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di Saverio Lodato
Speriamo che questo 23 maggio voli via presto, in fretta e furia. Speriamo che Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, nel loro riposo eterno, siano disturbati il meno possibile.
Speriamo che venga giù tempestivamente il sipario della commemorazione, della celebrazione, della parata, della fanfara. Questi morti, dopo 27 anni, sono stanchi. Ci hanno dato tutto quello che potevano dare. Eravamo noi che dovevamo raccogliere la loro eredità. Il loro testimonio. Il loro esempio. Invece, non sappiamo fare altro che torturarne la memoria.
E loro oggi sono stanchi. Sono stanchi di retorica. Stanchi di ipocrisia. Stanchi di veleni. Stanchi di omertà. Stanchi di avere assistito a troppe carriere in nome di uno straccio ormai gualcito e imbrattato chiamato antimafia.
Da vivi, questi morti, ebbero spalle larghe, larghissime. E nessuno lo chiese loro. Sfidarono il pericolo, il calcolo delle probabilità, i venti impetuosi delle calunnie.
Strinsero i denti. Ingaggiarono un’audace lotta contro il tempo. Ma chi glielo fece fare, al giudice, al poliziotto, al carabiniere, al sacerdote? Scoprirono, a fianco a loro, in chi avrebbe dovuto sostenerli, invidie, gelosie di mestiere, doppiezze, tradimenti.
E dei “Giuda” in magistratura, non dimentichiamolo mai, parlò Paolo Borsellino, a pochi giorni dalla strage di Capaci, riferendosi ai traditori di Falcone. E anche lui, 57 giorni dopo, conobbe i suoi Giuda.
Viviamo in un Paese sporco - che i cittadini, troppo deboli in questo, vorrebbero più pulito - perché è dall’alto che viene sbarrata la strada all’accertamento dei fatti, allo smascheramento dei colpevoli, dei registi che tirarono fila, mossero pedine, per poi avvelenare i pozzi, inquinando l’anelito di verità che, indegnamente, dopo 27 anni viene ancora soffocato.
Ecco perché speriamo che questo 23 maggio finisca in archivio.
Abbiamo letto, in questi giorni.
Abbiamo visto le prese di posizione di protagonisti dell’antimafia ufficiale. Divisi fra il mi si nota di più se vado o se non vado?
Intanto, ci si lasci dire una cosa, una volta per tutte. Le vittime di mafia sono uguali. Hanno identico peso. Si sacrificarono tutti allo stesso modo, per i medesimi ideali, uguale, in loro, il senso del dovere e dell’onore. Ne discende che non ci sono familiari delle vittime che sono più familiari degli altri.
Che vogliamo dire? Che troviamo stucchevole, a 30 anni da una mattanza (ma gli anni sono molti di più) che mise in ginocchio l’Italia, che si cerchi e si pretenda verità e giustizia esclusivamente per il proprio morto, il proprio parente.
Passi, ancora ancora, per le “fondazioni”, in nome di questo e di quello. E per i cospicui finanziamenti, alle fondazioni, ai centri studi, alle associazioni, in nome di questo e di quello.
Ma cosa impedisce che si produca finalmente una richiesta collettiva di verità per “tutti” i morti, “tutti” gli eroi, “tutti” i delitti eccellenti, “tutte” le stragi?
Oggi, in aula bunker, si farà vedere il ministro Matteo Salvini. L’hanno invitato e lui va. E andrebbe anche, ma questo è altro discorso, se non lo invitassero.
Maria Falcone pensa davvero che per commemorare il suo “Giovanni” era necessaria la presenza di Salvini? Lei spiega che i governi e i ministri si alternano. E’ vero.
Ma perché in questi decenni, proprio lei, ha finito con l’intestarsi una giornata all’insegna delle parate istituzionali, offrendo un palcoscenico a persone che altrimenti, spesso, non avrebbero alcun titolo per parlare dell’argomento?
E Claudio Fava?
Sino a qualche giorno fa annunciava la sua partecipazione “istituzionale”, ma oggi preferisce ripensarci, stilando un personale elenco degli invitati, molto dettagliato, puntiglioso, che lui avrebbe voluto in prima fila.
Ma Fava - ce lo si lasci dire - si avventura in una polemica dal sen fuggita: “Hanno trasformato il ricordo del giudice Falcone nel festino di Santa Rosalia. Fossi io la sorella di Giovanni Falcone avrei chiesto a Salvini di venire e di tacere”.
Ben detto, certo.

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Ma ci chiediamo: per il 23 maggio, questo è il primo Festino di Santa Rosalia al quale assiste l’onorevole Fava?
Davvero in questi 27 anni non aveva visto ministri e suffragette, navi in transito o alla fonda per le ore necessarie a una commemorazione di Stato intrisa di retorica e inutilità? Dove è stato Fava in questi anni?
E cosa disse o scrisse, Fava, quando Maria Falcone - alla quale tutto si può dire tranne che non sappia rischiare l’impopolarità -, pretese e ottenne in gran segreto che i resti di Giovanni Falcone fossero impietosamente separati per sempre da quelli di Francesca Morvillo nel cimitero di Sant'Orsola dove entrambi riposavano in pace. Non disse una parola. In quell’occasione, e quando ne scrivemmo qui, in modestissima compagnia, il fior fiore dei Familiari antimafia (non solo Fava), tranne Alfredo Morvillo, il fratello di Francesca, preferirono tacere.
Stiamo allora un attimo in silenzio, verrebbe da dire, prima di consigliare il silenzio agli altri.
Giovanni Impastato ci fa sapere che anche lui non andrà. Va bene. Scelta legittima, per carità. Come quelle di tutti quanti, in queste ore, sono divisi fra l’andare e il non andare. Ma di ben più ampia autorevolezza di messaggio avrebbero potuto usufruire tutti, in questo frangente, se si fossero battuti in questi anni per quella richiesta collegiale di verità in nome di “tutti i caduti” alla quale ci riferivamo prima.
Lo ripetiamo. Le vittime sono innanzitutto patrimonio di tutti gli italiani. Se vogliamo che la lotta alla mafia non sia quello straccio gualcito e imbrattato cui facevamo riferimento prima, bisogna ricominciare da questa convinzione.
Infine. Si è detto incerto, fra l’andare e il non andare, Roberto Scarpinato, il procuratore generale di Palermo in un apposito articolo.
Ma non perché non gradisce - almeno questo è quello che abbiamo capito - la presenza di un invitato piuttosto che di un altro. Il suo imbarazzo nasce dal fatto che 27 anni dopo lui non vuole più parlare soltanto della mafia che fu. Ma anche di quello Stato che fu dietro la mafia come documentato ormai da diverse sentenze. E siccome di tutto si parlerà in questo 23 maggio, tranne che della Trattativa Stato-Mafia, si trova a disagio nella palude della retorica.
Ecco uno, Scarpinato, che commemora gli anniversari per il giusto verso.
Continuare a capire, continuare a scavare, continuare a mettere insieme quei pezzi di verità processuali già acquisiti, pretendendo che altri se ne aggiungano. Esattamente quello che nel Paese Sporco, dove le istituzioni hanno vergognosamente isolato e lasciato solo il giudice Nino Di Matteo, si sta cercando di impedire.
Parlassero finalmente anche di questo la Falcone, Fava, Impastato, e non solo loro, se non vogliono restare prigionieri di quel Festino di Santa Rosalia che va in scena ormai da decenni.
27 anni dopo, i morti sono stanchi.

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La rubrica di Saverio Lodato

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