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di Saverio Lodato
Solo per dire che licenziare un direttore, alla vigilia del 25 aprile, quando proprio quel direttore è stato ripetutamente minacciato di morte dalla teppaglia fascista che ammorba la rete, è azione di vigliaccheria. Vigliaccheria bella e buona, segno di una totale incomprensione di quanto, almeno, dovrebbero imporre i buoni sentimenti. Ma i tempi sono quelli che sono.
La storia dei giornali è storia di direttori che vanno e vengono. Di direttori comprati e venduti, promossi o licenziati. Grandi direttori e piccoli direttori, questo va da sé.
Chi scrive, ad esempio, nella vecchia Unità, ebbe modo di lavorare, in Sicilia, “sotto” quattordici direttori, ma questo sarebbe argomento di un romanzo a parte (anche con qualche punta di horror). Il che, poi, non significa che, se i direttori vanno e vengono, le testate siano immortali; e a suo modo L’Unità, che pure venne fondata da un signore di nome Antonio Gramsci, non riuscì a essere immortale.
Di sicuro, però, “i giornali non sono scarpe” - o quantomeno non dovrebbero esserlo -, per dirla con il bel titolo di un libro che tanni anni fa raccolse le migliori corrispondenze di un principe dei cronisti italiani del dopo guerra, quel Tommaso Besozzi, morto suicida, che per primo mise in dubbio la ricostruzione di Stato della morte del bandito Salvatore Giuliano.
Sembrano invece trattati come ciabatte, scarpe vecchie passate di moda, a leggere quanto sta accadendo a Repubblica in queste ore.
Veniamo al fatto.
Una nuova proprietà (ElkanAgnelli) dà il benservito a Carlo Verdelli, il direttore che appena quattordici mesi fa era subentrato a Mario Calabresi, e che stava faticosamente tentando di ripescare il giornale dal vortice delle copie perdute, che da anni ormai non risparmia più alcun giornale, di destra, di sinistra, governativo o da salotto che sia. Le ragioni di questo vortice sono tantissime, complesse e, ormai, quasi annose. Anche noi abbiamo qualche idea in proposito, soprattutto per quanto riguarda Repubblica.
E ne scrivemmo qui, proprio in occasione della nomina di Verdelli al posto di Calabresi. Ma non solo.
Ma adesso, tornando al fatto, tutto questo c’entra assai poco.
Non conosciamo Verdelli, né lo abbiamo mai incrociato. Vanta un ottimo curriculum. E da quel che abbiamo capito, era stimato e ben voluto dalla sua redazione. Alla quale aveva impresso uno sprone che, se avesse avuto tempo e modo di consolidarsi, avrebbe migliorato di molto le cose. E che il giornale stesse cambiando, lo capivano i suoi stessi lettori. Può essere utile, a tale proposito, ricordare che le Direzioni di Eugenio Scalfari e Ezio Mauro durarono, all’incirca, una ventina d’anni ciascuna. Come dire: due “ventenni”, uno di fila all’altro.
Il tempo di Verdelli è scaduto dopo appena quattordici mesi. Come mai?
Ne discendono alcune domande.
La proprietà, che lo preferì a Calabresi - che, nel suo piccolo, restò al comando per oltre quattro anni -, cosa si aspettava?
Che facesse il tagliatore di teste, un blitz in quattro e quattr’otto per ridimensionare pesantemente gli organici che negli anni sono diventati elefantiaci?
Non è dato saperlo, anche perché la nuova proprietà non ha ritenuto di spendere una sola parola sull’argomento.
Torniamo al fatto, allora.
E leggiamo - come abbiamo letto - le parole dense di amarezza di chi (Verdelli), accomiatandosi per sempre dai suoi lettori, e dai suoi compagni di lavoro, non si toglie, assai signorilmente, neanche un sassolino dalla scarpa (e qui la parola “scarpa” cade davvero in taglio). E, alludendo a se stesso, si limita a dire: “Partigiani si nasce”.
Il fatto, dicevamo.
Un fatto in cui - come non pensarlo? - c’è qualcosa di sinistro, alla vigilia dell’anniversario di una guerra partigiana, quando un direttore minacciato di morte, dai nipotini dei fascisti, viene rimosso dalla direzione di un giornale al quale ogni critica è consentita. Tranne quella di non essere stato sempre - e coerentemente - un baluardo della migliore Italia democratica. Ci auguriamo solo che Verdelli si sia sbagliato.
Sarebbero davvero tempi bui, ancora più bui di quelli che già sono, se la nuova proprietà di Repubblica avesse inteso liberarsi di un Direttore “nato partigiano”.

???? Foto © Imagoeconomica

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???? La rubrica di Saverio Lodato

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