di Nicola Tranfaglia - 18 agosto 2010
I danni collaterali di un regime populistico ormai in fase di declino inevitabile si fanno sempre più pesanti.
Se il capo carismatico passa qualche giorno in una sua villa in Sardegna, il capo gruppo del PDL alla Camera, il piduista Cicchitto, e il suo vice Bianconi rivolgono al capo dello Stato quello che il presidente Napolitano ha definito “minacce” e “indebite pressioni.”
L’oggetto del contendere è chiaro ormai a gran parte degli italiani. La destra berlusconiana non accetta l’idea che il presidente della repubblica, avendo verificato che la maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni, non sia più presente, deve - così gli impone la costituzione del 1948 - verificare se si è formata un’altra maggioranza in parlamento e, qualora questa ci sia, dare l’incarico a un altro candidato presidente del Consiglio che si presenterà davanti alle Camere e chiederà la fiducia.
Soltanto se la nuova ipotetica maggioranza, non conseguirà la fiducia, il Capo dello Stato potrà sciogliere le Camere e indire le elezioni politiche anticipate.
Cicchitto e altri deputati del PDL, ma anche ministri come Maroni e Alfano, sostengono che l’indicazione del capo del partito indicata sulle schede, secondo quanto consente la legge elettorale vigente, prefigura l’indicazione dell’esponente politico che vincerà le elezioni e, una volta raggiunto l’obbiettivo, sarà scelto dal Presidente come candidato presidente del Consiglio. Ma la legge elettorale di cui parla Cicchitto contiene una precisazione che non consente equivoci perché afferma “restano ferme le prerogative del Presidente della Repubblica previste dall’articolo 92 della costituzione.”
Dunque la disputa non è fondata sull’interpretazione della costituzione come affermano i berlusconiani ma soltanto su un tentativo maldestro e politicamente pretestuoso di forzare la costituzione e togliere alla massima carica della repubblica un potere esplicitamente previsto.
Di qui viene la dura nota del Quirinale che è costretto a sfidare il capo dell’esecutivo e i suoi collaboratori quando escludono l’ipotesi di un governo formato su una maggioranza diversa da quella uscita dalle elezioni dell’aprile 2008 per compiere alcune riforme indispensabili (prima tra tutte la legge elettorale e quella sul conflitto di interessi) e poi andare alle elezioni.
Bastano tre mesi o ci vorrà di più per quelle riforme? E’ probabile ma sarà il parlamento, e non il capo dell’esecutivo, a valutare se varrà la pena oppure no.
Il governo Berlusconi, egli ultimi due anni, ha puntato essenzialmente sugli interessi personali del capo,ha provocato la crescita della povertà e l’aumento del divario tra nord e sud.
E’ arrivato ora il tempo di costruire un’alternativa di governo efficace al populismo autoritario proprio rifacendosi ai principi costituzionali.
Non esiste altra strada, a meno che gli italiani portino tutti il cervello all’ammasso e si inchinino ancora una volta al capo carismatico di Arcore.
Tratto da: articolo21.org