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di Saverio Lodato
Un imbarazzante fantasma, che viene da lontano, si aggira per le redazioni. È il fantasma di Rammacca.
Chiederete: ma chi è mai questo Rammacca? Dovete allora sapere che in una delle sue tante deliziose cronachette di una Sicilia che fu, Leonardo Sciascia ce ne lasciò divertentissimo ritratto - di questo Rammacca, del quale oggi vi parleremo -, ritratto che giova sempre tenere sottomano, per spiegare comportamenti umani altrimenti incomprensibili.
Per farla breve: in un paese della Sicilia interna - ma non ci chiedete quale, né gli anni in cui si svolsero i fatti, né il libro che li riporta, ché i particolari li abbiamo dimenticati - fece colpo la storiella che un tizio, di arguzia assai sottile, escogitò per farsi pubblicità, essendo, di suo, poco dotato di attributi che ne garantissero fama, notorietà e pubblicità. Avete capito benissimo: è di Rammacca che adesso vi stiamo parlando. Cervello fino, lo abbiamo già detto, il Rammacca, stanco di un anonimato che lo confondeva - e chissà per quanto avrebbe continuato a confonderlo - con la gran massa dei paesani, senza arte né parte come lui, un bel giorno decise di presentarsi a chiunque incontrasse in piazza, o al bar o nel corso principale, tendendo per primo la mano e pronunciando, con sorriso smagliante, le fatidiche parole: “Piacere Rammacca”.
Va da sé che, superato il primo attimo di stupore, l’interlocutore, anche se per mera cortesia, rispondeva con analoga formula. L’effetto moltiplicativo funzionò a meraviglia.
Bastarono infatti poche settimane, e tutti conobbero il nome di Rammacca, e ne parlavano divertiti fra loro, anche se con pizzico di prudente circospezione perché nessuno, in fin dei conti, sapeva davvero chi fosse davvero questo Rammacca. E in certi casi non si sa mai.
Ma tutti ormai potevano dire di conoscerlo, e altrettanto valeva per lui.
Cosa ne sappiamo oggi di più? Sappiamo che dopo decenni di anonimato, il nostro Rammacca, diventato giornalista, ormai ha messo la sua notorietà al servizio di una causa molto nobile, quella della lotta alla mafia. Si è perfezionato nelle sue conoscenze, ha esteso a maglie larghe la rete delle sue relazioni altolocate. E cita sempre nei suoi articoli, apparentemente en passant, il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, il professor Giovanni Fiandaca, i carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, solo per dir di qualcuno, in un perenne gioco al rialzo dei nomi, e delle mostrine; gioco dal quale, sia detto per inciso, per luce riflessa, trae ulteriore alimento per irrobustire ancora di più il “cognome Rammacca”.
Sa che i poveri malcapitati nel suo micidiale ingranaggio del perenne gioco al rialzo, non possono né smentire né confermare di conoscerlo. E probabilmente - quantomeno ce lo auguriamo - saranno assai imbarazzati. In fondo, li comprendiamo benissimo: in tutta onestà, come si fa a dire di non conoscere il sottile Rammacca che viene da molto lontano? Non si può, visto che nell’ambiente lo conoscono, e lo conosciamo tutti, benissimo.
Ora lui, avanti negli anni, fattosi audace per carità di patria e cortesia altrui, ci racconta che la mafia è finalmente scomparsa; che mafioso e barbone sono diventati sinonimi; e che se la Mafia tira ancora qualche calcio è soltanto colpa della solita antimafia (dei duri e puri) che ne prolunga all’infinito il rigor mortis. E guai a parlargli di Trattativa Stato-Mafia e della sentenza del processo di Palermo. Nel qual caso, si scolora e digrigna i denti.
Verrebbe da dire: “Vada avanti... Rammacca!”

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La rubrica di Saverio Lodato

Foto © Paolo Bassani

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