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di Saverio Lodato
A parlare di Matteo Messina Denaro, gran capo dei capi di Cosa Nostra - almeno così dicono -, e della sua latitanza stratosferica, 27 anni dall’indomani della strage di Capaci, sono rimasti in due: il senatore Nicola Morra, presidente della commissione nazionale antimafia, e Nino Di Matteo.
Tutti gli altri tacciono, digeriscono, dormono, da tempo si girano dall’altra parte, avendo fatto, di questo argomento, Patto di Scambio fra loro, poiché, - in tutta evidenza- è meglio per tutti lasciare riposare in pace il Convitato di Pietra della politica italiana. Non stuzzicarlo; perché, se lo si infastidisce, potrebbe mordere o tirare qualche calcione. Pare infatti che sia molto preparato sui rapporti Stato-Mafia. Argomento notoriamente piccante.
Ecco perché stupisce, a leggere le cronache di questi giorni, che proprio mentre stiamo assistendo a un'accelerazione delle indagini sul triangolo Siri-Arata-Nicastri, il terzetto che ha finito con inguaiare la Lega di oggi, quella di Matteo Salvini, il nome del padrino di Castelvetrano sia scomparso, come per incanto, dai resoconti della grande stampa.
Il terzetto basta e avanza, pensano in molti. Se ci mettiamo anche il carico da novanta dello Stragista mafioso dove andiamo a finire?
Strano, però.
Quando tutto cominciò, alcuni mesi fa, con l’affare Siri (il sottosegretario che poi fu costretto a dimettersi), si leggeva dappertutto che l'ombra di Messina Denaro faceva capolino attraverso la figura del Nicastri, socio occulto dell’Arata nel business eolico.
Ora pare che Nicastri stia finalmente collaborando con gli investigatori.
A noi fa piacere. Forse infastidirà i soliti noti scriba, addentro a cose di mafia, che fra qualche giorno - c’è da giurarci- ci infliggeranno la consueta lezioncina sul “pentito” (Nicastri) che “non si doveva pentire”. Ma ciò è secondario.
Intanto, scomparso l’uomo, è scomparso persino il suo nome.
Ecco perché, assai meritoriamente, Nicola Morra, ha rotto il silenzio. Con questa frase semplice semplice: Matteo Messina Denaro gode in Sicilia della complicità di una loggia massonica”.
Niente punti interrogativi, niente condizionali, nessun riferimento a stucchevoli omissis. Morra ne è convinto e consapevole. E lo dice in pubblico. Dove?
A Castelvetrano, in provincia di Trapani, dove tutto è cominciato. Un paese, va detto, dove ormai solo i bambini non devono fare i conti con il sospetto di favorire il Gran Regista delle stragi 92-93, a voler considerare le centinaia e centinaia di persone finite sotto inchiesta.
E verrebbe da aggiungere: caro Salvini, hai capito dove se ne è andato Morra? A Castelvetrano, nella tana del lupo. il patto sporco integraleMica come te, che il 25 aprile, per fare il dispettuccio ai partigiani, te ne sei andato a Corleone.
A Corleone ormai sono morti tutti: da Liggio a Riina a Provenzano. È un gran bel cimitero di mafia, di mafia che fu.
Oggi chi vuole far sul serio, va a Castelvetrano.
E torniamo alla seria, assai seria, dichiarazione del Morra.
La massoneria che protegge Matteo Messina Denaro.
Di Matteo, su questo argomento, si è soffermato in parecchie pagine del nostro libro intervista “Il Patto Sporco” (da p.25 a p.43: leggere per credere), bellamente ignorate da chi è troppo addentro alle cose di mafia.
Poi, Di Matteo, come non bastasse, ha ribadito il concetto nella puntata di Atlantide, su La7, a domanda di Andrea Purgatori.
Apriti cielo: lo hanno espulso dalla commissione stragi della Superprocura.
Adesso che succederà?
Qualcuno tenterà altrettanto con Morra?
Noi siamo sicuri che a Morra una mano inaspettata verrà proprio da Salvini, che dopo la trasferta a Corleone, vorrà correre ai ripari.
E magari anche dal presidente della commissione antimafia in Sicilia, Claudio Fava.
Se infatti Morra parla di massoneria siciliana e delle sue logge, la commissione di Palazzo dei Normanni dovrà pur saperne qualcosa.
O no?

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La rubrica di Saverio Lodato

Foto © Imagoeconomica