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di Saverio Lodato
Vediamo le domande che vanno per la maggiore sul confronto Di Matteo-Bonafede.
Come mai Nino Di Matteo ha scelto proprio la televisione per andare ad attaccare il ministro di grazia e giustizia Alfonso Bonafede?
Come mai Di Matteo ha sentito solo ora la necessità di svelare il contenuto di un episodio che risale al 2018?
Come mai Di Matteo, dal momento che è consigliere del Csm, non sceglie la linea del riserbo e della compostezza istituzionale?
Come mai Di Matteo non si rende conto che la sua uscita rischia di avere contraccolpi gravissimi sull’attuale governo Conte?
E come mai, infine, Di Matteo non trova strano che sia il centro destra a usare le sue dichiarazioni come cavallo di battaglia antigovernativo?
La risposta, in poche parole, a interrogativi così grandi?
Semplicissima.
Lo scambio di disponibilità - fra il neo eletto (nel 2018) ministro di grazia e giustizia, Alfonso Bonafede, e l’allora Pubblico ministero Nino Di Matteo - fu uno “scambio” che non si concretizzò in nulla, dunque destinato a restare privato, uno dei tanti scarti della storia giudiziaria e anti mafiosa di questo Paese.
Se tutti i papabili a qualcosa, se tutti i candidati a posti di rilievo, se tutti i nomi in predicato, dovessero inondarci con le loro storie personali, e magari con le loro lagnanze, non la finiremmo più.
A suo tempo, Di Matteo non aveva, e non ebbe, elementi a riprova che l’improvviso dietro front di Bonafede - rispetto al ventilato incarico di direzione del Dap, che gli aveva prospettato e proposto - era l’effetto, o comunque aveva a che vedere, con la contemporanea protesta carceraria che in quei giorni manifestava la sua contrarietà al nome Di Matteo. E Di Matteo, per altro, non lo afferma neanche oggi.
Prova ne sia che Di Matteo non svelò nulla in quel momento; nulla all’atto della nomina, al suo posto, di Francesco Basentini; nulla nel momento delle dimissioni stesse del Basentini; nulla alla vigilia della nomina dei suoi successori.
Ma succede qualcosa.
Succede che Basentini - e non farebbero male a ricordarlo quei giornalisti e uomini politici che hanno l’aria dei broccoloni che non hanno capito, ma che sono gli stessi che oggi sparano a zero su Di Matteo - si dimette perché al centro di uno scandalo.
Un brutto scandalo. Uno scandalo carcerario. Uno scandalo di mafia. Uno scandalo di camorra. E si potrebbe continuare.
La notizia viene enormemente amplificata da Non è L’arena. E qui va aperta una parentesi. Già nella puntata precedente della stessa trasmissione, il conduttore Massimo Giletti aveva sparato ad alzo zero - televisivamente, si capisce - contro quelle inaudite scarcerazioni.
E certi broccoloni della carta stampata, gli stessi ai quali facevamo riferimento prima, per una buona settimana, fra una puntata e l’altra di Non è L’arena - visto che non c’era il boccone ghiotto di nome Di Matteo - avevano dormito sonni beati. Chiusa la parentesi.
Concorderete con noi.
E’ scandaloso che 40 fra mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti, condannati a pene pesantissime, per reati gravissimi, vengono liberati e rimandati a casa, con tante scuse, approfittando della scusa del Coronavirus.
Ed è altrettanto scandaloso che nessuno dei giornalisti che oggi si scandalizzano per Di Matteo (i broccoloni), non si siano scandalizzati loro, per primi, e abbiano chiesto loro, per primi, al ministro di grazia e giustizia, se per caso lui ne sapesse qualcosa?
Preferirono bersi, zitti zitti, la storiella che il povero Basentini, la frittata l’aveva fatta da solo.
Il che potrebbe anche esser vero, ma non per questo giganteggerebbe il Bonafede. O no?
Spiace dirlo, ma molti dei giornalisti che oggi dispensano lai e motteggi contro Di Matteo, non hanno la coscienza professionale, su questo argomento, proprio limpida e proprio a posto.
Ma torniamo a Di Matteo.
Il quale - da magistrato che ha speso la sua intera esistenza professionale nel contrasto alla criminalità mafiosa - aveva il sacrosanto dovere di raccontare l’episodio 2018.
Ci mancherebbe altro che si fosse lasciato frenare da ragioni di “opportunità politica”.
E, già che ci siamo, quanto ne fecero passare al povero Giovanni Falcone al quale tutti, per parte loro, cercavano di affibbiare un’etichetta.
A che servono le forze dell’ordine, i rappresentanti delle istituzioni, gli uomini della Legge? A tenere sotto chiave le verità scomode? Suvvia. Non bisogna esagerare.
Ripetiamo: perché Di Matteo aveva il sacrosanto dovere di parlare?
Perché quell’episodio smette di essere un fatto “privato”. E smette di esserlo nell’esatto momento in cui, due anni dopo, la persona scelta da Bonafede per quell’incarico, è costretta a presentare dimissioni dopo che le “stalle” si sono ormai svuotate. Dopo che i 40 mafiosi e similari sono tornati ai loro orticelli.
Se Basentini si fosse dimesso per qualsiasi altro motivo, Di Matteo avrebbe avuto il dovere di continuare a tenere la bocca chiusa. Ma visto come stanno le cose, la sua sarebbe stata semplicissima omertà. Che è cosa diversa dalla riservatezza e dalla discrezione.
Ma c’è di più.
Come non ricordare la rivolta contemporanea nelle carceri di mezza Italia, con 14 morti e 20 evasioni, e che dopo tre quattro giorni si spegne come per incanto?
Il ministro Bonafede ha fatto sapere che su tutti questi precedenti sta indagando opportunamente. Bene. Ottimo programma. Conosceremo a tempo debito le sue conclusioni. E ci spiegherà anche se per caso esiste un nesso fra rivolta e scarcerazioni.
Ma ancora non capiamo perché certi giornalisti, anche specializzati in vicende di mafia, non riescano a cogliere che potrebbe - va bene l’uso del condizionale? - esistere un fil rouge fra la rivolta carceraria, la libertà per i 40, e le dimissioni del capo Dap.
Certo. Scavare giornalisticamente pare sia diventato faticoso e scomodo. Meglio sommergere Di Matteo con una valanga di domande che con il caso di cui ci stiamo occupando non c’entrano nulla.
Perché Di Matteo è andato in tv? E che doveva fare? Scrivere una e-mail? E a chi?
Siate seri. L’argomento lo è.
Doveva chiedersi che effetto avrebbero avuto le sue parole sulla tenuta di questo governo? O sfogliare la margherita, con petali di destra o di sinistra?
Curioso magistrato sarebbe quel magistrato che centellinasse le sue verità scomode per fare un favore a questo o a quello, a questo o quel governo amico.
Curioso ministro della giustizia quello che dovesse aspettarsi trattamenti amicali o di favore.

???? Foto originale © Imagoeconomica

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???? La rubrica di Saverio Lodato


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