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di Saverio Lodato
Non è vero che Cosa Nostra siciliana diede una mano agli americani durante e dopo lo sbarco in Sicilia. Non è vero che alla guida dei comuni, dopo la caduta del fascismo, vennero insediati boss e mamma santissima.
Non è vero che la strage di Portella della Ginestra vide il coinvolgimento di apparati deviati dello Stato. Non è vero che per oltre settant’anni Mafia è Stato dialogarono, trattarono, si scambiarono favori.
Non è vero che lo facciano ancora oggi. Furono i mafiosi, da soli, a mettere a segno prima il massacro di Capaci, poi, cinquantasette giorni dopo, quello di via d’Amelio. E vale anche per le stragi di Roma, Milano e Firenze. L’agenda rossa di Paolo Borsellino non è mai esistita. Il diario di Giovanni Falcone non è mai esistito. La cassaforte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa non venne mai svuotata. Fu giusto non perquisire il covo di Totò Riina. Non c’era assolutamente nulla di scandaloso in latitanze mafiose che duravano per interi decenni.
Negare l’evidenza, rifiutare persino fatti accertati, prove inconfutabili, il significato di sentenze ormai definitive, è una disciplina che quando la si intraprende la si può declinare all’infinito. Basta rifugiarsi in un laconico: “non ci credo”.
A pensar male, lo scopo, non dichiarato, potrebbe essere quello di rallentare il più possibile, ove possibile, l’accertamento della verità. Vai a sapere. E magari, per farlo, si scelgono maniere rudi, come quella di aggredire sul piano personale quei magistrati che a questa disciplina del negazionismo si oppongono intensificando le indagini. Ma non solo i magistrati. Anche quei giornalisti che rompono il coro, usando gli strumenti del mestiere televisivo per cercare invece di capire quanto è accaduto in Italia dalla fine della guerra a oggi.
Ma noi, più benevolmente, pensiamo solo che i negazionisti siano un po’ duretti di comprendonio. Tutto qui.
Qualche giorno fa, su La7, è andata in onda una puntata di Atlantide dedicata alla strage di via d’Amelio. Argomento da far tremare le vene dei polsi.
E analoga trasmissione a maggio, in quel caso sulla strage di Capaci, era già costata al pubblico ministero Antonino Di Matteo (diventato adesso, grazie al voto di oltre mille magistrati, consigliere del Csm) l’espulsione dalla commissione stragi della Super Procura.
La materia anche trent’anni dopo è ribollente e continua a ribollire.
Anche questa volta Andrea Purgatori, con microfono e taccuino, si è addentrato nella giungla nera di una delle stragi più segrete, più che misteriose, della vita repubblicana.
E lo ha fatto - come è sua abitudine - dando la parola a magistrati, funzionari di polizia, semplici agenti, giornalisti che furono testimoni dei fatti, parenti delle vittime, in questo caso Salvatore e Fiammetta Borsellino. Ognuno ha potuto dire la sua. E nessuno degli intervistati - a quel che se ne sa - si è lamentato di qualcosa.
Ma, nei giorni successivi alla messa in onda, si è levato un coretto degli scontenti: un avvocato e un esponente politico.
Dicono di intendersi della materia e fanno intendere di saperla lunga. Lamentano che lo scenario d’insieme proposto da Purgatori sia stato fazioso e tendenzioso. Pessimo servizio reso alla causa dell’informazione.
Chissà di quali argomenti sono a conoscenza e che non hanno visto rispecchiati nella trasmissione.
A noi, per quel poco che sappiamo di Mafia, Stato, e Carabinieri che uscirono dalla retta via, la puntata di Atlantide è parsa ottima e abbondante. Certo.
Quando elenchi fatti e prove, è quasi fatale: i negazionisti di professione, da trasmissioni come queste, ne escono con le ossa rotte. Però è giusto che dicano la loro, e facciano il coretto. Voltaire docet.

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???? La rubrica di Saverio Lodato

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