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di Saverio Lodato
Già non se ne parlava prima, figuriamoci adesso.
È la semplice constatazione, scevra da intenti polemici, priva di angosce complottiste, meno che mai di intenti persecutori, del fatto che Matteo Messina Denaro, invisibile era, invisibile resta.
Il gran capo di Cosa Nostra, l’uomo intelligence che conosce a menadito cause, fatti, nomi di esecutori e mandanti delle stragi del '92-'93, l’uomo che da 27 anni non si trova, avrà anche lui i suoi bei grattacapi con il Coronavirus.
Cerchiamo di lavorare di fantasia, anche perché, di tempo a disposizione ormai tutti ne abbiamo parecchio.
A rigore di logica, in questi giorni, Matteo Messina Denaro dovrebbe avere qualche difficoltà, a redigere l’autodichiarazione predisposta dal Viminale per tutti i comuni mortali.
Non può scrivere come si chiama. Non può scrivere dove abita. Non può rivelare da dove è iniziato il suo spostamento, né dove è diretto.
Si muove per “Comprovate esigenze lavorative”?
Quali? Per svolgere il lavoro dello stragista? Suvvia.
Verissimo certo, ma imbarazzante.
Per “assoluta urgenza”?
Anche tutti i suoi ipotetici bersagli umani, mafiosi e no, se ne stanno rinchiusi nelle loro tane, magari circondate da giardini, godendosi questi felici giorni di latitanza in qualche modo autorizzata, persino per loro, dallo Stato.
Per motivi di salute?
Punto e accapo: per richiedere un tampone alla USL, sicuro che la sua richiesta fosse esaudita, dovrebbe dichiarare di chiamarsi Matteo Messina Denaro, di essere il capo di Cosa Nostra, e di essere da oltre un quarto di secolo, al servizio sia della Mafia, sia dello Stato. Né può approfittare, vedi nuova circolare ministeriale, di fare il giro del palazzo in compagnia di un figlio minorenne del quale mai nessuno ha sentito parlare.
Stando così le cose, non può inviare i proverbiali “pizzini” a chicchessia, non può far conoscere le cifre del pizzo da imporre a commercianti e imprenditori che ritiene giuste in un momento come questo - di lui, in proposito, si dice sia stato sempre benevolo e accomodante, a differenza di quell’ingordo di Totò Riina - non può dirimere controversie, presentandosi di persona.
Immaginiamo, allora, che si annoi moltissimo anche lui.
Non potersi muovere dall’ultima tana che si era prescelto alla vigilia dell’emergenza Coronavirus, non potere andare al ristorante, o a qualche "schiticchiata" (si chiamano così, da queste parti, i banchetti all’aperto) con boss e picciotti che gli sono fedeli, non potersi, insomma, muovere come “L’uomo della folla” di un mirabile racconto di Allan Poe, qualche fastidio glielo sta procurando.
Come trascorrerà il suo tempo libero?
Non sono pochi i suoi fans che lo descrivono come uomo di buone attitudini intellettuali e di fine concetto. Ragion per cui, se la nostra visione è esatta, non ammazzerà le giornate leggendo e rileggendo i libri di mafia che sono zeppi di cazzate, soprattutto agli occhi di uno che quella materia la conosce davvero, l’ha vissuta, l’ha scritta in prima persona.
Al vecchio Capo Cupola, Michele Greco, piacevano i “Vangeli”; a Pietro Aglieri, il boss religiosissimo e cresciuto in compagnia di sacerdoti, “La Vita dei Santi”; Marcello Dell’Utri, che solo per affinità bibliografiche accludiamo a quest’elenco di nomi un po’ scabrosi, era particolarmente colpito da Seneca, e, più in generale, dal filone letterario della “cicuta”, che spesso gli onesti, da Socrate in poi, sono stati costretti a trangugiare.
E lui? Matteo Messina Denaro?
Ci sbaglieremmo. Ma non ce lo vediamo a meditare Sant’Agostino o Pico della Mirandola. Credente sì, ma praticante è altro conto.
Semmai lo immaginiamo gran divoratore di intere stagioni di fiction, a base di spionaggio, terrorismo, guerre passate, recenti e future. Anche batteriologiche? E perché no?
Persino esperto conoscitore di armi micidiali e di sterminio di massa; ma solo per hobby, ci mancherebbe.
Magari, se ha voglia di svagarsi, vedrà finti duelli televisivi di finti conduttori di finte trasmissioni di approfondimento tirate su per far salire gli ascolti.
Si metterà al balcone, con tanto di tricolore, a cantare: “Sono un italiano vero”? Non lo escluderemmo.
Di sicuro - però - anche lui si annoia moltissimo.
Poi, il gioco della fantasia ci fa un brutto scherzo.
Chi siamo noi per ritenere che un UOMO DI SIFFATTA POTENZA CRIMINALE sia costretto alle condizioni di noi comuni mortali?
Proviamo invece a immaginarlo, con tanto di mascherina regolamentare, mentre è in coda al supermercato.
Proviamo a immaginarlo mentre, a scadenze fisse, si sottopone a controlli di salute nello studio di qualche medico compiacente.
Immaginiamolo che vada in qualche edicola, dai suoi giornalai di fiducia, a prelevare la mazzetta dei quotidiani.
E, alla fin fine, un po’ di jogging non si nega a nessuno, neanche a uno come lui.
Un Capo è un Capo.
Al crimine non si comanda.
E diciamolo pure: che fine farebbe il Pil se venisse bloccata, per legge, anche la “filiera di mafia”, con tutto il lavoro che dà in Italia?
Vorremmo sbagliarci, ma il Coronavirus difficilmente riuscirà a debellare Cosa Nostra.
Ecco perché ci vien da concludere: occhio ai colpi di tosse e alle linee di febbre, “Don” Matteo. A maggior ragione, quando saremo tornati alla normalità, i picciotti avranno bisogno di lei.

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???? La rubrica di Saverio Lodato

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