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di Saverio Lodato
Era ora. E nulla, c’è da giurarci, sarà più come prima. C’è chi non ci sta al Gioco Sporco. Chi non ne ha mai fatto parte e, forse, anche chi se ne tira fuori. E lo dice apertamente, dopo averci pensato a lungo, verrebbe da dire, visto il tempo che è trascorso. Ma ciò che conta è il risultato. Un gran bel risultato.
E saranno in tanti a doverne prendere atto.
Si è rotta la diga del silenzio e della complicità, della paura e dell’ipocrisia, dell’invidia professionale e del minimalismo peloso, della falsificazione di atti processuali e parole scritte o pronunciate.
Per la prima volta dunque, dopo anni e anni di spettrale isolamento in seno alla sua stessa categoria, quella dei magistrati, Nino Di Matteo non è più solo. E riceve parole di conforto e di solidarietà, di incitamento e di condivisione. Come queste, quando ribadiscono: “la stima e l’ammirazione che riponiamo nei confronti del collega, per lo spirito di abnegazione, i sacrifici personali e familiari, l’elevato senso delle istituzioni, l’eccelso grado di professionalità e l’equilibrio, che lo hanno contraddistinto in tutta la sua carriera, e che ne fanno uno dei magistrati più in grado di trattare la materia in questione…
Finalmente.
120 suoi colleghi - no: sono solo 118, preciseranno i soliti scriba che hanno le mani in pasta con la mafia e i suo annessi e connessi - , quotidianamente al lavoro, un lavoro silenzioso e rispettoso delle istituzioni, in ogni parte d’Italia, hanno preso carta e penna per dire che non capiscono, non condividono, si oppongono al Gioco Sporco. E lo rifiutano senza se e senza ma.
Per dire che hanno sbagliato i loro conti tutti quelli che interpretavano il loro silenzio come un silenzio- assenso rispetto a quell’autentica operazione di macelleria giudiziaria e mediatica sapientemente costruita attorno alla figura di un magistrato che non chiese altro, non chiedeva altro, non chiede altro, che si faccia chiarezza all’interno e attorno a una delle stagioni più cupe e nefaste della recente storia d’Italia, quella delle stragi fra il 1992 e il 1994.
E a che non rimangano dubbi, i 118 si rivolgono esplicitamente al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che presiede il CSM, al suo vice, Davide Ermini, a tutti i membri del consiglio.
Loro si, che possono farlo.
Che potevano farlo, e lo hanno fatto. Interpretando, ma questa è solo nostra opinione, quell’analogo rifiuto del Gioco Sporco altrettanto espresso, in queste settimane, da oltre settantamila italiani che hanno aderito alla petizione lanciata qui – su questo stesso giornale definito dagli scriba con le mani in pasta con la mafia e i suoi annessi e connessi “il giornale della confraternita talebana” - ma rivolta, in quel caso, “a tutte le istituzioni”. I cittadini infatti non sono “colleghi” del Capo dello Stato.
I 118 pronunciano parole accorate, quando esprimono “forte turbamento” per la notizia dell’estromissione di Nino Di Matteo dalla commissione stragi della Procura nazionale antimafia, decisa dal procuratore Federico Cafiero de Raho. A seguito - come si ricorderà - della partecipazione del magistrato a una puntata di "Atlantide" su La 7, in cui aveva risposto alle domande del giornalista Andrea Purgatori, in occasione del ventisettesimo anniversario della strage di Capaci.
I 118 pronunciano parole che attengono al loro esclusivo bagaglio professionale - di magistrati, cioè, che lo sono esattamente come il magistrato Di Matteo - quando osservano che quella partecipazione a "Atlantide" ci fu “senza avere rivelato alcun segreto o notizia riservata”.
E aggiungono anche: “temiamo che la sua estromissione possa delegittimarlo agli occhi della criminalità e del potere mafioso, acuendo ulteriormente i già elevatissimi rischi per la sua incolumità”.
I 118 dimostrano di esser bene informati, a differenza di altri che hanno sempre fatto acqua in bocca, che su Di Matteo pende una minaccia di morte poderosa. E non da ora.
I 118, quindi, non firmano per mettersi in pace la coscienza.
Non firmano per salvarsi l’anima loro.
I 118 firmano con la determinazione di chi vuole agire perché sconcertato dal polverone, dall’inguacchio mediatico, dal calcolo subdolo di tutti coloro i quali, appassionatamente, avevano lasciato intendere che Di Matteo avesse rivelato “Segreti Investigativi”, così tradendo quell’obbligo di riservatezza cui le “Toghe” sono tenute per legge.
E sia chiaro, e sia detto per inciso, non toccava ai 118 l’onere di questa affermazione.
Toccava, semmai, a molti giornali e molte televisioni, ben conoscitori di quanto è segreto e di quanto non lo è sull’argomento stragi, dire, sin dal primo momento, che quel provvedimento di espulsione del Di Matteo dalla commissione, era immotivato e strampalato.
Toccava dirlo anche, sia detto in maniera altrettanto chiara, a qualche familiare delle vittime di mafia che molto meglio avrebbe potuto adoperare la sua condizione di “portavoce” della materia, osannato e idolatrato da molti media, a condizione, però, che dica parole in sintonia con la Grande Narrazione che in questi anni era sembrata prevalere: che nelle stragi non ci furono “Mandanti”; non ci furono all’opera - accanto, dietro, davanti Cosa Nostra - quelle “menti raffinatissime” delle quali parlò Giovanni Falcone trenta anni orsono.
Pazienza. Occasioni perdute per le quali qualcuno avrà motivo di rammaricarsi.
Poco importa.
Qualcuno queste cose doveva dirle. Lo hanno fatto i 118.
I quali, a chiusura del ragionamento, chiedono al Capo dello Stato e al suo vice che “si possa favorire una composizione costruttiva della vicenda affinché il dottor Di Matteo venga al più presto reinserito nel pool sulle stragi a cui era stato destinato”. Proprio, e assai opportunamente - e questo ci permettiamo di aggiungerlo noi - , dallo stesso procuratore de Raho.
Non occorre sprecare altre parole per dire che nulla sarà più come prima.
Sappiamo che al nostro Capo dello Stato non piacciono - e i suoi portavoce spesso lo hanno sottolineato- esser tirato per la giacca, da questo o da quello, nel tentativo di millantare crediti mai ricevuti e mai concessi. E che una simile verità lapalissiana necessiti di tante occasioni per essere ribadita offre solo una disarmante misura dei tempi.
Eravamo rimasti sbigottiti - e non da soli - di fronte alla danza sull’orlo del baratro, squadernata di fronte a milioni di italiani, con la rivelazione dello Scandalo Csm. E ne avevamo scritto qui.
Lentamente, ma “fermo pede”, sembra che questa magistratura abbia deciso di ricorrere a tutti i suoi anticorpi per voltare decisamente pagina, come per altro ribadito nel suo recente monito dallo stesso Capo dello Stato.
“Magistrati per bene insorgete!” avevamo scritto qui forse, secondo qualcuno, ingenuamente, alle prime avvisaglie dello scandalo.
Ma di una cosa siamo sicuri: se al posto dell’attuale Capo dello Stato ce ne fosse stato un altro - e a buon intenditor di solito bastano poche parole -, i 118 magistrati le parole che hanno potuto scrivere, in solidarietà con Nino Di Matteo, le avrebbero dovute inghiottire.
Tutto bene quel che finisce bene.

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La rubrica di Saverio Lodato

Foto © Paolo Bassani

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