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lodato saverio c paolo bassanidi Saverio Lodato
Questo governo parla poco di mafia. Saremmo quasi tentati di dire che non ne parla per niente. L’argomento, per chi è alla guida del paese, non è mai stato comodo. Bisogna andare indietro ad almeno una ventina di anni fa per ritrovarlo al centro dell’“agenda politica”, una volta si diceva così, dei partiti di opposizione i quali però, appena vincevano le elezioni, lo dismettevano tempestivamente con nonchalance, come si dismette l’armatura quando si torna tutti a casa. Persino le Commissioni Parlamentari di inchiesta, eterne in Italia quanto la mafia stessa, si concludevano in maniera bipartisan, con tanto di relazione di maggioranza e altrettanta di opposizione. Ma dell’argomento, in un modo o nell’altro, allora se ne parlava.
Vuoi per l’efferatezza dei crimini, alla quale gli italiani non avevano ancora fatto il callo.
Vuoi perché, man mano che veniva approfondita la conoscenza del fenomeno, si andava scoprendo sempre di più, e sempre meglio, che la mafia non faceva tutto da sola, potendo contare su una sin troppo nutrita schiera di santi in paradiso.
Vuoi perché, essendo la mafia tradizionalmente “governativa”, attratta dagli affari e dal denaro come lo è l’ape dal miele, le forze di opposizione avevano buon gioco a dire la loro.
Ma ciò accadeva alcune decine di anni fa. Poi, dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, con le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, precedute da quelle di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa, sembrò per un attimo che governo e opposizione si fossero miracolosamente riunificati nell’intento di volere infliggere il colpo definitivo alla mafia stessa. L’idillio d’intenti durò poco. E durò poco perché, all’indomani di quelle immani tragedie, il sospetto che la mafia godesse della protezione dei troppi santi di cui sopra, si fece drammatica certezza agli occhi di milioni di cittadini.
Ma soprattutto perché, dal seno stesso di quella magistratura che in Italia per decenni era stata strumento d’ordine e di conservazione, venne finalmente lo sforzo gigantesco di volere processare, non solo la mafia, ma anche quei politici che l’avevano favorita e la favorivano indisturbati. E con il valore aggiunto del pentitismo mafioso che rompeva per la prima volta il secolare totem dell’omertà.
Fu così che finì l’idillio, e si esaurì il momento magico. Magistrati in campo, e con l’additivo devastante delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, erano troppo, perché non si sapeva dove avrebbero portato.
In tanti oggi si chiedono quando la sinistra abbia iniziato a morire nel nostro Paese. Se ne dicono molte in proposito. Secondo noi, con ogni probabilità, si raggiunse l’acme quando iniziò a difendere Giulio Andreotti, attaccando all’arma bianca i magistrati che avevano osato metterlo sotto inchiesta e sotto processo.
La politica si ricompattò: tutta la politica, senza eccezioni. Destra, centro, sinistra, persino estrema sinistra.
Nacquero così le stagioni ricorrenti dei “veleni di Palermo” (lo stesso Falcone ne sapeva qualcosa), che si abbatterono inesorabilmente su magistrati, poliziotti, carabinieri e collaboratori di giustizia, che si erano spinti troppo in avanti nella ricerca della verità e delle responsabilità. E son cose, anche queste, trite e ritrite.
La lotta alla mafia imboccò inesorabilmente la strada degli anniversari di maniera, della polemica sulla manutenzione delle lapidi in memoria dei caduti, delle navi da crociera stipate di giovani una volta all’anno, di fondazioni e finanziamenti, in un perverso mix di retorica e business, con scandali sconcertanti che coinvolgevano persino figure di primo piano della stessa antimafia.
E oggi?
Oggi si è finalmente capito che dietro la mafia per un secolo e mezzo si nascose lo Stato, o quantomeno una sua parte cospicua, e che all’ombra delle spalle dello Stato, i mafiosi potevano agire indisturbati. Dell’argomento non si parla più. I processi che sono ancora aperti, intestati ad alcune delle stragi di un quarto di secolo fa, vengono ignorati dai media, anche se c’è ancora chi non dispera in palingenetiche rese dei conti con i protagonisti delle grandi stagioni giudiziarie di un tempo.
Sarebbe interessante che i giornali raccontassero cosa ne pensano gli italiani. C’è - di sicuro - che il nuovo governo avrebbe mille validissime ragioni per recitare in proposito la sua parte. Cambiamento e rinnovamento andrebbero infatti - quasi per definizione - coniugati con la lotta alla mafia. E lo stesso premier Giuseppe Conte, all’atto del suo insediamento, se ne disse convinto. E ne demmo conto su questo giornale.
L’impressione che abbiamo è che il vento governativo certe parole se le porti via. E sarebbe un gran peccato.

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La rubrica di Saverio Lodato

Foto © Paolo Bassani

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