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messina denaro matteo 610 verticaldi Saverio Lodato
Matteo Messina Denaro, il super capo mafioso, da 27 anni non viene arrestato, ma in compenso vengono arrestati i carabinieri che dovrebbero arrestarlo. La spiegazione dell’apparente arcano sta tutta in questo apparente paradosso.
Il paradosso, però, bisogna volerlo vedere. Diversamente, il paradosso non esiste.
E per volerlo vedere, occorrono occhi e mente liberi; un minimo, davvero poco poco, di capacità di sintesi; il rispetto della banalissima formuletta che prescrive come due più due faccia sempre quattro sotto qualsiasi latitudine.
Il fatto è noto: per ordine della Procura di Palermo, nella persona del suo capo, Francesco Lo Voi e del suo aggiunto, Paolo Guido, finiscono in manette: Marco Zappalà, tenente colonnello dei carabinieri in servizio alla Dia di Caltanissetta e Giuseppe Barcellona, appuntato dei carabinieri a Castelvetrano. Il gip Piergiorgio Morosini ha convalidato la ricostruzione dei due procuratori.
L'accusa è infamante, ma anche sconcertante: i due, in ultima istanza, avrebbero di fatto agevolato - in cronaca troverete il sistema adoperato - proprio la latitanza di Matteo Messina Denaro.
Un latitante può essere acciuffato solo a condizione che i suoi inseguitori riescano ad avvalersi dell'effetto sorpresa. Se il cacciatore invia un sms alla sua lepre, la partita è persa in partenza. E può così continuare all'infinito. Ecco perché adoperiamo anche l’aggettivo: sconcertante.
Matteo Messina Denaro è il latitante più ingombrante, più imbarazzante, semplicemente perché è di gran lunga il più informato sulle stragi di Capaci, via d'Amelio, Firenze, Roma e Milano. E sulla Trattativa Stato-Mafia.
I suoi segreti, come disse una volta Leonardo Sciascia a proposito di Stefano Bontate, non sono piume.
In questo quarto di secolo, quello che, insieme al dottor Nino Di Matteo, abbiamo ribattezzato il quarto di secolo del Patto Sporco, il Messina Denaro c’è dentro sino al collo. A uno così, una volta che lo prendi, non puoi tappare facilmente la bocca.
E se gli salta in mente di collaborare?
Di pentirsi sulle complicità istituzionali di cui si è avvantaggiato per decenni?
Come potrebbe essere gestito un personaggio di tal fatta? Meglio non pensarci. Chi vivrà vedrà.
Ma alla luce di questo quadro, come appaiono buffi tutti coloro i quali sentenziano sulla fine e sull’inesistenza ormai della mafia.
Come appaiono impacciati tutti quelli che, nell’impossibilità, a oggi, di venire a capo del grande paradosso, credono di giocare d’astuzia ridimensionando verso il basso, a suon di dichiarazioni non indispensabili, l’effettivo profilo criminale del latitante in questione.
E verrebbe quasi da sorridere quando ascoltiamo certi abatini lamentarsi perché esisterebbe un'antimafia eccessivamente “radicale”. Vorrebbero un'antimafia ancora più “tenera”, più “malleabile”, più “burrosa” di quanto già non sia? Incontentabili, costoro.
Noi, piuttosto che crogiolarci in certi salotti palermitani dove sono di uso corrente simili facezie, preferiamo restare rozzamente ancorati alla formuletta del due più due fa quattro che raramente induce in errore.
Guardatevi intorno.
Come fate a non vedere che le aule giudiziarie siciliane pullulano di processi con imputati in divisa o onorevoli politici? Non sono forse poliziotti i tre che devono rispondere di depistaggio per la strage di via d’Amelio?
Date un’occhiata al verminaio sollevato dalle inchiesta a carico di Antonello Montante. Proprio lì, dentro quelle migliaia di pagine, scoprirete che nessuna forza di polizia è stata e viene risparmiata dalle accuse infamanti dei magistrati. O abbiamo già dimenticato le pagine dell'inchiesta Saguto con quell'altro verminaio che si tira dietro, quanto a complicità di pubblici funzionari del Palazzo di giustizia di Palermo?
E vogliamo anche, en passant, parlare di questo Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano? Anche per lui le manette disposte dal Procuratore Lo Voi. Ma anche Vaccarino, a suo modo, è personaggio istituzionalmente imbarazzante. A garantire per lui, qualche anno fa, fu nientemeno che Mario Mori, allora capo del Sisde. Ammise infatti che fosse un suo agente, infiltrato in Cosa Nostra, proprio per catturare Messina Denaro. E così gli fu evitato l’arresto.
Il minimo che adesso si può dire, di fronte al Vaccarino ammanettato, è che qualcuno stia finalmente cominciando a ricorrere alla formuletta di quel benedetto due più due che fa sempre quattro.
Ma ci sarebbe ancora tanto da dire e da fare.
Se volete il nostro consiglio, ignorate certi salotti di Palermo. Fate ricorso a una modesta dose di capacità di sintesi.
Per chiedervi, a esempio, ma questo mondo sconcertante che ruotava attorno a Antonello Montante, è solo Made in Caltanissetta? Tutto nasceva e moriva lì, nel cuore del Vallone?
Matteo Messina Denaro, niente?
Trattativa Stato-Mafia, niente?
Solo la storiella maleodorante di una piccola provincia?
Vedremo come risponderanno i salotti palermitani. E ne capiremo di più.

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La rubrica di Saverio Lodato

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