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Teatro Garbatella “esaurito” per il libro di Nino Di Matteo e Saverio Lodato. Assieme a loro Sigfrido Ranucci e Salvatore Bonferraro

C'è un pezzo di Italia che non vuole dimenticare. Che non si arrende ai bavagli, alle trattative e a certe sentenze che vorrebbero cancellare i fatti. Un pezzo di Italia di “irriducibili” che non si arrendono alle mezze verità, ai compromessi e ai giochi a ribasso.

E' per questo che in molti ieri pomeriggio hanno deciso di riempire il Teatro Garbatella di Roma, dove si è tenuta la presentazione del libro "Il Colpo di Spugna" (ed. Fuoriscena), scritto dal sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e dal giornalista Saverio Lodato.

Assieme ai due autori sono intervenuti i giornalisti Sigfrido Ranucci (conduttore di Report, su Rai 3, e Salvatore Bonferraro, commissario di Polizia (oggi in pensione) che ha lavorato presso la Dia di Palermo.



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Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale antimafia © Deb Photo


Ad intervallare gli interventi, moderati dalla giornalista televisiva Silvia Resta, un omaggio doveroso al giornalista-giornalista Andrea Purgatori, il contributo video con la lettura di due grandissimi attori come Lunetta Savino e Luca Zingaretti, e gli interventi musicali del sassofonista Nicola Alesini.

Proprio le parole dette un anno addietro da Purgatori, in quello stesso teatro, alla presentazione del libro “Il Patto Sporco” hanno fatto da sottotesto all'intero evento.

Noi - diceva - finché non riusciremo a trovare quelle risposte che stiamo cercando, continueremo a picchiare con il martello per cercare di aprire un varco e portarci a casa la verità”. Tutti i presenti, esprimendo commozione, hanno ricordato quanto sia sempre più fondamentale il giornalismo di inchiesta e l'importanza di non disperdere la memoria su certi fatti.


E' anche per questo motivo che diventano fondamentali incontri come quello di ieri, in un tempo in cui libera informazione e magistratura sono finite nel mirino della politica e certe sentenze sembrano voler porre una pietra tombale su determinate verità.

Sentenze come quelle della trattativa Stato-mafia, con la Cassazione che ha assolto tutti gli imputati istituzionali e, cambiando il capo di imputazione, dichiarando prescritto il reato dei boss mafiosi.

Secondo Di Matteo questa sentenzarischia di costituire uno spartiacque tra due epoche giudiziarie. L'epoca dei cosiddetti grandi processi in cui si è cercato di alzare il tiro della lotta alla mafia non limitandosi alla repressione, giusta e sacrosanta, dell'ala militare ma cercando e scoprendo i rapporti alti e altri di Cosa Nostra, ed un'epoca in cui invece sarà sempre più difficile trovare il coraggio e la possibilità di puntare alla ricostruzione di quei rapporti”.


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Non solo.Questa sentenza contribuisce ad alimentare un pericoloso vento di restaurazione che soffia nel nostro paese e che riguarda purtroppo anche l'ambito giudiziario e della magistratura”.

Nel suo intervento il sostituto procuratore nazionale antimafia ha espresso una lunga valutazione sull'operato della Cassazione dichiarando il diritto di criticare, sempre nel massimo rispetto, anche le sentenze della Cassazioneche non hanno il crisma della infallibilità”. Mettendo in evidenza i fatti emersi nel corso del processo (come ad esempio le parole del Capo dello Stato Napolitano, ndr) e ricordando le valutazioni fatte in primo ed in secondo grado, il magistrato ha criticato la valutazione fatta dai giudici della Suprema Corte.


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Da sinistra: Saverio Lodato, Silvia Resta, Nino Di Matteo, Salvatore Bonferraro e Sigfrido Ranucci


Entra pesantemente nella valutazione del fatto contestato in poche pagine ha aggiuntoIn non più di 20-25 pagine, pretende di smontare la valenza probatoria di quanto emerso in primo e secondo grado e consacrato complessivamente in 10.000 pagine di motivazioni, di sentenze. E per di più ingenerosamente accusa i giudici di merito di aver adottato un approccio storiografico. Questa è un'accusa che ho ritenuto da subito davvero grave ed ingiusta. Quei giudici di merito pur nella diversità delle loro rispettive conclusioni, avevano adottato invece l'approccio giusto, che era un approccio sistematico e complessivo alla valutazione dei fatti e degli accadimenti, di fatti e accadimenti che non potevano essere correttamente valutati se considerati isolatamente”.


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Il sassofonista Nicola Alesini


Di Matteo ha provato anche a dare una risposta sul perché si è giunti a questa nuova valutazione: “Il sistema Stato nel suo complesso, non gli imputati, non poteva consentire che in una sentenza definitiva, per quanto assolutoria nei confronti di alcuni uomini dello Stato, restassero consacrati, nero su bianco, rapporti di dialogo e scambio con il nemico dichiarato anche nel periodo delle stragi. Quelle verità, sancite in primo e secondo grado, erano troppo scomode per restare per sempre agli atti di una sentenza definitiva”.

Nonostante tutto, pur facendomacerie di tutto il lavoro fatto per anni da tanti pubblici ministeri e tanti giudici, la Cassazione non ha potuto rimuovere un macigno. Cioè riconoscere che mentre le strade erano ancora insanguinate dopo la strage di Capaci una parte importante dello Stato cercò i vertici di Cosa Nostra per sapere cosa volessero per far cessare la strategia di violenta contrapposizione dello Stato”.


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Processo alla Storia

Dello stesso avviso anche Saverio Lodato che ha ricordato come le accuse di aver compiuto un “processo alla storia” fu rivolta anche a quei magistrati che condussero il processo contro l'ex sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti.

I fatti sono lì, così come diceva Purgatori. E nel frattempo sono accadute tante cose. “Messina Denaro - ha aggiunto Lodato - è morto con tutti i suoi segreti e non abbiamo avuto una sola risposta agli interrogativi ai quali invece il boss avrebbe saputo rispondere. La situazione attuale ci dice che con Andrea è venuta a mancare una grande bussola interpretativa di quello che accadeva e che continua ad accadere in Italia. Quello che accade in questi giorni, in queste settimane, argomenti pesanti. Argomenti pesanti che sollevano anche qui interrogativi che non trovano risposte se non strumentalizzazioni politiche di questa o quella parte interessate a tirare la verità dalla sua parte. Il giornalismo investigativo è una brutta bestia del giornalismo. Chi fa giornalismo investigativo viene messo sulla graticola da tutti i rappresentanti del potere, senza eccezione”.


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Il giornalista e scrittore, Saverio Lodato


Lodato ha anche parlato dell'attualità guardando anche allo scandalo degli accessi informatici alle banche dati della Procura Nazionale Antimafia, che viene usato per attaccare anche i giornalisti del 'Domani' che sono finiti sotto inchiesta.Noi cittadini abbiamo diritto di sapereha detto Lodato - ancora prima della verità sugli accessi non consentiti nelle banche dati, se questa incompatibilità di Crosetto c’era oppure no. Non permetteremo al potere, sollevando questo polverone, di far dimenticare qual era l’oggetto di quell’inchiesta. Diversamente siamo destinati ad aggiungere misteri ad altri misteri. E questo il ministro Crosetto dovrebbe spiegarlo indipendentemente dagli accessi perché in Italia abbiamo il problema che quando qualcuno indica la Luna c’è chi guarda al dito, periodicamente”. Nella sua analisi Lodato ha anche espresso un augurio affinchési sviluppasse un altro filone del giornalismo d’inchiesta in Italia, quello che riguarda un argomento considerato tabù, quello delle industrie belliche italiane che producono e vendono armi”. Ovviamente certe battaglie di verità, però, vengono osteggiate dalla politica. Così come nessuno parla della lunga latitanza di Matteo Messina Denaro, che si nascondeva, di fatto, a casa sua.


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© Deb Photo

Informazione sotto attacco

Dell'attacco che oggi subisce il giornalismo ha ovviamente parlato anche Sigfrido Ranucci:Da operatore dell’informazione posso dire che quanto accaduto nei confronti di alcuni magistrati in questi anni, ovvero gli attacchi e la delegittimazione, è un metodo che è accaduto anche nei confronti di alcuni giornalisti - molti o pochi - che sono rimasti a difendere determinati fatti”. Dopo aver ricordato i ripetuti attacchi subiti da Report in questi anni da parte del potere, ha evidenziato come oggi vi sia una certa “intolleranza della classe politica al giornalismo d’inchiesta”.  Un pensiero il conduttore di Report lo ha anche dedicato ai giornalisti uccisi nella Striscia di Gaza e aJulian Assange che rischia 175 anni di carcere per aver svelato dei crimini di guerra senza cui non si sarebbe saputo cosa è accaduto in alcuni periodi della nostra storia”.


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Sigfrido Ranucci


E poi ha aggiunto: “Il giornalismo dovrebbe essere il cane da guardia della politica. Ricordo una frase scritta sotto la testata del Washington Post: 'La democrazia muore nell’oscurità'. E non è un caso che sia scritta sotto quella testata, perché è la testata che annoverava i giornalisti che avevano tirato fuori il “Water Gate”: l’inchiesta giornalistica che portò poi alla caduta del presidente degli Stati Uniti”.

Ovviamente Ranucci ha detto anche la sua sulla sentenza della trattativa Stato-mafia: “Mi sarei aspettato nelle motivazioni della sentenza della Cassazione di trovare il perché Bernardo Provenzano è stato latitante per 40 anni, ma non mi sembra di aver letto traccia di questa cosa. Mi aspettavo di leggere il perché Matteo Messina Denaro è stato latitante per 30 anni. E poi li abbiamo visti vivere tranquillamente anche vicino alle loro abitazioni”.


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Origine di un'inchiesta

Niente di tutto ciò. Non una riga. Eppure le prove sono lì. Il Commissario Salvatore Bonferrarro è andato anche oltre ricordando alcuni momenti chiave del processo. Un percorso in itinere fatto di oltre 200 faldoni e centinaia di migliaia di pagine e ore ed ore di lavoro. Con le dichiarazioni di Massimo Ciancimino e Giovanni Brusca è iniziata l'inchiesta, ma si arrivò presto a disvelare diversi aspetti di quegli anni. “Le intercettazioni che ci colpirono furono quelle tra l’ex senatore Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio che all’epoca era l’addetto giuridico della Presidenza della repubblica – ha detto l'ex commissario della Dia - Il suo obiettivo principale era quello di avocare le indagini interessando la Procura nazionale antimafia, il dottore D’Ambrosio gli spiegava che l’avocazione non era possibile da parte della Procura nazionale. Ma il suo problema principale era il dottore Di Matteo, definendolo “un guaio”. Oggi dico sì è vero, è un 'guaio', perché il dottore Di Matteo è un inguaribile che cerca la verità e se noi anche oggi siamo qui a distanza di tanti anni lo dobbiamo a questo 'guaio'. Dobbiamo andare avanti, dobbiamo cercare la verità, nonostante la sentenza della Cassazione. La verità storica è negli atti, nelle carte”.


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Salvatore Bonferraro, commissario di Polizia (oggi in pensione)

Le parole di Riina e Graviano

Altri step sono state le dichiarazioni di Totò Riina e Giuseppe Graviano, registrate in carcere. “Riina non temeva i 26 ergastoli a suo carico, ma quel processo. La procura ci dice che dobbiamo sottoporlo a intercettazioni ambientali. Abbiamo avuto difficoltà nel mettere le intercettazioni a Riina. Riina passava 22 ore della sua vita al 41 bis aggravato dall’articolo 4 dell’ordinamento penitenziario, quindi era un soggetto che non parlava con nessuno. Non aveva un presente, né un futuro ma aveva un grande passato. Perciò al suo interlocutore, Lorusso Alberto, elemento di spicco della Sacra Corona Unita, raccontava tutto il suo passato partendo dall’inizio della sua carriera fino ai giorni nostri. Quello che ci faceva stare male era la crudeltà con la quale raccontava i fatti, vantandosi, disprezzando le vittime, in particolare il dottore Falcone, dicendo che gli avrebbe fatto fare la fine del tonno, perché quel giorno Falcone doveva andare alla famosa Tonnara di Favignana. Il 16 novembre del 2013 era il giorno del compleanno di Riina ed in quella circostanza se la prese molto con il dottore Di Matteo intimando a Lorusso Alberto, che aveva più possibilità di far uscire fuori la notizia, se potevano accelerare per fare un attentato al magistrato. Ricordo le minacce, che erano propositi omicidi nei confronti di Don Ciotti e specialmente del dottore Di Matteo. Aveva un accanimento contro di lui. Si chiedeva come faceva a non abbassare lo sguardo mentre lo guardava. Io oggi sono orgoglioso di essere accanto al dottore Di Matteo, perché non ha abbassato gli occhi davanti a Riina”.


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Saverio Lodato e Nino Di Matteo


Anche Graviano parlava con il suo co-detenuto: “Ce l’aveva a morte con Berlusconi, dicendo che aveva tradito le loro aspettative. Continuava ed insisteva perché il suo interlocutore forse aveva la possibilità di uscire dal carcere e si doveva fare latore di portare dei messaggi ad un soggetto che poi doveva andare da lui (ndr, cioè da Berlusconi) per ricordargli che Cosa nostra non aveva dimenticato. Le sue esternazioni al processo di Reggio Calabria non sono delle minacce, ma degli avvertimenti, per ricordargli (ndr, a Berlusconi) che aveva ancora dei figli in vita e che aveva dei debiti con Cosa nostra e Cosa nostra non dimentica. Stessa cosa che aveva fatto Riina quando diceva che lui non aveva cercato nessuno, ma erano loro che lo avevano cercato per trattare, cioè pezzi delle istituzioni. Ma alla fine la battaglia l’ha vinta lo Stato, perché loro sono dentro e noi siamo qua fuori a parlarne”.


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© Deb Photo


A supporto delle parole, intense ed emozionanti di Bonferraro, fine investigatore, si aggiunge la considerazione di Saverio Lodato che ha voluto “modificare” un concetto: “Diceva Bonferraro, Di Matteo è un inguaribile. Mi permetto, filologicamente di dire che è un irriducibile. Non siamo inguaribili perché non abbiamo nessuna malattia dalla quale guarire. Quelli che sono inguaribili sono molto spesso gli uomini che ci governano. E allora loro inguaribili e noi irriducibili, che è un’altra cosa”.

Essere irriducibili nella ricerca della verità e della giustizia, ma anche nell'assunzione della responsabilità. E' questo, forse, il cammino giusto.


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Riforme pericolose

Nel secondo giro di interventi, dedicato in particolare ai due autori del libro, si è parlato soprattutto di riforma della giustizia e dei pericoli che si nascondono dietro ai progetti del ministro Nordio, che seguono in una linea di continuità quelli della riforma Cartabia.

Lodato ha ricordato il peso delle intercettazioni che il ministro della giustizia vorrebbe ridurre, o ancora la difficoltà, tutt'oggi, che si ha a parlare di mafia, anche negli organi di informazione (come potete vedere nel suo intervento, ndr).

Ma è il magistrato Nino Di Matteo ad aver messo in fila i disegni che una certa politica vorrebbe portare avanti nel breve periodo. 


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Dobbiamo avere una visione di insieme di quello che sta accadendo anche a livello di riforme già approvate e progetti di riforma in via di approvazione. Non le dobbiamo guardare una per una - ha affermato Di Matteo - Riforme costituzionali di cui vogliono portare avanti l'iter, separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici, abolizione o attenuazione del principio di obbligatorietà dell'azione penale, diversa composizione del CSM rispetto a quella prevista dall'attuale articolo 104 della Costituzione, riforme di tipo ordinario, abrogazione dell'abuso d'ufficio, ennesima riforma sulla prescrizione, ancora limitazione delle intercettazioni, ancora limitazione della possibilità dei magistrati di esternare, di partecipare al dibattito pubblico o di riferire anche in ordine a fatti, ovviamente non più coperti da segreto, se non dopo la sentenza passata in giudicato. Il divieto di pubblicare le intercettazioni non più coperte dal segreto quando riguardano terze persone. Il disegno è unico ed è un disegno che porta ad una giustizia a due velocità, è un disegno che mira alla protezione del potere, da una parte rispetto alla possibile incisività delle indagini giudiziarie e dall'altra parte rispetto all'altrettanto importante controllo politico e sociale che soltanto un'informazione completa, libera e garantita può garantire”.



Pensiero ai giovani

Nelle sue conclusioni Di Matteo ha anche voluto dedicare un pensiero ai giovani, senza i quali è difficile vedere una proiezione di futuro, ma che sono anche presente: “Tante volte noi adulti diciamo, secondo me a sproposito, che i giovani sono indifferenti, che sono rassegnati, che sono piegati soltanto ai loro interessi personali, che sono degli individualisti e quant'altro. Io credo che non sia così. Casomai hanno bisogno di punti di riferimento, hanno bisogno di credere che ci sono persone tra gli adulti che credono in quello che fanno. Per me i giovani hanno bisogno di sognare, per me i giovani in questo momento hanno il diritto e il dovere di ribellarsi ad un sistema che in qualche modo li emargina ed è un paradosso che noi diciamo la mafia si potrà sconfiggere attraverso i giovani, che questo Paese può aspirare a condizioni migliori attraverso i giovani e poi quando i giovani pacificamente scendono in piazza prendono le manganellate come le hanno prese a Pisa, a Firenze e come le hanno prese per noi che ci occupiamo di mafia, l'altra volta ne parlavamo proprio col commissario Bonferraro, come ne hanno prese il 23 maggio scorso, a Palermo, quando è stato impedito ad alcuni di loro di raggiungere l'albero Falcone perché c'era l'antimafia istituzionale a cui avrebbe dato fastidio che dei giovani che potevano avere anche delle idee diverse volessero semplicemente commemorare Giovanni Falcone e le vittime tutte della strage di Capaci”.


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E poi ancora: “Io credo che noi dobbiamo parlare, dobbiamo discutere, dobbiamo accettare il confronto, soprattutto con i giovani. Perché è soltanto da loro che noi possiamo auspicare quella rivoluzione culturale, perché di rivoluzione culturale si tratta, che potrà fer realizzare quello che era l'auspicio di Giovanni Falcone. La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio e avrà una fine. Noi da 160 anni non abbiamo visto la fine del fenomeno mafioso e se noi vogliamo cercare di vincere la guerra e non sporadicamente soltanto alcune battaglie dobbiamo puntare anche e soprattutto ad un cambiamento di mentalità, ad un cambiamento della politica, dobbiamo puntare a riavvicinare i giovani alla politica, i giovani all'assunzione delle loro responsabilità collettive”.

Foto © Paolo Bassani

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