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Riina conferma Brusca

Escusso dagli avvocati difensori in sede di esame, il primo ottobre 1999, al processo stralcio per le bombe del ‘93, Salvatore Riina, benché dichiaratosi innocente, fornisce la sua sorprendente versione sulla trattativa e sulla strategia stragista. La riportiamo fedelmente:

 

Riina: Mah, signor avvocato, io mi dichiaro innocente, perché sono innocente, perché io mi trovavo al carcere di Roma, arrestato, in isolamento e quindi io sono stato carcerato quando sono successi queste cose, di Firenze, delle chiese di Roma, di Milano quindi io sono innocente.
Avv: Quindi signor Riina, lei di queste stragi che cosa ne sa? Nemmeno per sentito dire?
Riina: Ma niente perché, avvocato, mi trovavo in uno Stato per qualche sette, otto mesi, sette mesi circa che non avevo... ne autorizzato ne ai giornali ne alla televisione, ne cose,  quindi mi sono venuto a trovare in mancanza di notizie, totale, totale, cioè completamente. ... Quindi purtroppo era nel buio, viveva nel buio.
Non so niente.
Avv: Certo, signor Riina però, sono passati dal ‘93 circa sei anni, quindi lei avrà avuto modo di farsi un’idea di quello che sono state queste stragi. Lei ha notizie dirette o indirette se eventualmente in queste stragi abbiano avuto un campo importante alcuni soggetti tipo la massoneria, tipo i servizi segreti, tipo forze politiche?

Riina: Ma io le posso dire, mi sono fatto la mia convinzione perché ho letto... c’è il signor Brusca e il signor, è morto, un certo, non lo so quello al carcere di Rebibbia che avevano contatti con un certo Bellini. E questo Bellini, mi pare che è dei servizi segreti, di altre cose, non so. Però dietro sti Bellini, chi c’è, chi non c’è, chi c’è? Ci sono i servizi segreti? C’è la massoneria? Io questo posso dirci che ho appreso. Perché questo Bellini che si conosce con questo che lì è morto a Rebibbia e Giovanni Brusca che se li ascoltava in casa di questo lì ad Altofonte..., ma cosa c’era dietro di loro, dietro di questi? Questo so e questo gli posso dire. Cioè so per averlo appreso dei giornali, dei verbali, nelle televisioni, ma più che altro nei verbali.
Si parla di quadri, si parla di questo, si parla di questo Bellini, Bellini che era mandato in Sicilia. Ma chi lo mandò in Sicilia a Bellini? Eh.
E andò a trovare a Gioé. E Gioè, ... ora poi quando ci conviene è Riina, Riina, io all’oscuro di tutte queste cose, Riina era tenuto in una situazione che lo possono dire solo le guardie penitenziarie addette a me a Palermo e a Roma come ero tenuto io...
... Avvocato mio, io a volte mi domando, io, in questo processo come ci entro? Come ci traso? Questo è un altro processo come quello che mi hanno fatto a Reggio Calabria, né più né meno.

Riina spiega poi, su quesito dell’avvocato, il suo stato di massima sorveglianza in carcere e nega di conoscere il suo coimputato a processo Giuseppe Graviano adducendo alla cospicua differenza di età.
Il Pubblico Ministero poi lo controinterroga su quanto appena dichiarato, in particolare sulla sua idea delle stragi che va a coincidere perfettamente con quella di Brusca.
Se all’inizio il boss di schermisce ripetendo la sua conoscenza dei fatti solo grazie all’ascolto degli interrogatori, così risponde alla domanda del pm circa la veridicità di quanto testimoniato dal Brusca:
(...) Avv: Quindi io le sto facendo questa domanda, caro signor Riina, perché lei ha detto che si era fatto questa idea (quella del Brusca ndr.) che era l’idea giusta.
Riina: Mah io dico, no giusta, troppo giusta.
Avv: Prego? Quindi la ritiene giusta?
Riina: Ma io penso che è troppo giusta.
Avv: Troppo giusta, perfetto, quindi va benissimo.





BOX1
A suon di bombe

All’indomani della sentenza di secondo grado per le bombe del ‘93 il procuratore della DNA di Firenze, Gabriele Chelazzi, pm al processo di primo grado, spiega: <<Cosa Nostra ha piazzato il tritolo perché convinta di trattare con lo Stato, convinta di avere aperto, dopo la stagione delle stragi del ‘92, un ‘tavolo separato e sotterraneo’. Ha creduto che Paolo Bellini prima e il generale Mori dopo fossero emissari di un’interlocuzione subita dallo Stato perché avviata a suon di bombe, confermando uno straordinario dinamismo, diciamo così intellettuale, volto alla ricerca della giusta distanza con la controparte statale. E quando ha creduto di aver raggiunto questa distanza, ha posto la pistola sul tavolo, per spingere lo Stato a farsi sotto». ... «L’attribuzione dell’aggravante finalità terroristica conferma la capacità di cosa Nostra di agire politicamente in senso lato». ... «Il proiettile piazzato il 17 ottobre nei giardini di Boboli, a Firenze - spiega Chelazzi - serviva a lanciare un messaggio: abbiamo capito che vi sta a cuore il patrimonio artistico e vi mettiamo alla prova. Il silenzio che segue quell’episodio convince i boss che lo Stato ha accettato un tavolo separato, che preferisce trattare di nascosto, che allo scoperto ha pochi margini di manovra». A.P.


 ANTIMAFIADuemila N° 18 Dicembre-Gennaio 2001-2002

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