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L'influencer

di Marco Travaglio
Dice Salvini che “chi accosta la Lega alla mafia deve sciacquarsi la bocca”. E noi, una volta tanto, siamo d’accordo: malgrado l’annessione di pezzi non certo profumatissimi del vecchio ceto politico siciliano e calabrese, ci vuol altro per affermare che la Lega sia il partito della mafia (come lo fu la sua alleata Forza Italia, anche se non tutti i suoi elettori ed eletti erano e sono mafiosi). L’abbiamo scritto più volte, anche polemizzando col nostro amico Saviano a proposito di Salvini “ministro della malavita”. Però, lo sa anche lui, le mafie cercano da sempre agganci con la politica, in particolare con i partiti al potere. Nel ’94, persi per strada i vecchi referenti della Dc e dei partiti alleati, Cosa Nostra si buttò a colpo sicuro su FI, creata dal vecchio compare Dell’Utri. Ora, dopo aver dominato uno dei due poli per 25 anni, FI è fuori gioco e mai più guiderà un governo: al massimo farà da ruota di scorta a uno altrui. Naturale che i mafiosi tentino di agganciare chi comanda: e, non potendo avvicinare i 5Stelle, poco permeabili per il Dna legalitario e l’organizzazione “orizzontale”, ci ha provato con la Lega. Lo dimostra l’inchiesta siciliana sul triangolo Siri-Arata-Nicastri. Nicastri, uomo di Messina Denaro secondo i pm di Palermo (che ieri han chiesto la sua condanna a 12 anni per concorso esterno e intestazione fittizia di beni), è il classico colletto bianco colluso. Ma, dopo la condanna definitiva per corruzione e truffa a Milano, la misura di prevenzione antimafia col sequestro di capitali per 1,3 miliardi e gli arresti, prima domiciliari e ora carcerari, è ormai bruciato: non può più agire in prima persona. Gli serve una testa di legno. Ed ecco pronto Paolo Arata, ex deputato di FI, esperto di ambiente ed energia, che nel 2015 scende dalla Liguria in Sicilia per creare una società eolica in combutta con Nicastri. “Siamo soci al 50%”, dice nelle intercettazioni. E aggancia la Lega, o ne viene agganciato: il 16 luglio 2017 tiene un discorso programmatico al convegno leghista di Piacenza, giusto in tempo per ritrovarsi sul carro del vincitore nel 2018. Parla da dirigente leghista, da quel palco: dice che, una volta al governo, “dobbiamo mettere i nostri uomini nei posti giusti”. Lo stesso giorno Salvini lo accredita con tre tweet: foto sul palco, video del discorso e hashtag “facciamosquadra”. Infatti Arata scrive il programma leghista sull’energia e ispira alcuni punti del Contratto sul tema. Poi, una volta al governo, Salvini si attiva subito per farlo nominare presidente dell’Authority sull’Energia, malgrado (o proprio per) il suo conflitto d’interessi imprenditoriale. Intanto Armando Siri, genovese come Arata, gli chiede di attivarsi con i suoi contatti vaticani e americani per farlo nominare ministro. Ma il Contratto prevede solo ministri incensurati e Siri ha patteggiato 1 anno e 8 mesi per bancarotta e sottrazione fraudolenta di beni al fisco. Così strappa un posto di sottosegretario. E si sdebita tentando, per otto mesi, di far passare un emendamento scritto da Arata sugli incentivi all’eolico, che farebbe guadagnare un sacco di soldi pubblici alla società di Arata&Nicastri: un tipico interesse privato in atti d’ufficio che ora rende Siri incompatibile con qualunque ruolo di governo, avendo tradito non solo il principio costituzionale di imparzialità della PA, ma anche la fiducia di Conte (che lo vuole fuori) e degli altri colleghi di governo. Intanto Giorgetti assume il figlio di Arata, Federico, come “esperto” a Palazzo Chigi. Perciò è fondamentale capire quando e come Salvini ha conosciuto Arata sr. Gli abbiamo chiesto un’intervista per chiarire tutto: nessuna risposta. L’altroieri ne ha concessa una a La Verità, ma non ha spiegato nulla. Le solite scemenze sulla Raggi (mai indagata per corruzione e mai accusata di infilare norme per arricchire amici affaristi). La solita doppia morale sulle indagini: “In una democrazia normale uno viene sospeso se viene condannato… Se è provato il malcostume non guardiamo in faccia nessuno: chi sbaglia paga” (perché allora Salvini ha chiesto le dimissioni della governatrice umbra del Pd, soltanto indagata e per reati meno gravi di Siri? E perché non ha sospeso Siri dopo il patteggiamento per bancarotta ed evasione, anzi l’ha promosso al governo?). E, su Arata, una risposta tragicomica: “L’ho visto solo una volta. È venuto una volta a un nostro convegno a parlare di energia. Ha fatto una bella lezione. Non ci siamo più parlati”. Cioè: Salvini incontra Arata a un convegno, senza sapere chi sia, e lo invita subito sul palco a tenere una lezione sull’energia; poi, senza mai più parlargli, lo propone alla guida dell’Autorità nazionale dell’energia; e pretende pure che qualcuno se la beva. Le mafie, lo sa benissimo anche lui, si nutrono di segnali. Arata ha tentato di infiltrare la Lega nascondendo il suo socio occulto Nicastri e ci è perfettamente riuscito, grazie alla leggerezza di Salvini o di chi gliel’ha accreditato e poi alla spregiudicatezza di Siri, che faceva da postino alla sua norma ad aziendam. Se Salvini non vuol più sentire accostare la Lega alla mafia, tronchi ogni rapporto con chi ha accostato la Lega alla mafia: cioè con Arata, che l’ha fatto consapevolmente, e con Siri, che l’ha fatto inconsapevolmente. Mentre lui straparla, i mafiosi lo tengono d’occhio: se il ministro dell’Interno recide prontamente e nettamente quelle liaisons dangereuses, nate magari a sua insaputa, si dimostra inaffidabile per quegli ambienti. Se invece continua a sorvolare su Arata e a difendere Siri, si dimostra affidabile, oltreché permeabile. E non c’è comizio antimafia (una specialità di tutti i politici, anche dei più collusi) a Bagheria o a Corleone, il 25 aprile o in altre occasioni, che possa ribaltare quel giudizio.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Imagoeconomica

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