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Il colonnello e il mafioso

E’ Giovanni Brusca a fornire l’aggancio e la spiegazione dell’esistenza di una seconda trattativa, quella forse più importante, in corso tra Cosa Nostra e uomini delle Istituzioni.
Come per ogni affare condotto dagli uomini d’onore, Riina ne era a conoscenza ed è proprio lui che, saputo del fallimento della trattativa tra Gioé e Bellini, concede a Brusca, su sua specifica richiesta, di continuare i colloqui per cercare di procurare benefici carcerari per il padre Bernardo, vecchio boss di San Giuseppe Jato. Ma è anche in questa circostanza (si è già verificata la strage di Capaci ndr.) che il capo dei capi gli rivela: «Stop non fare più niente perché io c’ho un’altra..., altre possibilità». Cioé la famosa trattativa - spiega Brusca nel corso dell’interrogatorio per il processo Borsellino ter -.  
Il collaboratore si riferisce ai colloqui intercorsi tra l’allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo e già condannato per associazione a delinquere semplice, abuso d’ufficio e altro ed era in quel momento in attesa di scontare la propria condanna.
Sentiti in sede processuale tanto il colonnello Mori quanto il capitano De Donno, nei diversi processi istruiti per le stragi, hanno confermato di aver contattato il Ciancimino tramite il figlio Massimo che aveva stretto un rapporto di particolare familiarità con il capitano De Donno in occasione del dibattimento di primo grado al processo che vedeva il padre imputato.
Era intenzione del colonnello Mori, infatti, creare un gruppo speciale di operatori per dare la caccia al capo di Cosa Nostra per rispondere in egual misura all’attacco sferrato contro lo Stato con la strage di Capaci. La via del contatto con Ciancimino si presentava quindi funzionale alla possibile acquisizione di elementi utili per giungere ai latitanti.
I primi incontri (due-tre in tutto) avvengono tra il solo De Donno e Ciancimino nel periodo a cavallo della strage di via D’Amelio.
«Il dialogo tra i due si allargò e investì la stessa ‘Tangentopoli’ e le inchieste che li avevano visti protagonisti (De Donno come investigatore, Ciancimino come persona sottoposta ad indagini).
In uno di questi incontri Ciancimino fece a De Donno una strana proposta che il teste così riferisce: ‘Io vi potrei essere utile perché inserito nel mondo di Tangentopoli, sarei una mina vagante che vi potrebbe completamente illustrare tutto il mondo e tutto quello che avviene’.»
Una tale esternazione convince il capitano di una concreta apertura al dialogo per cui ritiene importante un incontro diretto tra Mori e Ciancimino, che «non era la solita fonte informativa da quattro soldi, ma un personaggio che non avrebbe accettato di trattare con altri che non fossero capi».
Si vedono per la prima volta nel pomeriggio del 5 agosto 1992 a Roma, in via di Villa Massimo, luogo di residenza del Ciancimino. Parlano della vita palermitana e in particolare della «sagacia investigativa» del diretto superiore del colonnello, il generale Subranni, a cui poi Mori riferirà dei suoi discorsi con Ciancimino.
Il secondo incontro avviene il 29 agosto 1992 e sapendo della sua posizione processuale «non brillantissima», l’ufficiale sperava «che questo lo inducesse a qualche apertura e chi ci desse qualche input».
In quella occasione dunque azzarda un tentativo di ragionamento sul muro contro muro che si stava verificando tra Cosa Nostra e Stato.
«... Ma non si può parlare con questa gente? La buttai lì convinto che lui dicesse: ‘cosa vuole da me colonnello?’ Invece dice: ‘ma sì si potrebbe, io sono in condizioni di farlo. E allora restammo... dissi: ‘allora provi’. E finì così il secondo incontro, per sintesi ovviamente».
L’1 ottobre 1992, sempre a casa di Ciancimino questi assicura di aver preso contatto «tramite intermediario, con questi signori qua. ‘Ma loro sono scettici perché voi che volete, che rappresentate? ... Allora gli dissi - ha proseguito Mori - ‘lei non si preoccupi e vada avanti’ Lui capì a modo suo, fece finta di capire o comunque andò avanti. E restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa».
La risposta giunge il 18 ottobre 1992 quando, ad un successivo incontro Ciancimino chiede «Guardi, quelli accettano la trattativa, le precondizioni sono che l’intermediario sono io e che la trattativa si svolga all’estero. Voi che offrite in cambio?»
Mori sapeva che a Ciancimino era stato ritirato il passaporto e che, pertanto, la proposta di continuare la trattativa all’estero era un escamotage del Ciancimino per mettersi al sicuro. Comunque colto di sorpresa il carabiniere risponde: «Beh, noi offriamo questo. I vari Riina, Provenzano e soci si costituiscono e lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie».
«A questo punto Ciancimino si imbestialì veramente. Mi ricordo che era seduto. Sbattè le mani sulle ginocchia, balzò in piedi e mi disse: ‘lei mi vuole morto, anzi, vuole morire anche lei, io questo discorso non lo posso fare a nessuno».
Visto però lo stato di necessità in cui versava il Ciancimino, Mori era certo che si sarebbe fatto risentire. Infatti il capitano De Donno si rivede con Ciancimino che si mostra disposto ad aiutarli a catturare il solo Riina. Chiede per tanto di procurargli le mappe di acqua, luce e gas relative a da alcune zone precise di Palermo: viale della Regione Siciliana, «verso Monreale».
Il 18 dicembre 1992 De Donno consegna le cartine all’ex sindaco che però non è soddisfatto e avanza altre richieste.
Il giorno successivo Ciancimino viene arrestato.
La trattativa si interrompe. Salvatore Riina viene catturato il 15 gennaio 1993.
La descrizione resa in sede dibattimentale da De Donno coincide in maniera speculare con quella del suo superiore, fatta eccezione per la posizione iniziale di Ciancimino.
Se in fatti Mori riferisce di essere rimasto sorpreso dalla disponibilità e dalla capacità del faccendiere di offrirsi spontaneamente come tramite con i vertici dell’organizzazione, De Donno ricorda che la richiesta di fare da ponte era venuta da loro.
Il particolare non è insignificante, come ben si intende, poiché dimostra la grave crisi in cui si trovava il nostro Stato a quel tempo, costretto a trattare.

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