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Indice articoli

di Giorgio Bongiovanni
Le motivazioni delle sentenze delle stragi di Capaci, Via D’Amelio e per le bombe del 1993 non lasciano spazio al minimo dubbio. Parti dello Stato italiano, in ginocchio dopo il brutale, violento e ripetuto attacco frontale di Cosa Nostra, avvenuto a cavallo degli anni ‘92 e ‘93, hanno trattato con i mafiosi. Le modalità, le finalità, i confini e i compromessi con cui si sono sviluppati i colloqui tra le istituzioni e i rappresentanti dell’organizzazione criminale sono stati delineati nelle ricostruzioni fornite da più collaboratori di giustizia e dagli stessi uomini dello Stato coinvolti. Tuttavia, come sempre, i lati oscuri sono diversi e lasciano intravedere un quadro molto più inquietante di quanto appaia quello esplicito. E’ per questo motivo che le procure di Palermo e Caltanissetta hanno aperto un’inchiesta sulla trattativa tra Mafia e Stato.


Dichiarazione  di guerra

Il 30 gennaio 1992 la Cassazione condanna definitivamente all’ergastolo la Commissione di Cosa Nostra riconoscendo in pieno il piano accusatorio del primo maxi processo istruito dal pool di Falcone e Borsellino e conferendo, in questo modo, credibilità assoluta ai collaboratori di giustizia. Nasce quello che viene definito «il teorema Buscetta» secondo il quale ogni omicidio, più o meno eccellente, commesso dall’organizzazione, ricade sotto la piena responsabilità di tutta la «cupola» che ha deliberato, unanime, la decisione del fatto criminoso.
Il 12 marzo 1992 viene ucciso a Mondello Salvo Lima, il più importante referente di Andreotti in Sicilia.
Il 17 febbraio, a Milano, viene arrestato per tangenti il socialista Mario Chiesa, presidente degli enti comunali di assistenza. Ha il via quel fenomeno definito «Tangentopoli», che porterà all’arresto per corruzione alti ed importanti esponenti del mondo politico, fino a determinare una crisi di governo con ben pochi precedenti. Nasce quindi il cosiddetto pool di «mani pulite» capeggiato da Antonio Di Pietro.
Giunto quasi al termine del suo mandato, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga si scontra duramente con gli esponenti del Consiglio Superiore della magistratura, ma ne esce sconfitto. Si dimetterà il 25 aprile 1992. L’Italia si ritrova senza il capo dello Stato. Per la sua successione si aprirà una battaglia dura e aspra.
Contemporaneamente, a Palermo, cominciano i processi per i delitti cosiddetti «politici» del segretario provinciale democristiano Michele Reina (9 marzo 1979), dell’ex presidente della regione, Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) e del segretario regionale del Partito Comunista Pio La Torre (30 aprile 1982). La requisitoria era stata firmata anche da Giovanni Falcone.
Il 23 maggio 1992, a Capaci, esplode un intero tratto di autostrada che conduce dall’aeroporto Punta Raisi a Palermo. Moriranno, barbaramente trucidati, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e tre agenti della loro scorta: Rocco Di Cillo, Antonino Montinari e Vito Schifani.
La furia omicida della mafia non si placa. Il 19 luglio 1992 un boato sventra i palazzi siti in via Mariano D’Amelio. E’ il giudice Paolo Borsellino, erede naturale non che amico intimo di Giovanni Falcone, a perdere la vita assieme ai suoi 5 agenti di scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.
Un colpo durissimo che induce gli italiani, tutti, ad insorgere premendo affinché il governo attui leggi repressive molto severe nei confronti dei mafiosi, peraltro già preparate dal giudice Falcone che, invano, ha atteso la loro approvazione. In particolare viene inasprito il regime del 41 bis, il «carcere duro» , che prevede l’isolamento per i mafiosi e vengono ampliati i poteri di indagine autonoma della polizia e il ricorso ai collaboratori di giustizia. Di fatto, poi, una volta convertito in legge, il decreto perderà alcuni elementi fondamentali rispetto alla sua stesura originaria ispirata da Falcone.
La notte del 19 luglio stesso i boss mafiosi vengono trasferiti dal carcere palermitano dell’Ucciardone a quello di massima sicurezza di Pianosa.
In settembre Cosa Nostra uccide Ignazio Salvo, uno dei potenti esattori siciliani al centro dell’intreccio di potere tra politica e mafia.
In dicembre, dopo inutili complotti e vili attacchi alla magistratura, viene notificato al segretario del partito socialista Bettino Craxi il primo avviso di garanzia con la contestazione di ben 40 ipotesi di reato.
Il 13 gennaio 1993 il giudice Carnevale, detto «ammazzasentenze», viene rinviato a giudizio per il reato di interesse privato in atti d’ufficio.
Il 15 gennaio viene catturato a Palermo Salvatore Riina, capo di Cosa Nostra, assieme al suo braccio destro, Salvatore Biondino. Nello stesso giorno si insedia, a Palermo, come Capo della Procura della Repubblica, Gian Carlo Caselli.
In un clima di pieno sconvolgimento politico e sociale in cui fioccano avvisi di garanzia e rinvii a giudizio per un’intera classe politica, ritorna il terrore.
Il 14 maggio a Roma, in via Fauro, esplode un ordigno indirizzato al conduttore televisivo Maurizio Costanzo che riesce a scampare all’attentato. La bomba causerà la distruzione di due palazzi e il ferimento di 23 persone.
Il 27 maggio a Firenze, in via dei Georgofili una tremenda deflagrazione strapperà alla vita 5 persone e danneggerà gravemente il museo degli Uffizi.
Due mesi dopo, il 27 luglio, nella notte, a Milano un altro ordigno provocherà sei morti e quasi contemporaneamente a Roma due bombe distruggeranno l’una, il porticato di San Giorgio al Velabro, e l’altra danneggerà la Basilica di San Giovanni in Laterano. Fortunatamente, non ci saranno vittime.
I magistrati preposti alle indagini sulle stragi del biennio ‘92-’93 leggeranno un piano strategico messo in atto da Cosa Nostra per destabilizzare lo Stato. Emerge, sin da subito, la presenza misteriosa di mandanti cosiddetti «dal volto coperto» esterni all’organizzazione.

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