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Antonino Cinà, membro del nuovo direttorio di Provenzano
di Anna Petrozzi




«La figura di CINA’ Antonino è di estremo rilievo all’interno della famiglia di San Lorenzo. Il CINA’, infatti, è non solo uomo d’onore della stessa famiglia, ma anche professionista e medico, titolare di un avviato studio di questa città di Palermo.
Il CINA’, inoltre, come vedremo, oltre ad appartenere ad una famiglia mafiosa implicata in tutte le principali stragi avvenute in questo paese per mano mafiosa, almeno sino al 1992, è stato anche protagonista della stagione della «trattativa» con lo stato, stagione aperta all’inizio dell’estate del 1992».

Senza indugio alcuno i procuratori Gozzo, Teresi e Paci  dipingono il ritratto del personaggio Cinà nella richiesta di custodia cautelare accolta dal Gip Marcello Viola nel luglio scorso.
Noto come il medico di Riina, il servigio di Cinà al boss e agli altri mafiosi, secondo l’accusa, andrebbe ben oltre la pura prestazione professionale. Già condannato, con sentenza passata in giudicato, a tre anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, svolgeva all’interno di Cosa Nostra un ruolo fondamentale, tanto che, secondo le indagini degli inquirenti, sarebbe entrato a pieno titolo all’interno del direttorio voluto da Provenzano in epoca successiva all’arresto di Riina nel 1993.
Al momento si trova in stato di arresto con l’accusa di cui sopra oltre ad essere imputato, nel processo cosiddetto «San Lorenzo 1», per estorsione.
Sono moltissimi i collaboratori di giustizia che confermano la sua influenza all’interno di Cosa Nostra e soprattutto la sua versatilità nel curare gli affari che andavano dagli appalti alla famosa trattativa di cui è ritenuto essere l’estensore dell’ormai famoso «papello».
Secondo Giusto Di Natale Cinà è vicinissimo a Provenzano con il quale, assieme agli altri componenti del nuovo «senato» di Cosa Nostra: Pietro Lo Jacono, Salvatore Lo Piccolo e Diego Di Trapani, avrebbe tenuto, all’indomani delle stragi, più di una riunione per determinare il nuovo riassetto dell’organizzazione. (Secondo le indagini farebbero parte del direttorio anche Matteo Messina Denaro e Antonino Giuffré).
Un gruppo ristrettissimo che si riservava di prendere decisioni senza che gli altri capimandamento ne fossero a conoscenza. Una sorta di élite che si è definita dopo l’arresto di Bagarella nel 1995 quando anche Diego Di Trapani assume il comando del mandamento di Resuttana, per volere di Nino Madonia. In realtà la reggenza era stata affidata a Guastella, ma, secondo la ricostruzione dei magistrati, l’ «area di Provenzano» stava «tramando contro il Guastella che era della schiera di Vito Vitale, e quindi di Bagarella». Prova ne sia che il Di Trapani, apparentemente legatissimo a Guastella, in realtà trattava occultamente con il Cinà e, sempre grazie alla sua intercessione, incontra personalmente Provenzano. Non sorprende quindi che, tratto in arresto anche il Guastella, il Di Trapani sia subentrato al potere.
In sostanza la nuova Cosa Nostra con a capo il direttorio di Provenzano non agisce tramite l’eliminazione fisica dei propri avversari, semplicemente questi vengono tratti in arresto. E’ una politica all’insegna della cautela e della riabilitazione delle vecchie regole: omicidi, solo se strettamente necessari, e solo se autorizzati da Provenzano; affiliazioni ridotte al minimo; ricostituzione di una cassa comune a tutta l’organizzazione; nessun capomandamento può deliberare ordini se non su specifica approvazione di uno dei cinque componenti del direttorio.
«Diciamo che Palermo nelle mani ce l’hanno cinque persone», sintetizza Giusto Di Natale interrogato dal pm Teresi.
Si evince quindi lo spessore «mafioso» del Cinà che, come ben espresso dalla richiesta di custodia cautelare, era coinvolto in affari miliardari per conto della famiglia di San Lorenzo. In particolare il suo nome emerge costantemente nell’indagine per riciclaggio svolta dagli inquirenti attorno alla cessione della palestra Antares  di Palermo.
Nel caso specifico il Cinà, per conto di Provenzano, aveva convinto una cordata di professionisti a rilevare la società, ma questa era anche negli interessi di Salvatore Biondo che agiva coperto da tale Pasta Salvatore.
Benché vi sia stato conflitto, risoltosi a favore del Biondo, gli accertamenti hanno provato che comunque il mandamento di San Lorenzo ha investito nell’Antares  «ingenti somme di denaro - quasi tre miliardi di lire - frutto di estorsioni e di traffico di droga».
Tra i diversi collaboratori che hanno riferito sul Cinà, sicuramente emergono le dichiarazioni di Giovan Battista Ferrante, Francesco Onorato, Gaspare Mutolo, Gioacchino Pennino e Giovanni Brusca.
Nel corso dei procedimenti  «San Lorenzo 1 e 2» Ferrante e Mutolo lo identificano immediatamente come un «uomo d’onore della famiglia di San Lorenzo», mentre Brusca oltre a testimoniare l’ascesa del Cinà a reggente del mandamento specifica che questi aveva «grandi amicizie tra i magistrati che metteva ‘al servizio’ di Cosa Nostra».
Pennino addirittura riferisce che gli altri uomini d’onore «ne parlavano con rispetto e soggezione» ed enfatizza «l’estrema vicinanza del Cinà al Provenzano ‘con il quale trattava alla pari e con grande familiarità.’»
Quindi - concludono i magistrati - il Cinà è estremamente pericoloso, avendo assunto un ruolo dirigenziale all’interno dell’intera struttura palermitana di Cosa Nostra, e data anche la sua vicinanza al pericoloso latitante Provenzano Bernardo.

ANTIMAFIADuemila N° 20 Marzo 2002

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