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cosa nostra spadi Saverio Lodato
Ci fu un’epoca in cui la mafia sparava, eppure se ne negava - spasmodicamente - l’esistenza.
Che i delitti fossero anche grappoli di delitti, a centinaia, non lasciava demordere i negazionisti, che la mafia non volevano vederla, definirla, chiamarla con il suo nome. E per farlo, se la cavavano con ciò che potremmo sintetizzare con una battuta presa in prestito dai tempi moderni: un delitto vale uno; le somme aritmetiche non danno un fenomeno criminale, meno che mai un’organizzazione secolare e segreta (in Italia c’è da oltre un secolo e mezzo); non tocca alla magistratura - l’argomento, come si vede, ha radici antichissime - essere contro, reprimere, soffocare.
Ormai, nelle biblioteche, sulla mafia che sparava e che sparò, si trovano migliaia di titoli. Quei libri, non tutti allo stesso modo, hanno contribuito enormemente a ridurre per sempre al silenzio i negazionisti di allora. Diffondendo, in settori larghi della popolazione, moti istintivi di ripulsa. Ciò non toglie, però, che i negazionisti, cacciati dalla porta, sono rientrati dalla finestra. Dicendoci - e siamo ai giorni nostri - che, non essendoci più quella mafia che sparava, la mafia non c’è più, essendo stata sconfitta da quella magistratura e da quelle forze di polizia alle quali, per decenni, proprio loro negavano la titolarità per poter perseguire lo scopo.
Ed ecco un libro contro tendenza, un ponderoso J’accuse, che parla apertamente di Stato-Mafia, Mafia-Stato e perenni trattative (leggete qui l’articolata recensione di Giorgio Bongiovanni).
Ci riferiamo a questo nuovo libro del giudice Sebastiano Ardita - trent’anni di prima linea fra Catania, Messina, Roma; P. M., Direttore dell’Ufficio detenuti, oggi componente del CSM - dal titolo che non intende tranquillizzare nessuno: “Cosa Nostra S.p.A”.
Eppure siamo in presenza di un libro che, pur trattando di mafia, la mafia la lascia intravedere in sottofondo. E che va ad iscriversi - e vedremo perché - in un nuovo genere, quello dei libri che ci raccontano come, proprio non sparando, la mafia sia diventata la quintessenza di un potere che da anni blocca, paralizzandola, un’intera città. E’ di Catania che stiamo parlando, ed è di Catania che parla Ardita nel suo nuovo libro.
Catania ha goduto, più del necessario, del cono d’ombra delle indagini, mentre i riflettori erano puntati sulla città di Palermo, segnata, quaranta anni fa, dalla spettacolare ferocia corleonese, e, perciò, assai più appetibile per i media.
Sono pagine nere di una storia che sembra essersi scolorita: l’uccisione del giornalista scrittore Giuseppe Fava; i grandi appalti per le opere pubbliche e i cavalieri catanesi del lavoro, Costanzo, Rendo, Graci e Finocchiaro; i rapporti stretti fra le cosche di Totò Riina e quelle etnee di Nitto Santapaola; la strage della circonvallazione di Palermo, come favore dei “palermitani” ai “catanesi” per assassinare il boss Alfio Ferlito; il sacrificio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa; quello del poliziotto “catanese” Beppe Montana; i Palazzi d’Orleans e dei Normanni, dove tutto si annidava, il malaffare, i pupari e le marionette. E oggi?
Ardita, che è magistrato eccellenza sul fronte antimafia, riparte da lì. Tira il filo, con folgoranti flash, per arrivare a oggi. E il lettore, sia detto per inciso, in queste pagine troverà anche i tormenti e la passione civile di un uomo, non solo del magistrato.
Ardita ci spiega, con puntiglio analitico, non solo la mappa delle cosche e dei loro interessi nella città etnea, ma soprattutto il modo in cui quella mafia riuscì a sperimentare un modello vincente: permeare della sua presenza tutte le componenti sociali e politiche che - teoricamente - avrebbero avuto la possibilità - e il dovere - di opporsi allo strapotere mafioso.
Ricorrono poi nomi assai moderni: Raffaele Lombardo, ex presidente della Regione siciliana, Mario Ciancio Sanfilippo, l’editore proprietario di giornali e televisioni private, con interessi nelle grandi aree commerciali, sino a un enigmatico Calogero Montante, che a qualcuno doveva pur rispondere (o no?). Tutti nomi che si tirano dietro, ancora oggi, processi aperti e in via di definizione. Ma Ardita osserva, descrive, non pronuncia invettive. Il che risulta più che sufficiente.
Scrive Ardita: “Uno dei motivi per cui la mafia sta diventando invisibile e invincibile sta nel fatto che se ne riconosce solo la sua dimensione giuridica, che corrisponde in gran parte alla sua visione militare. Si combatte solo se è visibile e se ha i requisiti dell’articolo 416 - bis del codice penale. Il modello catanese che prevede un patto tra poteri civili e criminali ha reso ancora più invisibili gli affari di Cosa Nostra. Nessuno ha mai provato a fare un’indagine 'chimica' per capire di cosa è composto l’ambiente naturale in cui opera”.
Ecco. Il libro è il risultato di questa analisi chimica del perché una città, che negli anni '80 si fregiava del pomposo titolo di “Milano del Sud”, oggi sia irrimediabilmente sprofondata.
C’è una cartina di tornasole nel ragionamento del magistrato: la repressione ha ancora una sua qualche efficacia nei confronti delle tradizionali cosche militari. E’ assolutamente spuntata, invece, per quanto riguarda i poteri alti, i colletti bianchi, le forze economiche e politiche che potremmo definire para mafiose. Ardita si sofferma a lungo sul reato di concorso esterno, argomentando che non a caso, temutissimo dai colletti bianchi, sia rimasto, giuridicamente parlando, un guscio vuoto. Semplifica: “Senza alleati che contano per Cosa Nostra sarebbe già finita. Dalla latitanza del suo esponente di spicco Matteo Messina Denaro, alla conservazione del suo cospicuo patrimonio. E non è più credibile che chi le garantisce appoggio lo faccia perché teme di essere ammazzato. Perché questa mafia può permettersi sempre meno le azioni di violenza visibili. Più essa si nasconde più crescono i concorrenti esterni, che sono diventati tantissimi. Ma davvero pochi di essi vengono puniti... Il concorso esterno è contrastato oggi in maniera ridotta e insufficiente”. E invitiamo, infine, alla lettura dell’illuminante capitolo: “Antimafia da ghetto a lobby”.
Dicevamo all’inizio che il libro va a iscriversi in un nuovo genere: quei testi che ribattono, punto per punto, ai negazionisti, di ieri e di oggi.
Ma quale mafia sconfitta, esclama Ardita in queste pagine.

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???? La rubrica di Saverio Lodato

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