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di Saverio Lodato

Non sono andato a votare per le primarie del Pd, e mi piace dirlo adesso, a urne aperte e cose fatte. Non ho ancora smaltito il mio personalissimo risentimento per questi anni renziani, che ci hanno inflitto non solo una raffica di sconfitte epocali, sul piano politico ed elettorale, ma anche una degenerazione dei comportamenti inimmaginabile in passato, e, a mio avviso, inaccettabile ancora oggi.
Penso di non essere il solo a pensarla così, giusta o sbagliata che sia.
Le stesse primarie, d’altra parte, sono state dilazionate all’infinito per la pervicacia renziana di volere continuare a occupare la scena, fosse anche con candidati quisling, penso a Giachetti, con il suo dodici per cento, e per certi versi allo stesso Martina, inchiodato attorno al 20.
Però, devo riconoscere che, pur senza il mio individuale e ininfluente contributo, quello di domenica è davvero un gran bel risultato, almeno per un paio di ragioni. Sarei infatti caduto in un’irrimediabile depressione - ma riguarda me - se il “popolo PD” avesse incoronato uno degli altri due contendenti. Diciamo che questo voto dimostra che il PD ha ancora un occhio aperto, non essendo stato ridotto a quella cecità totale che, visti i recenti risultati, sembrava inevitabile. Il Vangelo, a proposito di chi vede con un occhio nel mondo dei ciechi, docet mirabilmente. Insomma, il PD è sfuggito al contagio della cecità, raccontando la quale, il portoghese Saramago (“Il mondo è pieno di ciechi vivi”), vinse un Nobel.
Vediamo di elencare le ragioni di questa nostra letizia.
Intanto, quel “popolo PD” di cui sopra, ha dimostrato, accorrendo ai gazebo - in un milione e mezzo o due, cambia poco - di non avere affatto l’encefalogramma piatto, come preconizzato dai soliti bontemponi specializzati in sondaggi e cabale a pagamento. E francamente si dovrebbe avere il coraggio di riconoscere che fra gli avveniristici “cinquantamila della piattaforma Rousseau” 5 Stelle e il milione e mezzo (a tenersi molto stretti) che domenica hanno battuto un colpo, sperando nella possibile resurrezione PD, c’è la differenza che passa fra un piccolo condominio di periferia e l’intera città di Palermo, con inclusi i quasi cento comuni della sua provincia. Numericamente, ha fatto una gran bella differenza chi ha lasciato il divano di casa sua in una domenica d’inverno, per mettersi in macchina, andarsi a fare una fila di almeno un’ora ai gazebo, pagando persino due euro, con chi fa “click” in pantofole e vestaglia. In politica la partecipazione conta, eccome se conta.
Prova ne sia che ad accusare il colpo, nella prima giornata dell’ultimo anno che incredibilmente non lo ha visto nel ruolo televisivo del giocondo mattatore, è stato proprio Matteo Salvini; il quale, si apprende dai giornali, ha fatto notare un po’ piccato che nelle precedenti primarie PD l’afflusso era stato più alto. Per lui, sono fin troppi. E per noi, anche questa, è ragione di letizia.
Poi ce n’è un’altra.
Nicola Zingaretti, eletto leader a furor di popolo, con il suo 65 o 70, anche qui fa poca differenza, di primo acchitto, ci sembra “faccia” nuova e rassicurante nel Pantheon della politica italiana che inanella spesso fattezze lombrosiane. Ha, insomma, l’aria di crederci, di volerci provare, di non avere scheletri e patti segreti nascosti nell’armadio. Adesso si tratterà di capire meglio in cosa crede: di questi tempi, in politica, credere in qualcosa, piuttosto che difendere vergognosamente interessi personali, è già una buona base di partenza, ma non è tutto. Zingaretti ne sembra consapevole, avendo dichiarato, appena eletto, che il cammino difficile comincia adesso.
Poi ce n’è un’altra ancora - sempre secondo noi - di ragioni di letizia. Il popolo delle primarie ha voltato definitivamente le spalle a Matteo Renzi, al renzismo a al suo “giglio magico”. Occhio perché questo è un passaggio delicato, delicatissimo.
Renzi sin quando ha potuto ha fatto le umane e le divine cose perché il quartier generale del PD non esprimesse un giudizio negativo e definitivo su tutto quanto lui ha rappresentato nella politica italiana di questi anni. Ora deve fare i conti con una sconfessione popolare massiccia, sentita, inesorabile. Dal basso, per intenderci. E molto più bruciante che se fosse venuta solo dall'alto.
Dura lex, sed lex, quella del consenso in politica.
Certo. Renzi potrà prendere esempio da Silvio Berlusconi (ma si sa che, quasi per definizione, l’originale esercita sempre tutt’altro fascino rispetto a quello di una copia) che ormai incolpa simpaticamente tutti quegli italiani che, non andandogli più dietro, dimostrerebbero di essersi rincoglioniti. Quanto all’ex “giglio magico” il discorso è più insidioso. E Zingaretti dovrà stare sul chi va là.
Le Boschi, i Lotti, i Bonifazi, i Guerini, i Rosato, i Delrio, il Faraone di Sicilia, solo a nominare i petali più visibili di quel giglio magico che fu, come la prenderanno? Faranno una scissioncina, se mai Renzi volesse tentare l’avventura? Cercheranno con baffi e parrucche di saltare sul predellino del carro del vincitore? Non potrebbero, invece, nel nuovo PD che verrà, limitarsi a dispensare consigli per corrispondenza? Si vedrà.
Per noi, che siamo incontentabili, sarebbe ulteriore ragione di letizia se a questo “giro” avessero l’intelligenza di scomparire per un po’ dalle tv. Ma ognuno è libero.
Concludendo.
Adesso Zingaretti si trova alla guida di un contenitore politico niente male. I nuovi contenuti ce li deve mettere lui. Solo Dio può aiutarlo. Anche se la manifestazione milanese sul razzismo (duecentomila o duecentocinquanta mila in piazza, poco importa) sembra di buon auspicio, in un’Italia incattivita, dove un ministro degli interni può permettersi di travestirsi da volenteroso brigadiere, senza che nessuno lo ammanetti per abuso della divisa di polizia. A tale proposito: provate voi a uscire di casa vestiti da poliziotti o da carabinieri, e poi vedrete quello che vi succede.
E se Zingaretti, infine, nel suo nuovo contenitore, ci mettesse anche un po’ di lotta alla mafia, della quale in Italia non parla più nessuno, farebbe un altro passettino in avanti. Ma non vorremmo apparire incontentabili.

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La rubrica di Saverio Lodato

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