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Il proiettile nel giardino
E’ in questo contesto che si sviluppa la strategia stragista.
Interpellato dai magistrati, Brusca ricostruisce «il preludio in tono minore» della campagna di attacco scatenata da Cosa Nostra ai danni dello Stato.
A Mazara del Vallo seduti al tavolo dove si tiene la classica «mangiata» ci sono il capo dei capi, Salvatore Riina e una buona rappresentanza dei corleonesi: Brusca, Bagarella, Gioè, Santo Mazzei e La Barbera. E’ estate, sono state già fatte le stragi, si può stare tranquilli. Si fanno tanti discorsi, si parla anche di Bellini e della possibilità di fare un’azione eclatante ai danni degli Uffizi a Firenze. Santo Mazzei è la persona più indicata. Affiliato alla mafia catanese di Nitto Santapaola per esplicito volere di Riina, Mazzei di fatto si muove su Palermo, ma soprattutto si sposta al Nord con una certa frequenza per cui è l’uomo ideale per mettere sul piatto il primo elemento della trattativa.
Lo scopo da perseguire è chiaro.
«Gli strumenti - come si legge sempre nella motivazione della sentenza - che pensavano di utilizzare, per raggiungere i loro fini, erano il terrore e la minaccia» come leva su cui fare forza per arginare il potere devastante dei pentiti, ed estendere i benefici della legge Gozzini anche ai mafiosi, in sostanza svuotare il 41 bis, il carcere duro, in quel momento applicato con fermezza anche ai numerosi boss mafiosi, tra cui quelli indicati da Riina nel bigliettino consegnato al Bellini, quindi al maresciallo Tempesta e al colonnello Mori.
In particolare la strategia era «meglio attuabile al Nord, dove l’opinione pubblica è più sensibile ed influente».
Escusso dai pubblici ministeri, Gullotta Antonino, facente parte del clan dei Cursoti di Catania e collaboratore dal novembre del 1994, ha ricostruito con dovizia di particolari l’operazione dei Boboli.
Ha spiegato di essersi recato a Milano con Mazzei e un uomo di sua fiducia, Roberto Cannavò all’incirca tra il 7 e l’8 ottobre 1992. Una volta giunti nel capoluogo lombardo hanno acquistato una Opel Kadett per 8 milioni di lire dopodiché si sono diretti a Torino dove operavano due uomini della criminalità di Mazara del Vallo, Salvatore Facella e Giovanni Bastone, che gli avevano procurato uno strano ordigno, «una specie di razzo». Senza attendere ulteriormente sono partiti per Firenze dove sono giunti verso le 16:00, poco prima della chiusura del museo.
Cannavò paga il biglietto di ingresso e una volta entrato posa «il razzo» dietro una statua. In poco più di un quarto d’ora raggiunge di nuovo gli altri e fanno rientro a Torino.
Lungo la strada Mazzei telefona ad un’agenzia di stampa per rivendicare l’attentato. Gullotta riferisce che la chiamata è stata tanto concitata che loro stessi non sono riusciti a comprenderne il contenuto.
L’indomani hanno cercato la notizia sul giornale, ma non vi era alcun cenno.
Ugualmente riferisce il Brusca che il Mazzei, una volta portato a termine la missione, aveva fatto immediato ritorno a Palermo e aveva dato appuntamento a casa di Gaetano Sangiorgi per mezzogiorno e mezzo dove dovevano attendere le possibili notizie sul telegiornale.
Comparando le differenti versioni «l’istruttoria dibattimentale ha rivelato che il 5-11-92 fu rinvenuto, dal personale di servizio nel giardino dei Boboli, un ordigno dietro la statua di Marco Cautius, ai margini di una siepe. L’ordigno era avvolto in un sacchetto di plastica simile a quelli della nettezza urbana di colore nero. Era chiuso con nastro da imballaggio. Si trovava a circa dieci minuti di cammino dall’entrata del giardino.
Si trattava, come ha precisato il mar.llo Errico, a cui l’ordigno fu consegnato per la distruzione, di una bomba da mortaio da 45 millimetri chiamata bomba Brixia, perché veniva sparata da un mortaio modello Brixia dell’anno 1935. Era un proiettile usato nella Seconda Guerra Mondiale, non più in dotazione all’Esercito.
Era lungo 12 centimetri e largo 45 millimetri, caricato con circa 70 grammi di esplosivo...»
Dai riscontri e dalle testimonianze incrociate dei collaboratori e dei vari testi si è ottenuta una ricostruzione piuttosto precisa e ricca di riscontri che consente di avere un quadro chiaro dello svolgimento dell’atto dimostrativo-intimidatorio.