Pagina 8 di 11
Brusca, l’altro pezzo del puzzle
Indispensabile e determinante, come sempre accade, l’apporto dato dai collaboratori di giustizia all’accertamento della verità. Tra i numerosi che hanno partecipato per vie più o meno dirette alle stragi del biennio ‘92-’93 si distinguono Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi per il grado di conoscenza di cui sono entrambi in possesso, consono, del resto, alla loro posizione di capi mandamento appartenenti alla Commissione di Cosa Nostra, la cosiddetta Cupola.
Dopo l’omicidio Lima, secondo i ricordi di Brusca, la Cupola presieduta da Riina si riunisce più volte per deliberare una strategia di attacco volta a creare destabilizzazione nel paese. Il fine è di colpire tutti coloro che avevano mancato agli impegni presi con Cosa Nostra o che l’avevano ostacolata, ma soprattutto per cercare nuovi referenti istituzionali dopo che la vecchia classe politica aveva voltato le spalle ai boss.
In quest’ottica rientra senz’altro l’omicidio del giudice Giovanni Falcone perché più di ogni altro aveva messo in difficoltà l’organizzazione mafiosa anticipandone le mosse. Interessandosi personalmente affinché la sentenza definitiva del processo maxi-uno non arrivi nelle mani dell’ «ammazzasentenze» Carnevale e che soprattutto non precipiti nell’oblio, Falcone riesce ad ottenere la condanna all’ergastolo per quasi tutti i membri più importanti della cupola, Riina in testa. La sentenza della Cassazione verrà emessa il 30 gennaio 1992.
Un danno irreparabile per cui qualcuno, oltre a Lima che doveva impedire che ciò accadesse, doveva pagare. Non occorre dimenticare poi che l’operato del giudice arrivò a toccare i santuari delle collusioni mafia-politica-imprenditoria andando probabilmente ad interferire con gli interessi dei «decisionisti» del «gioco grande».
Una morte comoda a molti, quindi.
Prima della strage Borsellino, Brusca ha modo di incontrarsi a quattr’occhi con il Riina chiedendogli se dopo la strage di Capaci aveva ricevuto notizie da quegli interlocutori schierati dall’altra parte del tavolo a cui era indirizzato il tremendo messaggio.
Riina risponde affermativamente e per la precisione: «Si sono fatti sotto, c’ho fatto una richiesta, c’ho fatto un papello tanto». Intendeva riferirsi ad un elenco di agevolazioni necessarie alla sopravvivenza e alla evoluzione della organizzazione in cambio delle quali avrebbe offerto solo ed esclusivamente la cessazione delle stragi.
La risposta degli interlocutori di Riina, sconosciuti a Brusca, non si fa attendere. Dopo una quindicina di giorni arriva il rifiuto, le pretese sono «esose» e non possono essere accontentate tutte.
Brusca, che in quel momento si stava attivando per eliminare l’onorevole Mannino, viene stoppato, perché c’è un altro «lavoro» importante in corso. Muore il giudice Borsellino e con lui cinque uomini della sua scorta. Brusca capisce che questa è l’ulteriore replica di Cosa Nostra, ma rimane sorpreso per la fretta con cui viene eseguita la strage.
Non sapeva ancora il collaboratore chi erano i referenti di Riina e cosa gli stessero promettendo, ma è il primo in assoluto che riferisce all’autorità giudiziaria (luglio-agosto 1996 ) che vi era stata una sorta di tentativo di accordo tra Riina e qualcuno di esterno all’organizzazione. Certo non si immaginava minimamente che si potesse trattare dei carabinieri.
Solo dopo che il colonnello Mori rende testimonianza nel processo per le bombe, nell’agosto dell’anno successivo, e contemporaneamente verrà pubblicata su La Repubblica un articolo a proposito, Brusca coglie il collegamento. Di fatto le sue ricostruzioni concordano nella quasi totalità, comprese le date. Dopo la strage di via D’Amelio si era infatti incontrato con Salvatore Biondino, capo mandamento della famiglia di San Lorenzo e braccio destro di Riina, il quale lo aveva informato che si necessitava di un ulteriore «colpetto» perché il dialogo aveva subito una battuta d’arresto. Brusca si era messo immediatamente a disposizione con il progetto già in opera con cui si intendeva attentare alla vita del giudice Pietro Grasso. (Per una fortuita possibile interferenza con i dispositivi elettronici in dotazione ad una banca situata in prossimità dell’abitazione del dott. Grasso si è rinunciato al disegno criminoso).
Il collaboratore non ricorda con precisione la data in cui gli venne «commissionato» il delitto, ma più o meno colloca l’evento nei primi mesi autunnali, probabilmente ad ottobre. Ciò va a coincidere con quanto riferito dagli ufficiali dei carabinieri che hanno datato al 18 ottobre 1992 l’incontro fattivo con Ciancimino, quello in cui accetta di collaborare per la cattura di Riina.