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L'influencer

di Giovanni Falcone

Entrando nel merito di questa tavola rotonda e anche per vivacizzare un po’ il dibattito, altrimenti sembra che stiamo recitando tutti lo stesso copione, vorrei pormi in una posizione un po’ diversa. In che senso. Da sempre, da quando mi occupo di problemi di mafia, mi è capitato di sentirmi dire che trattasi di un problema politico, che mafia è uguale politica, che la risoluzione del problema mafia comporta il coinvolgimento di tutto lo Stato e la società civile e che quindi polizia e magistratura non saranno mai in condizione di risolvere da sole questo annoso problema. Ora devo dire che, non che non sia almeno in buona parte vero questo ragionamento, ma è un ragionamento che da sempre ho ritenuto come totalmente improduttivo di effetti. Ragionamento che non porta in nessun posto e soprattutto può costituire, e molto spesso e per lunghi tempi ha costituito, un alibi per giustificare la totale inerzia di chi avrebbe dovuto e potuto agire. Cosa intendo dire. Io vorrei rovesciare un po' l'angolo visuale. Perché se è vero che la mafia è anche un problema economico e sociale vorrei che non si dimenticasse che è anzitutto un fatto criminale. Se no altrimenti, perché anche li bisogna stare attenti, corriamo il rischio di confondere due fenomeni tutt'affatto distinti. Uno è la mentalità, se vogliamo, mafiosa di larghi strati delle popolazioni meridionali, altra cosa è la mafia in quanto organizzazione criminale. E io mi rifiuto di credere che ci sia qualcuno che possa pensare che gli omicidi quando superano un certo numero diventano un fatto politico e cessano di essere un fatto criminale. Proprio in questa città si è reclamata a gran voce, giustamente, la scoperta degli autori degli omicidi eccellenti ma bisognerebbe non dimenticare mai che non sono soltanto questi autori che non sono stati scoperti, se non in parte, ma gli autori di centinaia e centinaia di altri omicidi. Guardate che nel periodo degli anni '81 - '83, nel periodo peggiore della seconda guerra di mafia, gli omicidi sono stati quasi un migliaio e di questi ben pochi sono stati scoperti. Ecco, allora, se è vero che la mafia è un anche fenomeno economico e sociale, o meglio, un fatto che influisce sull'economia e sulla società, se non si creano in Sicilia e nelle altre regioni inquinate dal crimine organizzato le precondizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale sarà assolutamente inutile parlare di lotta alla mafia. Anche perché se una cosa ci ha insegnato l'esperienza di questi anni, e credo che quelli che siamo seduti in questo tavolo li abbiamo vissuti forse più di altri in prima persona questi problemi, è stata quella di evitare generalizzazioni fuorvianti e cercare invece di ridefinire e rendere accettabile e comprensibile per i comuni mortali, come noi siamo, un fenomeno che è anch'esso un fenomeno umano e che è stato spesso in malafede enfatizzato a tal punto da diventare qualcosa di sovrumano per cui la mafia è diventata una sorta di maledizione divina da cui mai le popolazioni meridionali si libereranno. E tutto questo non è vero. Non solo tutto questo non è vero ma soprattutto comincia a diventare funzionale a certi interessi perché sta creando determinate sofferenze a livello internazionale, soprattutto comunitario, in cui certi fenomeni indubbiamente gravissimi vengono immediatamente sfruttati ed utilizzati in funzione anti-italiana. Chiunque sia stato all'estero nel periodo dell'omicidio dell'on. Lima potrà dirvi cosa c'era scritto in tutti quei giornali stranieri sull'Italia come patria di tutte le mafie. Questa sorta di identificazione assoluta e acritica nei confronti di un problema che è sicuramente grave ma che certamente non può esser tale da fare identificare l'Italia con queste organizzazioni criminali. Ecco quindi, e mi riallaccio a quello che diceva Giuseppe Ayala poc'anzi, che è un fenomeno nazionale. E' un fenomeno nazionale in questi termini, nazionali e sovranazionali. Ma senza dimenticare mai però, che appunto questa nazionalità del fenomeno, per gli interessi che disloca e per i problemi che crea non deve mai far dimenticare che l'epicentro del fenomeno purtroppo si trova in Sicilia e a Palermo in particolare, perché altrimenti si corre il rischio di parlare di mafia intendendo altre cose. Perché, e questa era un'ulteriore considerazione che desideravo fare, bisogna intenderci che cosa diciamo quando parliamo di mafia. Perché spesso mi è capitato di partecipare a discorsi in cui io e gli altri interlocutori parlavamo di mafia ma discutevamo in realtà di cose completamente diverse. Adesso è diventato di moda parlare di mafia russa, mafia turca, mafia giapponese, mafia cinese, mafia colombiana, e così tutto questo rischia di far diventare questi problemi come quella famosa notte in cui tutte le vacche sono nere. Il nostro problema è quello di riuscire a individuare la specificità di questi fenomeni e quindi di adottare le strategie conseguenti. Ecco, e mi riallaccio quindi alla prima domanda, ecco perché sono state create certe strutture. Perché il crimine organizzato non può essere affrontato in maniera disorganizzata. Si potrà discutere delle soluzioni in concreto adottate, ma un principio, credo, ormai dovrebbe essere saldamente ancorato nella coscienza di tutti. La nomia, l'individualismo sfrenato, l'arbitrarietà nelle scelte dei singoli organismi inquirenti non possono essere più consentiti perché rischiano di bloccare l'azione repressiva complessiva dello Stato e questi sono concetti così banalmente semplici che suscita veramente perplessità che ci sia voluto tanto tempo perché tutti quanti ce ne rendessimoconto. Ecco allora che è importante la creazione di strutture che consentano queste elaborazioni di questi fenomeni, delle notizie, di tutti i dati riguardanti queste organizzazioni perché solo così si potranno adottare le opportune strategie di contrasto. E ' falso ritenere che si possa lottare la mafia allo stesso modo della camorra o della 'ndrangheta o della miriade di altre organizzazioni criminose dedite al traffico di stupefacenti e che stanno invadendo il meridione d'Italia. Io certe volte guardo con sgomento alla totale disinformazione a livello generale che c'è su questi problemi che invece ci toccano tutti da vicino. Proprio stamattina ho letto un qualcosa che mi ha fatto rabbrividire e cioè che in Italia il vero problema della droga riguarda soltanto l'eroina e ciò proprio nel momento in cui sappiamo per certo che oltre un quarto della produzione di cocaina colombiana si sta riversando in Europa e che in questo business di proporzioni gigantesche indubbiamente la mafia siciliana avrà, e in parte ha di già, le sue sicure cointeressenze. Ecco, questi sono i fenomeni gravi, gravissimi con cui bisogna confrontarsi e tutto il resto sono chiacchiere. Sono i problemi concreti che vanno individuati e risolti in una strategia che deve essere differenziata ma allo stesso tempo guidata da un intelligente uso delle risorse e della distribuzione delle possibilità di intervento. Perché se aspettiamo sempre a dire che il problema è un altro, non è il coordinamento - l'Italia è un Paese in cui appena si cerca di affrontare un problema ci sarà sempre chi insorge per dire che il problema è sempre un altro e quindi non si fa mai un passo avanti -, se si continua a sbranarci fra di noi senza tenere conto che il nemico, io credo, è la mafia e non le istituzioni fra di loro, ecco credo che continueremo a non fare passi avanti. Io ricordo, e mi avvio rapidissimamente alla conclusione, che c'è stato quasi un desiderio insano di liquidare il maxiprocesso come, fra virgolette, un enorme buco nell'acqua. E' stato detto questo forse con una certa, troppa rapidità perché non si è tenuto conto che ancora c'era un giudizio di cassazione che, per fortuna o per capacità di chi ci ha lavorato, comunque ha reso irrevocabili quelle sentenze di condanna e non si è tenuto conto che si sono ottenuti dei risultati che fino a poco tempo prima venivano ritenuti assolutamente impensabili. Si è processata la mafia in quanto tale, l'organizzazione siciliana denominata Cosa Nostra, la più pericolosa esistente al mondo e spero che non ci sia qualcuno che pensi che io lo dica con orgoglio di siciliano, perché capita anche questo. Ecco, tutto questo significa, contro certo sfascismo di bassa lega, che sono stati effettuati notevoli passi. Si tratta ora di prodursi in uno sforzo ulteriore perché queste conoscenze e queste acquisizioni possano essere utilmente valorizzate in quella lotta contro il crimine organizzato che ormai è assolutamente improcrastinabile. Grazie.

Tavola rotonda dal titolo "Criminalità, giustizia" tenutasi a Palermo, in vista delle elezioni politiche, il 27 marzo del 1992.
Da archivio sonoro Radio Radicale Ca n° 104989. Trascrizione a cura di Monica Centofante.
La trascrizione è fedele al documento sonoro, con alcuni interventi a discrezione dell'operatore: 1) l'apposizione della punteggiatura; 2) l'inserimento di parole, comprese in parentesi quadre, per aiutare la comprenslità del testo; 3) la correzione delle deformazioni fonetiche dialettali.

Articolo pubblicato sul numero di ANTIMAFIAduemila ottobre 2000

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