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di Saverio Lodato
Di fronte a quanto stiamo assistendo, si può ben dire - senza blasfemia istituzionale - che mettere in relazione l’attuale Csm e la lotta alla mafia equivale, né più né meno, a mettere insieme il diavolo e l’acqua santa.
Altro che indipendenza dell’organo di autogoverno dei giudici.
Altro che separazione dei poteri e equilibrio fra di loro.
Hanno fatto di Montesquieu e delle sue teorie, carne di porco.
Lo spettacolo parla da solo.
Le cene e i politici, gli indagati che decidono le nomine dei giudici, i giudici che fanno un pensierino per indagare i loro colleghi concorrenti, i pensionati che puntano a indicare gli eredi graditi e di fiducia, gli altri, che non ci stanno, che si riuniscono e fanno comarca, e molti giornalisti, anche di loro forse bisognerebbe occuparsi, che tirano di qua e di là magnificando il magistrato “amico” lestamente assurto a paladino dell’informazione. Scempiaggini, da qualsiasi parte la si rigiri.
Cricca, comarca, camarilla, consorteria, congrega, gang tutti sinonimi che indicano la stessa cosa: il modo di procedere di una parte troppo cospicua del Csm perché non si corra tempestivamente ai ripari.
Avrà pane per i suoi denti, il capo dello Stato, Sergio Mattarella, chiamato in questo caso, per forza di cose, all’uso della ramazza, più che del ventaglio della moral suasion. È uomo, per fortuna di noi poveri cittadini, che di solito non si impressiona facilmente. Vedremo come si muoverà. Perché muoversi, dovrà muoversi.
Ma tornando all’assunto iniziale: ma di quale lotta alla mafia può mai occuparsi questo Csm?
Pensate.
E’ questo il Csm che dovrebbe decidere il destino di Nino Di Matteo, estromesso con un ukase (così si chiamava una volta) del procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho, dalla neo costituita commissione stragi. Che Dio ce la mandi buona. E quando ci permettiamo di definire il pm del processo sulla Trattativa Stato-Mafia il nuovo Giovanni Falcone lo facciamo a ragion veduta. Con buona pace degli arricciatori di naso di professione.
Ché anche Falcone dovette passare attraverso le forche caudine di un Csm che lo ostacolò sino al suo ultimo giorno di vita.
Ma almeno c’era una differenza: quel Csm di tre decenni fa per fottere Falcone - il verbo ci pare appropriato - aveva almeno il pudore e il buon gusto di inventarsi “criteri” costruiti su misura: anzianità, territorialità, codicilli che non mancano mai.
Nel caso odierno, si procede molto più disinvoltamente. Anche perché buona parte dell’informazione italiana, legata com’ è appassionatamente al destino processuale dei carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, pesantemente condannati in primo grado per la Trattativa, è disposta a grandi svendite sui principi.
E sembra dire al Csm: volete fottere Di Matteo come a suo tempo fotteste Falcone?
Fate. Fate pure. Noi giriamo la testa dall’ altra parte. L’importante che non ci toccate Subranni, Mori e De Donno.
Naturalmente, non tutto il Csm la pensa così. Esistono forze interne che venderanno cara la pelle, e che sono ben consapevoli che si sta danzando sull’orlo del precipizio. Riusciranno a imprimere un forte colpo di barra per “salvare” la navigazione?

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La rubrica di Saverio Lodato

Foto © Paolo Bassani