di Marco Travaglio
Vent’anni a compatire i figli di B., che sulle loro incolpevoli teste giurava le peggiori fandonie. E ora ci tocca solidarizzare con quelli di Renzi. Il quale, non ricordando più perché vuole cambiare la Costituzione, ha detto che lo fa per i suoi ragazzi. Così quelli, quando raggiungeranno la maggiore età e potranno finalmente votare, avranno la soddisfazione di non ritrovarsi più la scheda del Senato, perché l’amorevole genitore ha pensato bene di abolire le elezioni. La sorte dei due sventurati marmocchi già ci mosse a compassione quando papà Matteo annunciò: “Se vince il No, vado a casa”. Annuncio che, nelle sue intenzioni, doveva suonare come una minaccia per terrorizzare la Nazione intera. Invece, a giudicare dai sondaggi, squillò come una speranza e galvanizzò milioni di italiani, fino ad allora indifferenti o addirittura ignari della Grande Riforma. La prospettiva di non vederlo e soprattutto di non sentirlo mai più ebbe l’effetto della scossa elettrica sulla rana di Galvani: gente che chiedeva in giro “dove si firma?”, assembramenti agli uffici comunali per ritirare il certificato elettorale (“ne potrei avere una quindicina?”), casalinghe di Voghera che compulsavano i sacri testi per documentarsi sul quorum (“meno male, stavolta non occorre”) e sulle modalità di voto (“non posso sbagliare: se sono contro devo dire No”). Insomma, come dice quella serpe di D’Alema, “si era creata una certa aspettativa nel Paese”.
Fu allora che le badanti (tipo Napolitano) che lo assistono lo avvertirono: “Qui le cose si mettono male, la minaccia funziona all’incontrario”. L’unico luogo dove seminò panico e terrore fu casa Renzi, dove i congiunti e anche gli animali domestici tremarono dinanzi all’agghiacciante prospettiva di ritrovarselo fra i piedi dal 5 dicembre a ciabattare e pontificare 24 ore su 24. E progettarono di denunciarlo per minacce, costringendolo a rinculare: “Se vince il No, resto”. La famiglia respirò, almeno fino all’altroieri, quando lui tirò in ballo i figli come destinatari e testimonial della cosiddetta riforma. Che, essendo opera di Boschi & Verdini, costerà agli sventurati pargoli un sacco di prese in giro a scuola. Roba da chiamare il Telefono Azzurro. Senza contare gli effetti collaterali: quando B. tirava in ballo i rampolli, Dario Fo immaginò le tragiche conseguenze: “Giurava sempre sui figli, ponendo la mano sulle loro teste: ‘Che un fulmine possa scendere dal cielo e spappolare il cranio di questo mio figlio se il mio prodotto non funziona!’. Faceva molto effetto. Specie sui figli, che soffrivano di dissenteria continua!”.
Noi speriamo vivamente che la cosa non abbia a ripetersi sui piccoli Renzini, ma siamo ugualmente preoccupati. Non tanto per loro, che in quanto minori hanno diritto alle tutele del caso. Ma per quei milioni di italiani che se la sono bevuta. È vero che nel Paese di Tafazzi non c’è limite all’autolesionismo. Ma s’è mai visto un politico sano di mente che chieda agli elettori il permesso di abolire le elezioni e speri in una risposta affermativa? Perché questo, tradotto dall’ostrogoto all’italiano, è il vero quesito: “Rinunciate – per il vostro bene, s’intende – al diritto di eleggere i senatori e lasciarli nominare a noi della Casta fra i consiglieri regionali e i sindaci, con in omaggio l’immunità da arresti, intercettazioni e perquisizioni, cioè con la licenza di delinquere?”. In un Paese normale, ma anche anormale e persino subnormale, la risposta sarebbe un NO cubitale, seguito da fischi, lazzi, insulti e pernacchie. Come se si domandasse a tutti i ragazzi e ragazze: “Rinunciate a scegliervi il fidanzato o la fidanzata, il marito o la moglie, per farli decidere ai vostri genitori o al Consiglio regionale?”. Invece qui la partita è apertissima. Anche perché corre voce che i senatori faranno poco o nulla e tanto vale risparmiare sulla scheda. Ma è vero l’opposto: se vince il Sì, i senatori dovranno votare (per respingerle o approvarle o emendarle) ben 22 categorie di leggi uscite dalla Camera (tra cui quelle costituzionali), e tutte le altre potranno continuare a votarle a loro richiesta. In più, sempre in base all’art. 55, avranno “funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea”, partecipando “alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Ue”. Il tutto senza che nessuno li abbia mai eletti per fare tutto ciò.
Ora, siccome la gran parte delle leggi deriva ormai da norme europee, il Senato avrà un mare di lavoro solo come interfaccia dell’Ue, senza contare l’attività legislativa. Altro che “riunirsi una volta ogni 20 giorni/un mese”, come vaneggia Renzi. Infatti Elisabetta Gualmini, politologa e vicepresidente Pd dell’Emilia Romagna, ammette che il nuovo Senato si riunirà due giorni a settimana. Senza contare i giorni necessari per studiare le leggi e preparare gli emendamenti. E come faranno sindaci e consiglieri regionali a dividersi fra l’amministrazione delle loro città o regioni e il lavoro di senatori a Roma? E come si può pensare che, per gli 8-10 giorni al mese che trascorreranno nella Capitale, non si faranno rimborsare viaggi aerei, taxi, albergo, lavatura, stiratura, colazioni, pranzi, cene, portaborse, segretarie e consulenti, mangiandosi pure il ridicolo risparmio annuo di 40 milioni previsto dal bilancio del Senato e dalla Ragioneria dello Stato? Che questo ridicolo baraccone lo voglia Renzi, si può capire: eletto presidente della Provincia e poi sindaco di Firenze, si ritrova premier da due anni e mezzo e si è disabituato all’idea stessa delle elezioni. Ma noi? Perché mai dovremmo rinunciare al diritto di voto? Facciamolo per noi, per i nostri figli e anche per i suoi: votiamo No.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
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