, Provenzano  stava colloquiando con qualcuno molto in alto a livello istituzionale. Nel ’95, però, secondo quanto si legge nella recente motivazione della sentenza del processo “Grande Oriente”, vi fu una concreta possibilità di catturarlo che, poi, è svanita per un errore di valutazione. Si tratta di un fatto che potrebbe rientrare nella trattativa?
La trattativa ha dei contorni molto oscuri. Mi rifaccio a quello che è stato scritto nella sentenza della Corte d’Assise per il processo di via dei Georgofili, che dice che la trattativa c’è stata, ha coinvolto un apparato dello Stato, i Ros, e dice che è intuibile cosa sia avvenuto, ma non è riscontrabile da nessuna delle persone che sono state interrogate e adombra l’ipotesi che questa trattativa abbia legittimato Cosa Nostra nella strategia stragista. Questo è quanto viene detto nella sentenza della Corte d’Assise, poi passata in secondo grado e, successivamente, anche attraverso il giudizio della Corte di Cassazione. Che cosa sia realmente avvenuto quando è iniziata questa trattativa traspare dalle dichiarazioni del colonnello Mori e degli altri ufficiali dei Ros. Da dichiarazioni incrociate, infatti, anche se non si sa con precisione la data – poiché ci sono alcune versioni differenti – si sa che per le stragi di Capaci e via D’Amelio ci sono stati i primi incontri con il figlio di Ciancimino da parte di ufficiali dei Ros e che, poi, ci sono stati gli incontri tra Gioè e Bellini, che è la parte di un’altra trattativa, sempre che faceva riferimento ai Ros. Su questo c’è una leggera divergenza di data: secondo Brusca, infatti, questi incontri erano avvenuti dopo l’omicidio di Lima e prima dell’omicidio di Falcone; stando a quanto raccontato da ufficiali del Ros e da Bellini, nonché dal maresciallo Tempesta, invece, sembra che fossero avvenuti prima dell’omicidio di Borsellino. Tuttavia, un primo contatto tra carabinieri e Cosa Nostra potrebbe esserci stato tra le due stragi. Quando questa trattativa sia terminata non si sa con certezza, tant’è che si può legittimamente sospettare che sia ancora in corso. Dico questo perché il 20 maggio il Corriere della Sera pubblicava la notizia del ritrovamento di un coniglio sgozzato nell’auto di Paolo Berlusconi; il giorno dopo, sempre il Corriere della Sera riportava un’intervista di Pierangelo Gaballera il quale raccontava che, ormai, il tempo era scaduto per i politici, che Cosa Nostra doveva decidere su quello che sarebbe successo, che qualcosa di grosso poteva accadere. Insomma, erano messaggi molto espliciti e, poi, è arrivata la sentenza della Cassazione su Capaci che proscioglieva tredici imputati.

Dato che i tredici ergastoli annullati riguardano personaggi vicini a Provenzano, come lo stesso Aglieri, questa sentenza potrebbe rappresentare una possibile risposta alla trattativa?
Questo non lo so. So che le motivazioni ancora devono uscire, che altre persone sono state confermate, cioè tutto il gruppo dei Corleonesi, Totò Riina, ecc.. Si tratta di una sentenza che deve essere letta con attenzione, bisogna leggere le motivazioni per riuscire a capirla. Certo che anche se si cerca di utilizzare quello che è stato detto dalla sentenza della Corte di Assise di Firenze, e se si usa quel paradigma della trattativa, non si è ancora in grado di capire quando e come è terminata, cosa è stato offerto e cosa è stato ottenuto. Ci sono molte variabili che non si conoscono.

In questo contesto, che interazione dai alla lettera di Pietro Aglieri?
La lettera di Pietro Aglieri è un gesto pubblico, plateale, abbastanza trasparente e chiaro ed è, senz’altro, un segnale che deve essere letto in questo modo. Se per esempio, però, analizziamo l’atto del Giardino dei Boboli, a Firenze, dove fu lasciato un proiettile di cannone della seconda guerra mondiale, ci accorgiamo che anche quello era un gesto apparentemente poco pericoloso: non c’era innesco, non era una minaccia esplicita, era un fatto che un giornalista non potrebbe neanche mettere in agenzia, in Ansa, tanto era minuscolo. Eppure, quel gesto aveva un suo valore, poiché le persone che dovevano sapere erano state avvisate, era un avvertimento. E credo che di avvertimenti ce ne siano stati tanti: queste stragi, soprattutto quella di Capaci e di via D’Amelio, sono state annunciate perlomeno tre volte, prima da Ciolini, poi da due articoli dell’Agenzia Repubblica, uno dei quali era stato scritto dall’onorevole Sbardella, oggi deceduto. Sbardella rilasciò un’intervista a La Stampa, proprio quando scoppiò l’allarme sul pericolo terrorismo – dopo l’omicidio Lima – lanciato da Ciolini (il quale, comunque, aveva avvertito che sarebbe successo qualcosa ancora prima che l’omicidio Lima avvenisse). L’intervista è riportata nel libro “La trattativa”, come anche quella lettera che, forse, impaurì un poco il giudice Grasso, poiché immediatamente dopo l’omicidio Lima avvenne la strage di Capaci, poi quella di via D’Amelio. Quegli avvisi, quelle lettere annunciate sono molto preoccupanti. Le stragi non sono catastrofi naturali. Le stragi sono fatte da soggetti criminali organizzati con delle finalità esplicitamente politiche e, se rianalizzate, soprattutto ora, hanno una lettura molto evidente: sono state annunciate, poi gli annunci si sono fatti più concreti – e parlo del proiettile al Giardino dei Boboli – e questo lo conosciamo poiché ne hanno parlato i pentiti, ma io ricordo che un anno fa era stato trovato anche dell’esplosivo sul Duomo di Milano e credo che si possa, in realtà, cercare di cogliere e di leggere molte delle cose che sono avvenute con un occhio un po’ più critico, cercando di capire che, magari, non sono esattamente come sembrano, ma che dietro di esse c’è qualcos’altro da capire. E dico questo poiché ci sono stati, anche recentemente, alcuni attentati abbastanza strani, come la bombola di gas nella metropolitana di Milano ritrovata accanto ad un foglio con scritte in arabo molto poco chiare. Anche quello, secondo me, potrebbe costituire un episodio da analizzare con più attenzione. Non dimentichiamoci che tutti gli attentati e le stragi del ’92 e del ’93 – queste ultime sicuramente – sono state firmate dalla sigla “falange armata”: i pentiti raccontano che questa sigla è utilizzata per distogliere l’attenzione da Cosa Nostra. Una scelta ben precisa tant’è che, poi, per lo stesso attentato a Contorno è stato usato un esplosivo diverso proprio perché, senno’, si sarebbe capito che la sigla “falange armata” corrispondeva a Cosa Nostra. C’è, quindi, un’attenzione molto precisa nel cercare di attribuire ad altri questi attentati. Allora, visto il ruolo fortemente politico che ha sempre avuto Cosa Nostra, mi domando se, nei prossimi mesi, proprio all’avvicinarsi della scadenza dell’intervento in Iraq, avvenissero degli attentati con sigle islamiche, saremmo in grado di capire che potrebbe anche esistere l’ipotesi che si tratti non di terrorismo islamico, ma di guerre tra bande per ottenere e contrattare certi favori? Sarebbe, infatti, molto comodo, da una parte, riuscire ad affrontare gli italiani e approntarli nella direzione di favorire un intervento contro l’Iraq e, nel contempo, avere il secondo fine di contrattare favori per i detenuti della più grossa organizzazione criminale esistente in Italia. Quindi invito a tenere molta attenzione su quello che sta succedendo e ad essere precisi nell’attribuire le responsabilità. Quando si vive nell’emergenza – come Bush vive in questo periodo di guerra contro il terrorismo – dobbiamo stare attenti, affinché in questa fretta, in questa emergenza, non si trascurino l’attenzione, l’analisi dei fatti, la comprensione di quello che succede, poiché le cose possono essere diverse da quello che sembrano.

Dalle intercettazioni è emerso che il figlio di Riina, da poco arrestato, avrebbe detto che “dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, giustamente mio padre è stato arrestato, ma se non fosse stato così lo Stato si sarebbe piegato”. Come si può interpretare una frase del genere?
Non so se sono valutazioni sue. Certo, in quegli anni la situazione era tragica, e mi riferisco al periodo successivo all’arresto di Riina: non dimentichiamo che tale arresto è avvenuto il 15 gennaio del ’93  e che nel luglio dello stesso anno si è sciolto il più grosso partito politico italiano, la Democrazia Cristiana e, poi, anche il Partito Socialista. Il ’92 e il ’93 hanno rappresentato un momento molto particolare, un momento di passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, un momento dove ciascuno si toglieva i sassi dalla scarpe mentre c’era un vuoto di potere che, oggettivamente, ha creato la preoccupazione da parte di Cosa Nostra di quale alleato scegliersi. Cosa Nostra aveva rotto i ponti con la Democrazia Cristiana e, successivamente, anche con il partito Socialista, poiché non garantivano quello che lei aveva richiesto, per questo era alla ricerca di un nuovo alleato. È iniziata una strategia di contrattazione con lo Stato difficile da interpretare. Una contrattazione che, per riuscire, aveva bisogno di non essere conosciuta dall’opinione pubblica e dagli altri organi investigativi, poiché se l’opinione pubblica l’avesse conosciuta si sarebbe mobilitata per impedirla, dato che lo Stato ha il compito di contrastare Cosa Nostra e non di trattare con essa, almeno per quanto riguarda gli organismi delegati a fare questo com’era, a quei tempi, il Raggruppamento Operativo Speciale dei Ros. Credo che lo Stato non fosse in una situazione di grande forza, tant’è che le versioni che vengono date ufficialmente dei primi incontri con Ciancimino e dei primi contatti con Cosa Nostra lasciano abbastanza perplessi coloro che le leggono: uno Stato debole, infatti, cosa poteva offrire nella trattativa con Cosa Nostra per ottenere la pace sociale? Non si riesce bene a capirlo se non si ricorre a delle insinuazioni che io non posso fare poiché non conosco i fatti come si sono davvero sviluppati. Tuttavia, però, credo che ci sia il bisogno di interrompere questa tratta di amnesia che ci obbliga a non capire gli ultimi dieci anni della nostra storia, bisogna avere il coraggio di guardarli fino in fondo, di capire esattamente cosa è avvenuto, anche a livello politico. Siamo ancora in tempo per farlo: i soggetti sono ancora tutti presenti ed è giusto che un Paese conosca la propria storia, la conosca fino in fondo, e sia in grado di capire cosa è successo, di rivendicarne il bene e di correggerne il male. C’è stata una grossissima lotta contro Cosa Nostra, lotta che hanno fatto gli organi di Polizia Giudiziaria, gli investigatori, la Dia, i Ros. Una lotta vera che va rivendicata. Poi bisogna anche capire che trattativa politica ci sia stata e chi l’abbia giocata, chi c’era dietro, quali organismi dello Stato. Noi abbiamo detto che dietro c’erano i Ros poiché alcuni ufficiali dei Ros hanno apertamente parlato di questo, anche se con sfumature diverse. Ma bisogna avere il coraggio di capire esattamente cosa sia avvenuto poiché, per ora, leggendo la sentenza del processo di via dei Georgofili e della Corte d’Assise, si ha il sospetto che siano intervenuti soggetti che non sono facilmente identificabili, ma anche operazioni non trasparenti, operazioni, cioè, che avevano finalità non chiare. Sembra di ritrovarsi sempre di fronte allo stesso paradigma: creare il terrore, le stragi, per favorire poi uno spostamento a destra del Paese, per favorire il debutto, come dicono alcuni pentiti, di forze politiche nuove. Per questo bisogna avere il coraggio di smettere di dimenticare quello che è successo, e avere il coraggio di pensare, di ragionare, di capire quelli che sono stati gli ultimi dieci anni. Perché le alleanze politiche che venivano prefigurate in quei mesi sono alleanze che potrebbero essere ancora oggi attive e, perciò, bisogna avere la capacità di vederle e di giudicarle.

Anna Petrozzi e Lorenzo Baldo



ANTIMAFIADuemila N°23 giugno 2002

 

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