di Marco Travaglio - 31 maggio 2013
Le eruzioni vulcaniche sono precedute da fenomeni precursori tipo fumarole, ceneri, gas, vapori, lapilli, scintille, frane, scosse sismiche, surriscaldamento del terreno, ebollizione delle acque. È quel che sta accadendo nei pressi del Quirinale dove, dal giorno della sua convocazione come teste al processo sulla trattativa, si attende da un momento all’altro l’eruzione di Giorgio Napolitano. Il primo indicatore rilevato dai vulcanologi è stato lo sciame sismico dei giureconsulti di corte in ebollizione sulla stampa di regime con argomenti squisitamente tecnici: ma come, convocare il Presidente a testimoniare, ma non s’è mai visto, ma dove andremo a finire, signora mia. Ieri sulla Stampa un secondo fenomeno precursore che lascia presagire l’imminente evento eruttivo: un’intervista del vicepresidente del Csm Mi-chele Vietti. Il quale, nell’ordine: è “preoccupato” per un imprecisato “clima da curva sud”, “non fa mistero del suo disappunto”, “non posso negare che mi lascerebbe perplesso”, “fatico a immaginare”, “non mi sembra un’atmosfera adatta”.
Ora, non si capisce bene con quali poteri il vicepresidente del Csm si impicci in un processo in corso per bacchettare i pm che citano un testimone e ammonire la Corte d’Assise che lo ascolteranno, né a che titolo esprima preoccupazione, non faccia mistero del disappunto, non possa negare di essere perplesso, fatichi a immaginare e s’improvvisi barometro per valutare climi e atmosfere. Anzi si sa che il Csm nomina, promuove, trasferisce le toghe, le punisce se violano il codice disciplinare e dà pareri sulle riforme della giustizia, e su tutto il resto deve tenere la bocca chiusa. Invece il Vietti, che non muove passo senza consultare il Colle, emette fumarole, lapilli, scintille, vapori, ceneri e gas. Insomma pre-erutta per conto terzi. Sostiene che “far deporre Napolitano in un processo che vede come imputati i più feroci macellai della storia della mafia è una mancanza di rispetto per il ruolo che riveste e per la sua storia”. Dunque se i pm ritengono che Napolitano sappia qualcosa di utile sulla trattativa, non devono domandarglielo per “rispetto” (concetto ignoto a Costituzione e codici). E perché “nessuno ha mai ipotizzato responsabilità nella vicenda della trattativa” del defunto consigliere del Colle, Loris D’Ambrosio. Già. Purtroppo l’ha ipotizzato lo stesso D’Ambrosio in una lettera a Napolitano incautamente resa pubblica da Napolitano (dopo la morte di D’Ambrosio, s’intende), confidando il timore di essere stato usato come “ingenuo scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. E rivelando di averne parlato a Napolitano e ad altri. Non potendo chiedere lumi a D’Ambrosio né sapere chi siano gli “altri”, parrebbe naturale chiedere a Napolitano. Ma il Vietti sarebbe “perplesso se questa fosse la finalità della testimonianza: faccio fatica a immaginare che sia utile all’accertamento della verità”. Già che c’è, mette le mani avanti e diffida i giudici dal processare “scelte riconducibili alla pura sfera politica correttamente intesa”: così lui chiama i traditori dello Stato che trattarono con Cosa Nostra rendendosi complici dei boss che volevano ricattare le istituzioni a suon di bombe per smantellare le leggi antimafia e garantire lunga latitanza a Provenzano & C. Il finale è da manuale: “I giudici non si faranno suggestionare, ma è bene lasciarli lavorare tranquillamente senza tifoserie”. E le tifoserie non sono i Vietti e gli altri corazzieri, ma i ragazzi delle Agende Rosse (“clima da curva sud”) che osano contestare gli imputati anziché accoglierli con standing ovation e petali di rosa. Se poi la Corte, incurante delle fumarole di Vietti & C., non vorrà proprio rinunciare a far luce sugli “indicibili accordi” che D’Ambrosio dice di aver confidato a Napolitano e altri, potrà comodamente ricorrere a uno strumento investigativo ben più efficace e meno divisivo dell’audizione di Napolitano: la seduta spiritica.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano