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Intervistato il 6 marzo del 1988 da Il Giornale di Sicilia, il giudice Giovanni Falcone offriva un quadro inquietante sulla questione appalti in Sicilia.

Si crede erroneamente che tali appalti si aggirino all’incirca su un migliaio di miliardi, spiegava alla giornalista Delia Parrinello, e che solo una piccola parte di questi, diciamo trecento, sia destinato all’imprenditoria siciliana. Troppo poco perché la mafia se ne interessi. Ma il problema non è dei soggetti ai quali vanno gli appalti (che per la maggior parte vengono assegnati alle imprese cosiddette settentrionali) ma dei subappaltatori, ossia quelli che i lavori li eseguono. Con il sistema dei subappalti, infatti, i soldi finiscono quasi tutti in Sicilia, ad imprenditori che vengono oppressi da una parte dalle estorsioni e dall’altra dalle richieste di partecipazione societaria. Per i subappaltatori la mafia locale stabilisce chi deve lavorare e chi no e per quanto riguarda le estorsioni l’imprenditore è costretto ad obbedire agli ordini dei protettori che possono chiedere prestazioni di servizi, posti di lavoro, nascondigli per latitanti. Gli imprenditori “puliti”? Esistono, ma sono delle vittime. 
Appalti e subappalti Dal libro “Interventi e proposte” per gentile concessione della
Fondazione Falcone  Forum del 25 – 26 novembre 1991 promosso
dal Consiglio regionale del Lazio

di Giovanni Falcone
Com’è noto, uno degli effetti della società di massa è la produzione di criminalità, anch’essa di massa, che tende ad inserirsi sfruttandola, in ogni distorsione dello sviluppo socioeconomico. Paradossalmente, dunque, i problemi determinati nel nostro Paese dalla criminalità degli affari sono un altro dei tanti segni del grado di sviluppo raggiunto. Ovviamente, c’è ben poco da rallegrarsi per la presenza di questi problemi, finora affrontati con scarso riferimento alle questioni concrete e con predilezione invece di fumosi e fuorvianti dialoghi sui massimi sistemi. Si perde di vista, così, la gravità del problema della criminalità nel nostro Paese, che ha raggiunto punte veramente allarmanti senza che vi si dedichi sufficiente attenzione, abituati come siamo ad una situazione che dovrebbe suscitare indignazione e sconcerto.
Un semplice dato dovrebbe far riflettere sulla gravità della situazione: gli omicidi sono aumentati, rispetto all’anno scorso del 54%, e si tratta in gran parte di omicidi a matrice mafiosa. Sul versante, poi, che più direttamente ci interessa in questa sede, basterà osservare che, come risulta da recentissime indagini di polizia giudiziaria, la criminalità organizzata sta cominciando a fare a meno della criminalità degli affari, nel senso che si sta creando, all’interno delle organizzazioni criminali, una categoria di soggetti addetti, non già al compimento delle attività squisitamente criminali, bensì alla gestione e riciclaggio dell’enorme flusso di danaro derivante dalle attività criminali; non è chi non veda la gravità di ciò, poiché sarà ancora più difficile contrastare efficacemente l’azione delle organizzazioni mafiose. Finora, infatti, uno dei sistemi di indagine più efficaci è stato quello relativo alle indagini patrimoniali e bancarie, su soggetti sicuramente spregiudicati e poco rispettosi delle leggi ma non appartenenti alle organizzazioni criminali. E’ chiaro che le indagini saranno molto più difficili quando le stesse riguarderanno membri della mafia e delle altre organizzazioni similari! Da altri è stato richiamato poc’anzi come esempio di riciclaggio e come sintomo delle quantità di danaro illecito in circolazione, il fenomeno crescente di finanziamenti scarsamente garantiti, e con tassi di interesse poco remunerativi, effettuati sempre più frequentemente da società finanziarie apparentemente poco significative. E’ un esempio indubbiamente pertinente, ma andrebbe rilevato che ce ne accorgiamo con grave ritardo, mentre la realtà è adesso ancora più allarmante.
Quella temuta saldatura tra una criminalità organizzata sempre più violenta ed una criminalità dei colletti bianchi sempre più spregiudicata risulta superata adesso dagli eventi, poiché, come si è detto, la criminalità degli affari comincia a venire fuori dalle stesse organizzazioni criminali. Pur non potendo approfondire adeguatamente l’argomento, trattandosi di vicende ancora coperte dal segreto, può senz’altro dirsi che la recente indagine compiuta anche in Francia su attività di riciclaggio addebitate a Michele Zaza e quella compiuta dai carabinieri in Sicilia su pubblici appalti hanno come protagonisti soggetti da tempo indicati come appartenenti alle organizzazioni criminali. Contrariamente, dunque a quanto avveniva nel passato, non vi è più una netta distinzione tra organizzazioni criminali dedite al compimento delle attività illecite e altri soggetti ed organizzazioni dediti al riciclaggio di danaro di provenienza illecita; la tendenza sembra, infatti, quella di organizzazioni dedite, allo stesso tempo, al compimento di attività illecite ed al riciclaggio del provento delle stesse.

La gravità di quanto sta accadendo è così evidente che non è il caso di spendere altre parole sull’argomento; sembra opportuno, invece, esaminare rapidamente le principali questioni determinate dalla criminalità degli affari che si possono riassumere soprattutto nei temi del riciclaggio, dei pubblici appalti e della corruzione politica. Ma ancora prima di trattare questi argomenti, bisognerebbe ricordare che, contrariamente alle affermazioni ed alle certezze di taluni, la Regione Lazio non è purtroppo un’isola felice nel contesto italiano per quanto attiene a questi problemi. Nel Lazio, infatti, hanno operato da tempo importanti membri di organizzazioni criminali meridionali, come è dimostrato da indagini giudiziarie accurate e molto significative. Basterà ricordare che, come hanno affermato diversi “pentiti”, a Roma  esiste  da tempo una “decina” ( e cioè un raggruppamento) della “famiglia” mafiosa palermitana di S.Maria di Gesù, che a Roma sono stati arrestati personaggi mafiosi di grande spessore come Pippo Calò ed Antonino Rotolo, e che a Roma costoro non si limitavano a nascondersi, ma mantenevano contatti e collegamenti con la malavita locale (vedi banda della Magliana, ferimento di Roberto Rosone a Milano ad opera di Danilo Abbruciati ed altri gravi episodi); che personaggi di notevole spessore mafioso hanno acquistato a Roma e nel Lazio immobili di notevole importo; che membri della mafia catanese come i Ferrera, dediti al traffico di stupefacenti, da tempo avevano eletto Roma ed il suo hinterland come teatro delle loro  attività illecite; che personaggi di spicco della camorra da tempo operano nel Lazio. Vi è dunque l’imbarazzo della scelta per indicare gli elementi che smentiscono inconfutabilmente la pretesa estraneità del Lazio ai problemi della criminalità organizzata e, in particolare, a quelli del riciclaggio. Sarebbe importante, anzi, se si potessero mettere insieme tutti questi elementi su presenze delle organizzazioni criminali nel Lazio per trarne più adeguate conclusioni, sia sotto il piano strettamente repressivo sia sotto quello preventivo e conoscitivo. Cominciando dal riciclaggio, va ricordato che se è vero che lo stesso si concreta in quella attività diretta a disperdere le tracce della provenienza del danaro sporco, e che concettualmente si distingue dal reinvestimento del danaro in attività lecite, non è men vero, tuttavia, che non infrequentemente il reinvestimento è uno dei mezzi per l’esercizio del riciclaggio e cioè per far disperdere le tracce della provenienza del danaro. Di ciò dovremo tenere conto metodologicamente nel compimento della ricerca.

Si è detto che l’intervento penale non sarebbe sufficiente per risolvere il problema del riciclaggio, poiché agisce su una realtà storica già conclusa, nel senso che si limiterebbe a trarre le conseguenze sotto il profilo punitivo di fatti già avvenuti. A prescindere da ogni considerazione sulle finalità del diritto penale - che sarebbe fuor di luogo adesso - non bisognerebbe però confondere la consumazione di determinati delitti con l’esaurimento delle conseguenze degli stessi e, comunque, dovrebbe tenersi a mente che non si può in alcun modo prescindere dall’intervento penale se determinati fenomeni concretano, anzitutto, fattispecie penalmente rilevanti. 
Il problema è piuttosto di far sì che gli accertamenti in sede penale possano essere compiuti efficacemente; e qui si pone il primo grave interrogativo derivante dalla insoddisfacente resa degli uffici competenti ad effettuare indagini di tal fatta. Va ricordato in proposito che l’art.330 del codice di procedura penale è esplicito nel senso che l’attività diretta a prendere cognizione dei reati spetta tanto alla polizia giudiziaria quanto al pubblico ministero, ma che sono estremamente rari gli esempi di iniziative di questi organi dirette al perseguimento di queste attività squisitamente criminali. Sotto il profilo metodologico, quindi, nell’accingerci a compiere accertamenti in ordine ad attività di riciclaggio nella Regione Lazio, sembra opportuno ricordare che bisognerà tenere sempre presente che si sta operando su una materia avente rilevanza penale e che ne possono derivare conseguenze in termini soprattutto di obbligo di informativa alla competente autorità giudiziaria.
Per quanto riguarda, poi, il tema dei pubblici appalti non si può negare che da un certo tempo esiste tutto un fiorire di iniziative dirette a rendere sempre più trasparente l’attività della pubblica amministrazione, per evitare quella commistione tra politica affaristica e criminalità comune che, purtroppo, è un problema sempre più grave nel nostro Paese. Occorre tenere ben presente, tuttavia, che per quante norme vengano introdotte a tal fine e per quanti sforzi si facciano per tentare di impedire collusioni con la criminalità nella aggiudicazione degli appalti, sarà sempre possibile eludere ed aggirare dette norme. Da una indagine sui pubblici appalti in Sicilia, recentemente effettuata dai carabinieri, è emerso che nella esecuzione di opere pubbliche in Sicilia tutte le imprese, a prescindere dalla loro provenienza e perfino quelle straniere, devono sottostare al controllo sulle assegnazioni degli appalti operato dalle organizzazioni mafiose. Questa è sicuramente una realtà tutta siciliana – e comunque meridionale - , e mi sentirei di escludere che la  stessa sussista  anche nel Lazio. Recentemente, dalla Associazione tra le piccole e medie imprese è stato curato un seminario, nel quale è emerso un quadro esauriente ed allarmante di tante elusioni e corruzioni che allignano nel campo dei pubblici appalti. Tutto ciò deve indubbiamente far riflettere, ma occorre evitare di confondere situazioni di generale corruzione con fenomeni mafiosi, che hanno una loro valenza specifica e peculiari caratteristiche.


Articolo pubblicato sul numero di ANTIMAFIAduemila luglio-agosto 2000

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