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di Giorgio Bongiovanni
Le motivazioni delle sentenze delle stragi di Capaci, Via D’Amelio e per le bombe del 1993 non lasciano spazio al minimo dubbio. Parti dello Stato italiano, in ginocchio dopo il brutale, violento e ripetuto attacco frontale di Cosa Nostra, avvenuto a cavallo degli anni ‘92 e ‘93, hanno trattato con i mafiosi. Le modalità, le finalità, i confini e i compromessi con cui si sono sviluppati i colloqui tra le istituzioni e i rappresentanti dell’organizzazione criminale sono stati delineati nelle ricostruzioni fornite da più collaboratori di giustizia e dagli stessi uomini dello Stato coinvolti. Tuttavia, come sempre, i lati oscuri sono diversi e lasciano intravedere un quadro molto più inquietante di quanto appaia quello esplicito. E’ per questo motivo che le procure di Palermo e Caltanissetta hanno aperto un’inchiesta sulla trattativa tra Mafia e Stato.

Terza  parte


C’è un «progetto» per «intimidire lo Stato» e «condizionare il rinnovamento politico e istituzionale del nostro Paese». E’ un «pactum sceleris» stretto da Cosa Nostra con centri di potere politici occulti e illegali «oggetti di un’aggregazione analoga a quella che subisce la mafia». E’ «un’aggregazione orizzontale» che ha un obiettivo: «garantirsi l’impunità» o, per lo meno, «la sopravvivenza». Anche a costo di «un’offensiva finale con l’uso di armi pesanti con numerose vittime innocenti, sabotaggio e vie di comunicazione, attentati ai Tribunali e altri uffici».
Questo l’allarmante quadro delineato dalla Dia in un rapporto scritto personalmente dall’attuale capo della polizia Gianni De Gennaio nel settembre 1993 all’indomani delle tragiche stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
Se l’omicidio di Salvo Lima, risalente al 12 marzo di dieci anni fa, così come la strage Falcone, sono comprensibili nell’ambito delle strategie di Cosa Nostra, la morte di Paolo Borsellino conferma che «Cosa Nostra è divenuta compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme a un potere criminale diverso e più articolato». Non vi era di fatto «l’effettiva necessità di eseguire quel delitto» poiché «la cadenza temporale troppo ravvicinata alla precedente strage, non giustificata da particolare urgenza, costituiva elemento sicuramente estraneo al comportamento tradizionale della mafia, abituata a calibrare con attenzione azioni delittuose». «L’omicidio di Borsellino tradiva l’intenzione dei mandanti di perseguire obiettivi che andavano ben al di là degli interessi esclusivi di Cosa Nostra» e dimostrava quindi che «stava maturando, all’interno di Cosa Nostra e degli altri poteri a essa collegati, una vera e propria scelta stragista dai contorni indefiniti, ma chiaramente proiettata verso uno scontro frontale e violento con le Istituzioni».
«Sulla scorta dei dati acquisiti», fin dal novembre del 1992, la Dia informa la magistratura circa «un pericoloso riarmo di Cosa Nostra, con una crescente disponibilità di armamento pesante e di ingenti quantitativi di esplosivo in parte dai Paesi dell’Est, con l’accumulo di ordigni di guerra in Calabria, preventivando l’inizio di una serie di attentati contro aerei e strutture aeroportuali e azioni criminali di devastante portata».
Prosegue De Gennaro, «Già Tommaso Buscetta, in un’intervista al direttore del quotidiano La Repubblica  aveva previsto in tempi non sospetti una campagna di disinformazione gestita da Cosa Nostra, da settori del mondo politico e della stampa, finalizzata a screditare il ruolo dei pentiti. Buscetta aveva avvertito che, fino a quando detta campagna fosse stata in corso, gli attentati sarebbero stati sospesi per ricominciare successivamente. La ripresa della strategia stragista, secondo il pentito, sarebbe stata improntata alle metodologie proprie dei narcotraficantes colombiani con l’utilizzo di bombe contro innocenti e con l’attuazione di attentati contro alte cariche dello Stato». «Le previsioni di Buscetta hanno trovato immediato riscontro». Con i «messaggi delegittimanti di Salvatore Riina, con le notizie assolutamente prive di fondamento pubblicate da determinati organi di stampa». Come quelle diffuse dall’agenzia giornalistica Repubblica, «intorno a cui gravitano personaggi già legati a Mino Pecorelli, che ha come referente privilegiato il gruppo politico dell’On.Vittorio Sbardella e come direttore Lando Dell’Amico, già legionario della Decima M.A.S. di Junio Valerio Borghese». Una disinformazione che non si è fermata a questo «semisconosciuto organo di stampa», ma ha attraversato altri organi di manipolazione di stampa e reti televisive con «notizie riguardanti il processo contro i fratelli Gambino celebrato a New York» e «si è spinta addirittura all’interno della vita politico-parlamentare».
Scrive la Dia: «la stagione delle bombe ha lo scopo evidente di far cadere il consenso sociale verso l’azione repressiva dello Stato contro la mafia e indurre l’opinione pubblica a ritenere troppo elevato, in termini di rischio di vite umane, il contrasto alla criminalità organizzata». Questa strategia ha un «significativo precedente in Colombia dove le continue stragi costrinsero lo Stato a trattare e il Governo a modificare la legge che consentiva l’estradizione dei trafficanti in Usa. In sintonia con tale interpretazione appare il contenuto di un documento anonimo di un certo interesse e che merita adeguata considerazione». «Gli anonimi autori dello scritto avvertono che sin da febbraio ‘93 i boss di Cosa Nostra avevano stabilito un programma di attentati dimostrativi, da attuare di notte e senza vittime, allo scopo di provocare contatti con rappresentanti dei Servizi di Sicurezza, nel corso dei quali si sarebbe avanzata la richiesta di allentare la pressione investigativa e di aggiustare i processi ancora in corso di svolgimento. Qualora tale fase non avesse sortito l’esito sperato, secondo l’anonimo, i mafiosi, d’intesa con elementi croati collegati nel traffico di armi e di droga, avrebbero provocato attentati alla frontiera italo-slovena sino a giungere all’offensiva finale che avrebbe visto l’uso di armi pesanti con numerose vittime innocenti, sabotaggi a vie di comunicazione, attentati a Tribunali e altri uffici». «Lo scenario criminale delineato sullo sfondo degli ultimi attentati - continua la Dia - ha messo in evidenza, da un lato, l’interesse alla loro esecuzione da parte della mafia e dall’altro la certezza di una presenza operativa di Cosa Nostra presente oggi con un ruolo di preminenza nella criminalità locale di Roma, Firenze, Milano sull’asse Padova-Venezia».
Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e logge, spiega la Dia che non si possono considerare finiti, ma «le sottili valutazioni sugli effetti di una campagna terroristica e lo sfruttamento del conseguente condizionamento psicologico non appaiono semplice frutto della mente di un criminale comune: si riconosce in queste operazioni di analisi e di valutazione una dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti politici e di interpretarne i segnali. Si potrebbe pensare a un’aggregazione di tipo orizzontale in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergano finalità diverse». «Gli esempi di organismi nati tra mafia, eversione di destra, finanzieri d’assalto, funzionari dello Stato infedeli e pubblici amministratori corrotti non mancano». Come non mancano «i rapporti con l’eversione nera e la massoneria» come dimostra il caso Sindona.
Conclude il rapporto: «La situazione di sofferenza in cui versa Cosa Nostra e la sua disperata ricerca di una sorta di ‘soluzione politica» potrebbe essersi andata a rinsaldare con interessi di altri centri di potere, oggetto di analoga aggressione da parte delle istituzioni, e aver dato vita ad un pactum sceleris attraverso l’elaborazione di un progetto che tende ad intimidire e distogliere l’attenzione dello Stato per assicurare forme di impunità o, fatto ancor più grave, a innestarsi nel processo politico di rinnovamento politico e istituzionale in atto nel nostro Paese per condizionarlo o comunque per garantirsi uno spazio di sopravvivenza».
Inquietante, ma è un rapporto ufficiale che altro non fa che fornirci nuovi spunti e piste di analisi e investigazione utili al nostro tentativo di contribuire a fare chiarezza sulla trattativa, o, a questo punto, su più trattative che Cosa Nostra avrebbe avviato con e tramite altri poteri deviati.
Siamo nell’ambito di ciò che la Procura di Palermo ha più volte definito «sistemi criminali», di cui il procuratore Lo Forte ha spiegato il significato nell’intervista che pubblichiamo a seguire.
Di cosa si tratta? Delle convenienti alleanze strette da Cosa Nostra e i vari centri di potere forte, come ad esempio la massoneria deviata. Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Gioacchino Pennino, a riallacciare i rapporti con la Massoneria di Licio Gelli risorta dalle ceneri della P2 e ribattezzata con il nome di Terzo Oriente, sarebbero stati i Corleonesi ed in particolare Bernardo Provenzano.
La versione del pentito collima con quella di un altro ex uomo d’onore, Francesco Marino Mannoia, che ricostruisce gli eventi di quel tempo. Rivela agli inquirenti che Stefano Bontade stesso gli confidò che assieme agli altri membri più influenti della Commissione, tra cui Riina e Provenzano, si riciclavano i miliardi fruttati dai traffici illeciti di droga attraverso gli agganci di Pippo Calò con Licio Gelli. I contatti però tra Bontade e Gelli si erano bruscamente interrotti poiché questi si era rifiutato di appoggiare il progetto golpista di Cosa Nostra su proposta di Michele Sindona per cui la Sicilia sarebbe stata separata dal resto d’Italia.
A ricucire lo strappo proprio Provenzano, sempre lui, che, approfittatosi prontamente del varco lasciato da Bontade e avvalendosi della collaborazione della ‘Ndrangheta, storicamente molto legata alla massoneria deviata, è riuscito a portare Cosa Nostra all’interno della nuova formazione massonica.
Aggiungiamo quindi domande a domande.




BOX1
La trattativa IV parte: Segreto di Stato e sistemi criminali

Che ruolo hanno avuto questi rapporti tra Cosa Nostra e Massoneria nel biennio delle trattative e della strategia stragista?

E all’interno di questo macabro scenario che influenza hanno avuto Licio Gelli, Stefano delle Chiaie, con i movimenti di destra eversiva e le varie le varie leghe compresa la lega nord?

E’ ipotizzabile che fra tutti questi poteri occulti ci fosse una convergenza di interessi?

Ci piacerebbe poi poter chiedere all’attuale capo     della polizia Gianni de Gennaro, se uomini appartenenti a quei centri di potere occulto sono oggi al’interno delle Istituzioni legittime o «devianti dello Stato».

Cosa si cela dietro gli accordi che avrebbero preso il generale Mori e il capitano De Donno con Ciancimino?

Che ruolo potrebbe aver svolto il fratello del generale Mori, elemento di spicco nei servizi di sicurezza della Fininvest?

Quale messaggio si può interpretare dall’attentato a Maurizio Costanzo del ‘90-’91?

Quale è stata la reale intenzione della campagna di discredito indirizzata al procuratore Lo Forte, quindi a Caselli con l’apertura del caso Siino-De Donno-LoForte? E quindi lo scontro tra il ROS e la Procura di Palermo all’epoca Caselli?

Quale ulteriore significato si legge dietro le rivelazioni circa la trattativa di Leoluca Bagarella ad uno dei suoi più stretti collaboratori, Tullio Cannella  e in particolare le strategie per ottenere l’indipendenza della Sicilia nel ‘93-’94 e i nuovi agganci politici?



ANTIMAFIADuemila N° 20 Marzo 2002

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