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di Giovanni Falcone  

Nessuna regola, come è ovvio, è possibile formulare nella valutazione della attendibilità dei pentiti. In proposito, è certamente vero che costoro quasi sempre sono oggetti macchiatisi di gravi delitti da ascoltare, quindi, con estrema cautela; ma non è men vero che solo dalla viva voce dei protagonisti di vicende criminali spesso efferate possono essere tratti elementi di conoscenza altrimenti non acquisibili. Solo, quindi, dall’esame del caso concreto e del contesto in cui si inserisce la collaborazione dell’imputato con la giustizia è possibile trarre utili elementi di giudizio.
E’ indispensabile allora - perché il fenomeno del pentitismo si traduca in risultati utili per la giustizia - la esperienza, la capacità, la serenità, in una parola, la professionalità del giudice.
Siamo stati abituati per lunghi anni ad assistere, impotenti e quasi facendovi l’abitudine, ad imprese scellerate ed alla crescita smisurata di organizzazioni criminali che sono divenute un vero e proprio contropotere all’interno dello Stato condizionando intollerabilmente lo stesso sviluppo democratico del nostro paese. Era inevitabile che queste strutture, prima o poi si sarebbero incrinate e che qualcuno avrebbe cominciato a parlare; ed era prevedibile, del pari, che le strutture giudiziarie e di polizia sarebbero state messe a dura prova, con un impegno eccezionale e certamente non limitato nel tempo, dalle propalazioni dei pentiti.

Adesso, vi è chi confonde l’effetto con la causa ed attribuisce a scelte dei giudici quella che è la necessaria proiezione processuale di una realtà mostruosa. Non è il caso di prendere in soverchia considerazione le critiche infondate, provenienti spesso dagli stessi settori che nel passato lamentavano, questa volta giustamente, l’incredibile numero di crimini rimasti impuniti e una pretesa inefficienza di polizia e magistratura. Ma è doveroso tenere adeguato conto delle critiche fondate tra cui quella relativa alla talora insufficiente valutazione e ricerca di riscontri delle dichiarazioni dei pentiti.
Certamente, tante giustificazioni potrebbero essere fornite al riguardo, tra cui principalmente quella della inadeguatezza delle strutture umane e materiali esistenti. Ma va sottolineato che, senza la necessaria professionalità e senza la costruzione di robuste intelaiature probatorie, neanche le dichiarazioni dei pentiti salveranno i processi penali dall’esito deprimente e deludente delle assoluzioni per insufficienza di prove in serie, che costituiscono il segno più tangibile del fallimento della giustizia statuale e della vittoria della mafia e delle organizzazioni similari.
Bisogna prendere atto che il fenomeno del pentitismo non è un fatto transeunte e che, in sintonia col progresso civile, l’omertà di alcune fasce della nostra popolazione è destinata a decrescere, seppur non così in fretta come sarebbe auspicabile. Il fenomeno della collaborazione con la giustizia, inoltre, sarà certamente favorito dal nuovo processo penale, fortemente ispirato ai principi dell’oralità e dell’immediatezza e di ciò si trae conferma attraverso l’esperienza di quanto usualmente avviene in paesi come gli Stati Uniti d’America, cui largamente si ispira la riforma del rito penale. Ed allora, occorre evitare che i contributi dei protagonisti di gravissime vicende criminali, finora favoriti da un intensificato impegno di polizia e magistratura, siano vanificati da una insufficiente professionalità degli operatori giudiziari, oltre che da un sistema giuridico ormai inadeguato e da strutture materiali car
enti. E tale obiettivo può essere raggiunto non attraverso sterili e concitate polemiche ma mediante un civile e meditato confronto da cui soltanto possono scaturire le soluzioni più idonee dei vari problemi, da tradurre in scelte operative nel minor tempo possibile.
Tratto dal libro Interventi e proposte, per gentile concessione della “Fondazione Giovanni e Francesca Falcone”

Articolo pubblicato sul numero di ANTIMAFIAduemila giugno 2003

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